LETTURE critiche

LETTURE critiche

Pasolini, un classico in divenire

di Roberto Carnero

In apertura della sua monografia Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo Pasolini il critico Roberto Carnero (n. 1970) individua le ragioni della singolarità dell’opera pasoliniana all’interno del panorama italiano del secondo Novecento, non mancando di notarne la particolare carica profetica.

Mi verrebbe da dire che Pier Paolo Pasolini è stato lo scrittore italiano più importante degli ultimi sessant’anni. Ma so di non poterlo affermare in maniera così apodittica, perché, probabilmente, non è vero. Ci sono infatti altre figure di notevole statura letteraria che possono degnamente aspirare a contendergli tale primato: Calvino, Pavese, Fenoglio, la Morante...

Ma mi sembra che Pasolini sia stato, comunque, uno scrittore unico. Almeno per due ragioni. La prima: la sua straordinaria capacità di cimentarsi su più fronti e in più generi: dalla poesia alla narrativa, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla critica di tipo più filologico. Con la tendenza a rinnovarsi continuamente, all’interno di un discorso creativo aperto e mobile.

La seconda ragione, invece, ha a che fare con il suo ruolo di intellettuale, quello di cui oggi sentiamo la mancanza. Seppure non senza alcune ambiguità e personali idiosincrasie, Pasolini è stato capace di interrogarsi sul presente, di leggere la contemporaneità in relazione al passato e alla storia, di condurre analisi lucide e impietose sul nostro Paese. E oggi, a più di trent’anni dalla sua scomparsa, alcune sue intuizioni sui lati più oscuri e problematici della nostra società ci appaiono, purtroppo, davvero profetiche. Profetiche in senso etimologico: profeta nella Bibbia, in base ai diversi significati della preposizione greca (e poi latina) pro, è colui che parla “davanti” al popolo, “in favore del” popolo e “in nome di” Dio. Sicuramente le prime due accezioni sono verificabili nelle profezie pasoliniane: pronunciate senza paura davanti a milioni di lettori, sperando, in qualche modo, di poterli salvare. E Dio, per lui laico, è quella verità, sempre scomoda, di cui si propone come portatore.

Pasolini è un continente. L’opera di Pasolini, ha scritto lo studioso Marco Antonio Bazzocchi, è «un’opera ampia e magmatica ma anche perfetta nella sua progettualità aperta. Un enorme palinsesto da indagare a pezzi, a frammenti, per cortocircuiti parziali in cui ogni pagina sembra far risuonare l’eco di una pagina precedente, senza che se ne possa cogliere completamente l’insieme». Ed è lo stesso Bazzocchi ad aver notato un dato interessante e significativo: Pasolini è, come dicevamo, un continente, ma un continente in gran parte ancora da esplorare. Nonostante, come si diceva, la mole di studi, di saggi e di volumi dedicati all’opera pasoliniana, alcuni di ottimo livello.

Da alcuni anni a questa parte, infatti, è stato possibile incrementare la conoscenza riguardo a questo autore. Nel 1998 parte l’edizione dell’opera omnia pasoliniana nei “Meridiani” Mondadori, a cura di Walter Siti, che si conclude nel 2006: dieci tomi con testi che ammontano a una mole circa il doppio di quanto si conosceva prima. Sappiamo anzi che Siti non ha pubblicato tutto quello che c’è, ma ha operato una scelta. Lavorando su Pasolini si ha dunque la sensazione di occuparsi sì di un classico, di uno scrittore ormai canonico all’interno del nostro Novecento, ma non certo di un autore imbalsamato, bensì di un artista la cui opera appare ancora in fieri.

Questo lo si è capito forse più all’estero che non in Italia, dove a volte Pasolini appare un po’ snobbato, o magari citato, ma quasi sempre a sproposito. Sia da una destra sospettosa nei confronti del comunismo pasoliniano, sia da una certa sinistra che lo ha giudicato non sufficientemente conforme e lineare nelle posizioni da lui di volta in volta assunte. Per questo si può dire che in parte Pasolini è stato abbandonato dalla cultura italiana contemporanea. Ma in fondo già ai suoi tempi Pasolini era un corpo estraneo alla nostra cultura nazionale. E se fosse vivo oggi, lo sarebbe ancora di più, in una società conformista come la nostra. Caso mai si conosce e si cita il Pasolini polemista, ma viene misconosciuta la portata delle sue innovazioni artistiche, come anche l’importanza della sua ricerca tecnica sulle modalità della rappresentazione.

