T6 - Un’agonia sospetta

T6

Un’agonia sospetta

Cap. 10

Sono le ultime pagine del romanzo. Arrivato ormai a indagare nel mondo del sottoproletariato della campagna romana, il commissario Ingravallo giunge, insieme all’agente Di Pietrantonio, a casa di Assunta, l’ultima domestica al servizio di Liliana. In un letto è disteso il padre morente della donna, ma Ingravallo non sa dire con certezza se l’agonia dell'uomo sia reale o frutto di una messinscena.

Strani borborigmi,1 sotto coperta, contraddicevano al coma, e più stranamente alla

morte: davano l’impressione d’una miracolosa imminenza:2 che le lenzuola e le

coperte fossero in sul punto di bombarsi, di enfiarsi: di lievitare e di gravitare ad

alto a mezz’aria,3 sulla gravità rattratta della morte.4 La vecchia, la Migliarini Veronica,5

5       si stava ingobbita sulla sedia, impietrata6 in una rimemorazione degli evi

che s’erano viceversa dissolti nella non-memoria:7 teneva una mano in una mano,

da parer Còsimo pater patriae8 nel cosiddetto ritratto del Pontormo:9 pelle secca di

lucertola, in viso, e la immobilità rugosa di un fossile. Non c’era, in grembo, ma le

ci voleva, lo scaldino di coccio. Alzò gli occhi, gelatinosi e vetrosi nel color bigio,10

10    senza che interrogassero alcuna di quelle che a lei dovevano apparire delle ombre,

né la ragazza né gli uomini.11 La quiete spenta della sua guardata si opponeva all’evento,12

come la immemore memoria della terra, da lontananze paleontologiche:13

straniando quel volto di azteca centonovantenne14 dalle acquisizioni della specie,

dalle ultime così fregolesche15 conquiste dell’occhieggiamento italiano.16

15    Una padella di maiolica, come d’una clinica di prima classe, era deposta sul pavimento

di mattoni, e neppure vicino a la parete: e nemmeno era sprovvista d’un

qualche indecifrato contenuto, sulla consistenza, colorazione, odore, viscosità e

peso specifico del quale tanto lo sguardo di lince come il fiuto di segugio d’Ingravallo

non ritennero essere il caso di dover indugiare ad analisi: il naso, beninteso,

20    non potette esimersi dalle sue naturali prestazioni17 cioè da quell’attività o per più

acconcio dire passività papillante18 che gli è propria, e non ammette, hélas, interludio 

alcuno da inibizione, o mancato ufficio di sorta.19

«È vostro padre?» fece don Ciccio a la Tina, guardandola, guardandosi all’intorno,

e poi togliendosi il cappello.

25    «Sor commissario, mo ’o vedete com’è ridotto. Nun ce volevio crede: ciavete

da crede, finarmente!»20 esclamò in tono risentito, e con occhi che parevano aver

pianto, la bella. «Oramai nun21 ce spero più. È mejo pe lui e puro pe me, si me

more.22 Patì a quer modo,23 e senza mezzi de denaro. Er sedere, parlanno co’ rispetto,

è ridotto a na piaga sola, è ridotto: un macello, povero padre mio!» Cercava,

30    pensò duramente Ingravallo, nel suo dolore cercava di valorizzare il papà, nonché

il diretro guasto24 del papà. «E cià25 pure la ciambella de gomma,» sospirò, «che

senza quella j’avrebbe26 fatto infezzione er decùbbito.27 Ancora stamane a le otto

je28 faceva male, tanto male, diceva. Nun poteva stà dieci minuti, se po dì.29 Adesso

nun se move da tre ore: nun dice na parola: me sa che nun patisce più, de gnente30

35    po più patire»: si rasciugò gli occhi, si soffiò il nasetto: «perché nun sente più

gnente, oramai, né bene né male po sentì, povero padre... Er prete nun po esse qua

prima dell’una, m’ha fatto dì. Ah, poveretti noi!» guardò Ingravallo, «si nun era la

signora!» Quella battuta risonò vuota, lontana. Liliana: era un nome. Sembrò, a

don Ciccio, che la ragazza si peritasse d’evocarlo.31

40    «Sicuro!» fece stancamente, «’a ciambella!»32 e si rammentò degli sfoghi del

Balducci. «O saccio, ‘o saccio,33 chi ve l’ha data: e pure chillo34 vaso,» e vi accennò

col capo, col mento, «e la coperta pure,» guardò sul letto la coperta, «vell’ha dati...

una ch’à avuto subbito ’o compenso, p’ ’a bontà sua. Nun far del bene, si nun è che

vuoi avé mmale, dice ’o proverbio. Cussì è.35 Nun parlate? Nun ricordate?»

