I testi

I testi

Temi e motivi dei brani antologizzati

T9

Maledetto fu Copernico!

Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa

 la fine della centralità umana nel cosmo

 il tema del doppio

 l’inutilità della scrittura

T10

Lo strappo nel cielo di carta

Cap. 12

 il venir meno delle certezze

 la condizione dell’individuo moderno

T11

La filosofia del lanternino

Cap. 13

 lo status dell’essere umano nella natura

 la morte

 lo smarrimento esistenziale degli individui nel momento in cui vengono meno le grandi ideologie di un’epoca

 la limitatezza della conoscenza umana del mondo

 il relativismo

T12

Io e l’ombra mia

Cap. 15

 la perdita dell’identità individuale

T9

Maledetto fu Copernico!

Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa

Riportiamo per intero la Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa. Si tratta di un brano fondamentale per la corretta interpretazione dei capitoli successivi, rappresentandone la giustificazione teorica o, come dice il narratore, la scusa, che insinua perplessità e dubbi sul senso stesso della letteratura.

L’idea o piuttosto, il consiglio di scrivere mi è venuto dal mio reverendo amico don

Eligio Pellegrinotto,1 che al presente ha in custodia i libri della Boccamazza,2 e al

quale io affido il manoscritto appena sarà terminato, se mai sarà.

Lo scrivo qua, nella chiesetta sconsacrata, al lume che mi viene dalla lanterna

5       lassù, della cupola; qua, nell’abside riservata al bibliotecario e chiusa da una bassa

cancellata di legno a pilastrini, mentre don Eligio sbuffa sotto l’incarico che si è

eroicamente assunto di mettere un po’ d’ordine in questa vera babilonia di libri.

Temo che non ne verrà mai a capo. Nessuno prima di lui s’era curato di sapere, 

almeno all’ingrosso, dando di sfuggita un’occhiata ai dorsi, che razza di libri

10    quel Monsignore avesse donato al Comune: si riteneva che tutti o quasi dovessero

trattare di materie religiose. Ora il Pellegrinotto ha scoperto, per maggior sua consolazione, 

una varietà grandissima di materie nella biblioteca di Monsignore; e

siccome i libri furon presi di qua e di là nel magazzino e accozzati così come venivano 

sotto mano, la confusione è indescrivibile. Si sono strette per la vicinanza fra

15    questi libri amicizie oltre ogni dire speciose: don Eligio Pellegrinotto mi ha detto,

ad esempio, che ha stentato non poco a staccare da un trattato molto licenzioso

Dell’arte di amar le donne libri tre di Anton Muzio Porro, dell’anno 1571, una Vita

e morte di Faustino Materucci, Benedettino di Polirone, che taluni chiamano beato, biografia 

edita a Mantova nel 1625. Per l’umidità, le legature de’ due volumi si erano

20    fraternamente appiccicate. Notare che nel libro secondo di quel trattato licenzioso

si discorre a lungo della vita e delle avventure monacali.

Molti libri curiosi e piacevolissimi don Eligio Pellegrinotto, arrampicato tutto

il giorno su una scala da lampionajo,3 ha pescato negli scaffali della biblioteca.

Ogni qual volta ne trova uno, lo lancia dall’alto, con garbo, sul tavolone che sta in

25    mezzo; la chiesetta ne rintrona; un nugolo di polvere si leva, da cui due o tre ragni

scappano via spaventati: io accorro dall’abside, scavalcando la cancellata; do prima

col libro stesso la caccia ai ragni su pe’l tavolone polveroso; poi apro il libro e mi

metto a leggiucchiarlo.

Così, a poco a poco, ho fatto il gusto a siffatte letture. Ora don Eligio mi dice

30    che il mio libro dovrebbe esser condotto sul modello di questi ch’egli va scovando

nella biblioteca, aver cioè il loro particolar sapore. Io scrollo le spalle e gli rispondo

che non è fatica per me. E poi altro mi trattiene.