L’opera pasoliniana va letta dunque come un tutt’uno, in cui le diverse fasi di un lavoro artistico complesso e articolato si intersecano e si contaminano a vicenda. Una grande opera totale [...] all’interno della quale è difficile scindere i diversi generi: pena il rischio di proporre improbabili classifiche settoriali, come fanno periodicamente quei critici che rilanciano il Pasolini poeta per negare valore al narratore o viceversa. L’opera di Pasolini va letta invece nella consustanziale interdipendenza tra le diverse parti. La «contraddizione costitutiva» dell’opera pasoliniana è infatti, per usare le parole di Vittorio Spinazzola, «inquietamente feconda».


Roberto Carnero, Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo Pasolini, Bompiani, Milano 2010

Comprendere il pensiero critico

1 Quali sono le due caratteristiche che rendono Pasolini uno scrittore unico nel panorama letterario della seconda metà del Novecento?


2 Che cosa intende Carnero definendo Pasolini «un continente»?


3 Come si deve affrontare l’opera di Pasolini?

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La forza dell’argomentazione e dello stile negli Scritti corsari

di Alfonso Berardinelli

Le feroci critiche a molti aspetti della società e della cultura del tempo contenute negli Scritti corsari costarono a Pasolini accuse di ostinazione passionale, irragionevolezza, schematismo ideologico. Eppure – sottolinea il critico Alfonso Berardinelli (n. 1943) – le sue analisi partivano sempre da elementi concreti, desunti dalla propria esperienza personale e da uno sguardo diretto, spesso di tipo semiologico, sulla realtà dell’Italia di allora.

L’invisibile rivoluzione conformistica, l’«omologazione culturale», la «mutazione antropologica» degli italiani, di cui Pasolini parlava con tanto inspiegabile accanimento e sofferenza dal 1973 al 1975 (l’anno della sua morte), non erano affatto fenomeni invisibili. Era lui solo a vederli? Perché i suoi discorsi suonavano allora così inopportuni, irritanti, scandalosi? Anche gli interlocutori meno rozzi gli rimproveravano, nello stesso tempo e come sempre, l’ostinazione passionale e lo schematismo ideologico. Ciò che Pasolini diceva era insomma, in larga misura, risaputo. La sociologia e la teoria politica avevano già parlato. I critici dell’idea di progresso, della società di massa, della mercificazione totale, avevano già detto da tempo tutto ciò che c’era da dire. La stessa Nuova Sinistra non era forse nata da queste analisi? Che senso aveva fare ora gli apocalittici? Si trattava, anche per l’Italia, di una normale e prevedibile catastrofe dovuta al normale e prevedibile sviluppo capitalistico. Perché Pasolini si ostinava col suo caso personale? Rimpiangere il passato era assurdo (quando mai un ideologo, un politico, uno scienziato sociale osano rimpiangere qualcosa?). Tornare indietro era impossibile. Soffermarsi in modo così irragionevole sui «prezzi da pagare» per andare avanti era inopportuno e poco virile. La sola cosa era semmai organizzare una lotta rivoluzionaria contro il Potere e il Capitale divenuti ormai interamente multinazionali: o cercare di controllare e «civilizzare» la loro inarrestabile e tutto sommato positiva dinamica. Così, gli articoli che Pasolini scriveva sulle prime pagine del “Corriere della Sera” (allora diretto dall’innovatore Piero Ottone),1 giornale borghese e padronale e anti-operaio, non potevano che suscitare reazioni irritate, gesti di noncuranza, deplorazione e perfino disprezzo.