45    «Sor dottò, che m’ho da ricordà?»36

«Ricordatevi di chi v’ha tanto aiutato, mentre lo meritavate così poco.»

«Sì, li signori dov’ero a servizzio: e perché nun me lo meritavo?»

«I signori! La signora Liliana, potete dire! ché è stata sgozzata da un assassino!»: 

du occhi, fece, che la Tina impaurì, questa volta: «da un assassino,» ripeté,

50    «del quale,» favellò curule,37 «aggio saputo il nome, il cognome!... e dove sta: e cosa

fa...» La ragazza sbiancò, non disse a.38

«Fuori il nome!» urlò don Ciccio. «La polizzia lo conosce già chesto nome. Se lo

dite subbito,» la voce divenne grave, suasiva:39 «è tanto di guadagnato anche pe vvoi.»

«Sor dottò,» ripeté la Tina a prender tempo, esitante, «come j’ ’o posso dì,40 che

55    nun so gnente?»

«Anche troppo lo sai, bugiarda,» urlò Ingravallo di nuovo, grugno a grugno.41

Di Pietrantonio allibì.42 «Sputa ’o nome, chillo ca tieni cà: o t’ ’o farà sputare ’o

brigadiere,43 in caserma, a Marino: ‘o brigadiere Pestalozzi.»

«No, sor dottò, no, no, nun so’ stata io!» implorò allora la ragazza, simulando,

60    forse, e in parte godendo, una paura di dovere:44 quella che nu poco sbianca il visetto,

e tuttavia resiste a minacce. Una vitalità splendida, in lei, a lato il moribondo

autore de’ suoi giorni,45 che avrebbero ad essere splendidi:46 una fede imperterrita

negli enunciati di sue carni, ch’ella pareva scagliare audacemente all’offesa,47 in un

subito corruccio,48 in un cipiglio:49 «No, nun so’ stata io!» Il grido incredibile bloccò

65    il furore dell’ossesso.50 Egli non intese, là pe’ llà,51 ciò che la sua anima era in

procinto d’intendere.52 Quella piega nera53 verticale tra i due sopraccigli dell’ira,54

nel volto bianchissimo della ragazza, lo paralizzò, lo indusse a riflettere: a ripentirsi,

quasi.55

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Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Giunti alla conclusione del romanzo, ci troviamo di fronte a un’altra scena di morte: il padre di Assunta è in fin di vita, agonizzante nel suo letto. A differenza della scena del rinvenimento del corpo di Liliana, però, qui manca totalmente la dimensione tragica. Il corpo dell’uomo non viene descritto con quel lirismo che invece omaggia il cadavere di Liliana: non c’è più spazio per il sublime che scaturisce dal dolore. Ad essere messi in campo sono, invece, elementi quasi comici (le feci maleodoranti dentro la padella di porcellana, la ciambella di gomma) che fanno scivolare la narrazione verso la dimensione grottesca.

Nonostante si tratti di un romanzo giallo, lo scrittore non dice dunque chi è il colpevole dell’uccisione di Liliana: al contrario, ci pone davanti una scena notevolmente ambigua. Non sappiamo se Assunta – su cui si appuntano i sospetti di Ingravallo – dica la verità o se al contrario stia mentendo. Né sappiamo se suo padre sia veramente moribondo o se piuttosto stia recitando una parte per impietosire il commissario e convincerlo ad andarsene: i brontolii di pancia (borborigmi, r. 1) sono un segno di fame, e dunque di vita, ben strani in una persona che dovrebbe essere prossima alla morte.