Tutto sudato e impolverato, don Eligio scende dalla scala e viene a prendere

una boccata d’aria nell’orticello che ha trovato modo di far sorgere qui dietro l’abside, 

35    riparato giro giro da stecchi e spuntoni.

«Eh, mio reverendo amico», gli dico io, seduto sul murello, col mento appoggiato 

al pomo del bastone, mentr’egli attende alle sue lattughe. «Non mi par più

tempo, questo, di scriver libri, neppure per ischerzo. In considerazione anche della

letteratura, come per tutto il resto, io debbo ripetere il mio solito ritornello: Maledetto 

40    sia Copernico!».

«Oh oh oh, che c’entra Copernico!», esclama don Eligio, levandosi su la vita,

col volto infocato sotto il cappellaccio di paglia.

«C’entra, don Eligio. Perché, quando la Terra non girava…».

«E dàlli! Ma se ha sempre girato!».

45    «Non è vero. L’uomo non lo sapeva, e dunque era come se non girasse. Per

tanti, anche adesso non gira. L’ho detto l’altro giorno a un vecchio contadino, e

sapete come m’ha risposto? ch’era una buona scusa per gli ubriachi. Del resto,

anche voi scusate, non potete mettere in dubbio che Giosuè fermò il Sole.4 Ma

lasciamo star questo. Io dico che quando la Terra non girava, e l’uomo, vestito da

50    greco o da romano, vi faceva così bella figura e così altamente sentiva di sé e tanto

si compiaceva della propria dignità, credo bene che potesse riuscire accetta una

narrazione minuta e piena d’oziosi particolari. Si legge o non si legge in Quintiliano, 

come voi m’avete insegnato, che la storia doveva esser fatta per raccontare

e non per provare?».5

55    «Non nego», risponde don Eligio, «ma è vero altresì che non si sono mai scritti

libri così minuti, anzi minuziosi in tutti i più riposti particolari, come dacché, a

vostro dire, la Terra s’è messa a girare».

«E va bene! Il signor conte si levò per tempo, alle ore otto e mezzo precise… La signora

contessa indossò un abito lilla con una ricca fioritura di merletti alla gola… Teresina si

60    moriva di fame… Lucrezia spasimava d’amore… Oh, santo Dio! e che volete che me

n’importi? Siamo o non siamo su un’invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di 

sole,6 su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira, senza saper perché,

senza pervenir mai a destino, come se ci provasse gusto a girar così, per farci sentire

ora un po’ più di caldo, ora un po’ più di freddo, e per farci morire – spesso con la

65    coscienza d’aver commesso una sequela di piccole sciocchezze – dopo cinquanta o

sessanta giri? Copernico, Copernico, don Eligio mio ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente. 

Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione

dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo,

con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni; e che valore dunque volete che abbiano 

70    le notizie, non dico delle nostre miserie particolari, ma anche delle generali

calamità? Storie di vermucci ormai le nostre. Avete letto di quel piccolo disastro

delle Antille?7 Niente. La Terra, poverina, stanca di girare, come vuole quel canonico 

polacco, senza scopo, ha avuto un piccolo moto d’impazienza, e ha sbuffato un

po’ di fuoco per una delle tante sue bocche. Chi sa che cosa le aveva mosso quella

75    specie di bile. Forse la stupidità degli uomini che non sono stati mai così nojosi

come adesso. Basta. Parecchie migliaja di vermucci abbrustoliti. E tiriamo innanzi.

Chi ne parla più?».

Don Eligio Pellegrinotto mi fa però osservare che, per quanti sforzi facciamo

nel crudele intento di strappare, di distruggere le illusioni che la provvida natura

80    ci aveva create a fin di bene, non ci riusciamo. Per fortuna, l’uomo si distrae 

facilmente.

Questo è vero. Il nostro Comune, in certe notti segnate nel calendario, non fa

accendere i lampioni, e spesso – se è nuvolo – ci lascia al bujo.