Soprattutto chi ricorda anche vagamente le polemiche giornalistiche di allora, a rileggere questi Scritti corsari può restare sbalordito. Non solo per l’intelligenza, per l’immaginazione sociologica di Pasolini, che sa ricavare una tale visione d’insieme da una base empirica limitata alla propria esperienza personale e occasionale (ma del resto da dove derivava tutto il sapere «sociologico» dei grandi romanzieri del passato, da Balzac e Dickens in poi, se non dalla loro capacità di vedere quello che avevano sotto gli occhi?). In nessun semiologo specializzato e professionale la semiologia, che Pasolini nomina con grande rispetto ma di cui fa un uso così discreto, ha fruttato tanto. Si resta sbalorditi soprattutto, direi, dall’inventività inesauribile del suo stile saggistico e polemico, dalla selvaggia energia e astuzia socratica della sua arte retorica e dialettica, della sua «psicagogia»:2 che sa far emergere con tanta chiarezza i pregiudizi intellettuali (di ceto, di casta), e spesso l’ottusità un po’ meschina e persecutoria dei suoi interlocutori. Che sembrano avere sempre torto: o, se hanno in parte ragione, la loro ragione risulta stridula e stizzosa, oltre che conoscitivamente inerte. Mentre Pasolini stava cercando di rivelare qualcosa di nuovo, loro non facevano che difendere nozioni acquisite.

Il fatto è che per Pasolini i concetti sociologici e politici diventavano evidenze fisiche, miti e storie della fine del mondo. Finalmente, così, Pasolini trovava il modo di esprimere, di rappresentare e drammatizzare teoricamente e politicamente le sue angosce. Solo ora gli era possibile ritrovare uno spazio che sentiva perduto negli anni precedenti, e usare in modo diretto la propria ragione autobiografica per parlare in pubblico del destino presente e futuro della società italiana, della sua classe dirigente, della fine irreversibile e violenta di una storia secolare.

Ma l’evidenza fisica della sparizione di un mondo, che doveva essere ed era in effetti sotto gli occhi di tutti, sembrava risultare invisibile ai più. Nella descrizione sommaria, violentemente schematica di queste evidenze fisiche, Pasolini era unilaterale, ingiusto. A volte sembrava accecato dalle sue visioni. Era un’invincibile estraneità che faceva sembrare «tutte uguali» le facce dei nuovi giovani (come sembrano «tutte uguali» le facce di popoli lontani che non abbiamo ancora imparato a guardare, ad amare). Ma il senso dell’argomentazione era chiaro: ciò che rendeva indistinguibili un giovane fascista da un giovane anti-fascista, o una coppia di proletari da una coppia di borghesi, era la fine del fascismo e dell’antifascismo classici, la fine del vecchio proletariato e della vecchia borghesia. Era l’avvento (l’Avvento) di un nuovo modello umano e di un nuovo potere che cancellavano il precedente volto fisico e culturale dell’Italia, mutando radicalmente la base sociale e umana delle vecchie istituzioni. […]

Nonostante lo schematismo concettuale, Scritti corsari resta uno dei rari esempi in Italia di critica intellettuale radicale della società sviluppata. Se non può sostituire da solo una sociologia spregiudicata e ricca di descrizioni (peraltro sempre meno praticata dagli specialisti), è almeno in parte riuscito a salvare l’onore della nostra cultura letteraria, spesso così manieristica e di ristrette vedute. Ciò che anche qui colpisce in Pasolini è il colore livido e luttuoso delle sue constatazioni e dei suoi rifiuti, la tensione esasperata della sua razionalità, una disarmata mancanza di umori ironici e satirici. La forza degli Scritti corsari è anzitutto nella realtà emotiva e morale di questo lutto. […]

Quella degli Scritti corsari è un’ideologia «vocale», a braccio, che si muove sull’improvvisazione polemica e su una nitida architettura di concetti, di nervature razionali nude, che sostengono il fragile edificio del discorso con la forza dell’iterazione. […] Un nuovo potere sociale, pragmatico ed elementare, che tutto schiaccia nella sua uniformità, viene descritto con altrettanto spietata uniformità, e con un uso altrettanto pragmatico ed elementare dei concetti, come per ritorsione mimetica. La genialità saggistico-teatrale di Pasolini è tutta in questo intellettualismo spoglio, geometrico che esprime distruttivamente la sua angoscia per la perdita di un oggetto d’amore, e per la desacralizzazione moderna di tutta la realtà.


Alfonso Berardinelli, Prefazione, in Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano 2001

Comprendere il pensiero critico

1 Perché gli articoli di Pasolini – pur analizzando fenomeni sotto gli occhi di tutti – generarono tanto scalpore?


2 Che cosa intende Berardinelli giudicando gli Scritti corsari come «critica intellettuale radicale della società sviluppata»?

Vola alta parola - volume 6
Vola alta parola - volume 6
Dal Novecento a oggi