Del resto, nulla ci porta a pensare che l’assassina sia Assunta: nel momento in cui don Ciccio entra nella casa, ci rendiamo conto che sembra sapere qualcosa, ma che cosa? Dalle domande incalzanti di Ingravallo la donna si difende con un grido incredibile (r. 64), discolpandosi da un’accusa che il commissario non ha espressamente formulato, e tutto rimane bloccato nel dubbio più assoluto, senza possibilità alcuna di catarsi. Che cosa sa Ingravallo? Cos’è che la sua anima era in procinto d’intendere (rr. 65-66)? Pensava che Assunta fosse colpevole e quel grido disperato mette in crisi il suo castello di supposizioni, oppure non aveva affatto in mente la donna e il sospetto su di lei gli sorge proprio perché lei si discolpa spontaneamente? Sono tutte domande che restano senza risposta: la verità ha ormai imboccato un vicolo cieco ed è destinata a rimanere inerte, paralizzata nei nodi inestricabili e soprattutto non verificabili dell'esistenza umana.

Il promesso e vociferato seguito del romanzo non vedrà mai la luce, e anzi Gadda difenderà questo finale non risolutivo. Ciò che resta è la consapevolezza di una realtà non indagabile fino in fondo e che non può essere costretta dentro le maglie strette dell’investigazione razionale. La storia (sia quella della povera Liliana sia quella universale, di tutti gli uomini) alla fine celebra la propria incompiutezza, irretendo ogni ricerca e lasciando l’uomo a riflettere sui propri dubbi, a ripentirsi, quasi (rr. 67-68).

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Le scelte stilistiche

Anche lo stile, come il contenuto, vira in questo brano verso il grottesco. La consueta tecnica del pastiche, infatti, viene sì utilizzata, ma con pochissimi elementi di stile alto. Con l’eccezione di qualche frase (gravità rattratta della morte, r. 4; il moribondo autore de’ suoi giorni, rr. 61-62) e di qualche termine colto (hélas, r. 21; peritasse, r. 39; curule, r. 50), la scelta linguistica è quasi del tutto dialettale, con l’inserimento – comico – della descrizione in linguaggio burocratico del puzzo emanato dalla padella. Il narratore interviene di rado, lasciando spazio ai personaggi e ai loro pensieri: colui che osserva dall’alto e cerca di raccontare e interpretare i fatti sembra nascondersi dietro le azioni e le parole di Ingravallo e di Assunta, tutte indecifrabili come la realtà della vita.

Verso le COMPETENZE

COMPRENDERE

1 In che senso i rumori intestinali del padre di Assunta danno l’impressione d’una miracolosa imminenza (r. 2)?

ANALIZZARE

2 Quali sono gli elementi che più di altri rendono la scena grottesca?

INTERPRETARE

3 Individua i passaggi nel testo che fanno sospettare a Ingravallo una messinscena da parte di Assunta e del padre, e spiega il motivo di tale sensazione.

COMPETENZE LINGUISTICHE

4 La descrizione iniziale del brano è caratterizzata dalla presenza di numerose forme verbali (tra cui participi attributivi) da verbi derivati. Individuane almeno cinque e spiegane il significato facendo riferimento alla loro origine.

Produrre

5 Scrivere per raccontare. Come si è visto, il romanzo finisce nel dubbio e nell’ambiguità totali. Ingravallo sembra inizialmente sicuro di ciò che sa, ma alla fine rimane interdetto, costretto a riflettere sulla verità che aveva in mente e che invece non è più così certa. Ti è mai capitato di essere convinto di qualcosa e di doverti poi ricredere, di mettere in discussione te stesso e quella tua certezza? Che cosa hai provato? Racconta in un testo di circa 30 righe.

Dibattito in classe

6 Il romanzo poliziesco del Novecento spesso è privo della classica conclusione risolutoria del “giallo classico”, in cui l’investigatore arriva alla scoperta del colpevole e alla spiegazione del modo in cui il crimine è stato commesso: che cosa pensi di questa nuova forma di narrazione? Ti soddisfa oppure preferisci le detective story più tradizionali? Confrontati con i compagni

Vola alta parola - volume 6
Vola alta parola - volume 6
Dal Novecento a oggi