Il che vuol dire, in fondo, che noi anche oggi crediamo che la luna non stia

85    per altro nel cielo, che per farci lume di notte, come il sole di giorno, e le stelle per

offrirci un magnifico spettacolo. Sicuro. E dimentichiamo spesso e volentieri di

essere atomi infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di

azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose, che, ove fossimo veramente 

compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie incalcolabili.

90    Ebbene, in grazia di questa distrazione provvidenziale, oltre che per la stranezza 

del mio caso, io parlerò di me, ma quanto più brevemente mi sarà possibile,

dando cioè soltanto quelle notizie che stimerò necessarie.

Alcune di esse, certo, non mi faranno molto onore; ma io mi trovo ora in una

condizione così eccezionale, che posso considerarmi come già fuori della vita, e

95    dunque senza obblighi e senza scrupoli di sorta.

Cominciamo.

 >> pagina 281

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

La seconda premessa del romanzo segue alla lettera i princìpi fondamentali del codice umoristico, a partire dal titolo, Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa, dove il ricorso alle parentesi, ridimensionando il riferimento alla filosofia, suona autoironico, ma allo stesso tempo suggerisce il valore metaforico dell’opera. Con l’espediente delle parentesi, in altre parole, l’autore sottrae il capitolo alla severità del pensiero accademico, senza però rinunciare a proporre una disamina appassionata della vita. Dietro i toni leggeri, infatti, emerge in modo chiaro l’esigenza di riflettere sull’atto stesso della scrittura e dell’arte.

La chiesa sconsacrata adibita a biblioteca di Miragno, piena di polvere e di topi, è lo scenario d’apertura del romanzo (cui fa da contraltare, in chiusura, quello del cimitero): la confusione e la promiscuità di libri di cui nessuno conosce il contenuto è la prima metafora su cui si è indotti a soffermarsi. Ricordando probabilmente una biblioteca di Agrigento che aveva frequentato da giovane, Pirandello costruisce un’immagine di desolante trascuratezza, nella quale tuttavia trova modo di introdurre il tema del doppio. Tra le pile di libri accatastate, infatti, un volume di ars amatoria si trova per caso attaccato a una Vita e morte di un beato (Per l’umidità, le legature de’ due volumi si erano fraternamente appiccicate, rr. 19-20). Una descrizione così precisa è tutt’altro che casuale: come ha fatto notare Giancarlo Mazzacurati, i due libri si svelano «specularmente sdoppiati tra cielo e inferno, sublime e comico, come le vie dell’umorismo, capricciose, illogiche». L’immagine affronta – quasi indirettamente e con leggerezza umoristica – uno dei problemi fondamentali del razionalismo occidentale: il superamento dialettico dei contrari. La dualità appare a Pirandello non più come un’opposizione che va risolta – superata, appunto –, ma come una fusione, una compenetrazione analoga alla coincidentia oppositorum (“coincidenza degli opposti”) dei mistici.

Dietro la celebre esclamazione di Mattia (io debbo ripetere il mio solito ritornello: Maledetto sia Copernico!, rr. 39-40) vi è un profondo rimpianto per la grandezza epica del mondo del passato, un mondo in cui l’essere umano, non ancora cosciente della sua insignificante piccolezza, riteneva di trovarsi al centro di un incrollabile sistema di certezze. Quando la Terra non girava… (r. 43), continua Mattia, ma è subito interrotto da don Eligio; il discorso lasciato in sospeso suggerisce una pluralità di confronti fra antico e moderno, volti però in definitiva a riconoscere l’inutilità della scrittura (di una narrazione minuta e piena d’oziosi particolari, rr. 51-52) in un mondo smitizzato. L’effetto straniante è generato proprio da questa dichiarazione iniziale, cioè nella negazione ostentata dell’atto di narrare (Non mi par più tempo, questo, di scriver libri, neppure per ischerzo, rr. 37-38), del quale i lettori, paradossalmente, hanno però davanti la piena realizzazione, il romanzo compiuto. Il gioco sottile dell’affermazione-negazione lascia emergere impietosamente la contraddizione radicata nel pensiero della modernità: negare il senso di ciò che si sta facendo, mettendo in dubbio la realtà, è la sfida che Pirandello lancia alla narrativa del suo tempo.

