Il bersaglio prediletto dalla tagliente vivacità linguistica di Gadda è però la borghesia, di cui descrive le manie, le ipocrisie, i falsi moralismi. Non si tratta certamente del vecchio ceto medio, solido e sobrio custode di valori autentici spazzati via dalla guerra, ma di una nuova classe sociale, formata da arricchiti dell’ultim’ora e da volgari esibizionisti di un lusso sfrenato e di un insanabile cattivo gusto.
Con la sua satira corrosiva, Gadda infierisce soprattutto sugli arricchiti dell’industria e del commercio, che si muovono tra «le fabbriche e le fabbrichette, le officine e le officinette, le maniglie e le manigliette». I «Disegni milanesi» dell’Adalgisa, così come molti degli Accoppiamenti giudiziosi, mettono in scena una classe sociale utilitaristica e ottusa, che mira solo al proprio interesse senza badare a quello comune.
Descritta nei luoghi di ritrovo (come i concerti di musica lirica o le cene al ristorante) nell’atto rituale di rispecchiarsi in sé stessa e di rafforzare la propria identità di gruppo solidale, la borghesia gaddiana ha una concezione superficiale della cultura, che la porta a ostentare ipocriti interessi artistici solo per celare una sconcertante grettezza di vedute. Gadda non perde occasione per metterne in evidenza la vacuità e soprattutto il perbenismo che trapela dall’ossequio formale a modelli di comportamento virtuosi e apparentemente impeccabili, ma nei fatti subdoli e grossolani.