La relazione tra gli studi di Copernico e la riflessione umoristica è testimoniata, del resto, da un passo del saggio L’umorismo, in cui si legge che «Uno dei più grandi umoristi, senza saperlo, fu Copernico, che smontò non propriamente la macchina dell’universo, ma l’orgogliosa immagine che ce n’eravamo fatta».

 >> pagina 282 

Le scelte stilistiche

Il dialogo tra Mattia e don Eligio, costituito spesso da brevissime battute che si accavallano, è impostato sulla ricerca di uno stile nuovo con cui intraprendere la scrittura del romanzo. In un certo senso, è come se Pirandello ammettesse il lettore nel suo laboratorio, permettendogli di assistere alla formazione di un innovativo modo di narrare.

Ciò che risulta chiaro da subito è che cosa non deve essere un romanzo (Il signor conte si levò per tempo, alle ore otto e mezzo precise… La signora contessa indossò un abito lilla con una ricca fioritura di merletti alla gola… ecc., rr. 58-60): nella varietà di questi esordi, tratti dagli stili correnti della letteratura dell’Ottocento, emerge un repertorio di formule e di personaggi stereotipati, quelli del romanzo realistico, che Pirandello rifiuta programmaticamente.

L’autore non esibisce alcuna precisione documentaria né effetti patetici, ma una scrittura cosciente della propria precarietà, del relativismo delle percezioni, dell’incomunicabilità tra gli individui. Da qui deriva uno stile incerto e smarrito, proprio di un narratore poco convinto di voler raccontare i fatti ma ormai coinvolto in una storia che, solo per la sua stranezza, vale la pena di provare a ripercorrere (Ebbene, in grazia di questa distrazione provvidenziale, oltre che per la stranezza del mio caso, io parlerò di me, ma quanto più brevemente mi sarà possibile, dando cioè soltanto quelle notizie che stimerò necessarie, rr. 90-92).

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Chi tenta, per primo, di mettere ordine nel caos della biblioteca Boccamazza?


2 Che cosa risponde Mattia quando don Eligio gli consiglia di scrivere le sue memorie?


3 Per fortuna, l’uomo si distrae facilmente (rr. 80-81): quali considerazioni seguono questa “sentenza” e in che modo servono a giustificare la stesura del romanzo?


4 Nel brano viene citato un catastrofico evento naturale: di quale fatto si tratta e a quale scopo entra nel discorso di Mattia Pascal?

ANALIZZARE

5 Descrivi brevemente come si presenta la chiesa sconsacrata adibita a biblioteca in cui lavora Mattia Pascal.


6 Nel passo in cui viene descritta l’infinita nostra piccolezza (r. 68) si trovano diversi diminutivi e dispregiativi. Individuali e inseriscili nella tabella.


 Diminutivi

Dispregiativi


 


 


 

INTERPRETARE

7 In che modo, secondo Mattia, la rivoluzione copernicana arriva a svuotare di significato la letteratura?

COMPETENZE LINGUISTICHE

8 Il termine babilonia (r. 7) deriva dall’episodio biblico della torre di Babele e significa “grande confusione”: nasce come un’antonomasia, la figura retorica attraverso cui un nome proprio diventa un nome comune, che indica proprio le peculiarità del luogo o del personaggio nominato. Spiega origine e significato delle seguenti antonomasie:


un’odissea  sodoma e gomorra  un gradasso  un mecenate  un creso

Produrre

9 Scrivere per argomentare. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo (rr. 67-68). Rifletti su questo passo e, più in generale, sulle conseguenze a lungo termine delle scoperte scientifiche. Si sono verificate, secondo te, altre “rivoluzioni copernicane” nell’ultimo secolo? Come hanno modificato la nostra immagine del mondo e la nostra vita quotidiana?

Vola alta parola - volume 6
Vola alta parola - volume 6
Dal Novecento a oggi