T6 - L’inganno dell’uguaglianza

T6

L’inganno dell’uguaglianza

Cap. 4

Nell’istante in cui le operazioni di voto prendono avvio, un’«Italia nascosta» inizia a sfilare davanti al seggio, forse con l’illusione di esercitare un ruolo e una responsabilità nella vita della nazione, o forse soltanto con l’eccitazione dovuta a un’esperienza che spezza la monotonia della quotidianità. Osservando un rito che a poco a poco gli appare assurdo – i malati che esprimono il proprio voto in uno stato di inconsapevolezza – Amerigo sente nascere dentro di sé un atroce sospetto: che il suo ideale di uguaglianza sia un concetto vuoto, sconfitto dalla «trappola» messa in atto dal potere per esercitare il proprio dominio.

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Audiolettura

A tutto ci si abitua, più in fretta di quanto non si creda. Anche a veder votare i ricoverati

del «Cottolengo». Dopo un poco, già sembrava la vista più usuale e monotona,

per quelli di qua del tavolo: ma di là, nei votanti, continuava a serpeggiare il fermento

dell’eccezione, della rottura della norma. Le elezioni in sé non c’entravano: chi ne

5     sapeva nulla? Il pensiero che li occupava pareva essere soprattutto quello dell’insolita

prestazione pubblica richiesta a loro, abitatori d’un mondo nascosto, impreparati

a recitare una parte di protagonisti sotto l’inflessibile sguardo di estranei, di rappresentanti

d’un ordine sconosciuto; soffrendone alcuni, moralmente e nel fisico

(avanzavano barelle con malati e arrancavano le grucce1 di sciancati2 e paralitici3),

10    altri ostentando una specie di fierezza, come d’un riconoscimento finalmente giunto

della propria esistenza. C’era dunque in questa finzione di libertà che era stata loro

imposta – si domandava Amerigo – un barlume, un presagio di libertà vera? O era

solo l’illusione, per un momento e basta, d’esserci, di mostrarsi, d’avere un nome?

Era un’Italia nascosta che sfilava per quella sala, il rovescio di quella che si sfoggia

15    al sole, che cammina le strade e che pretende e che produce e che consuma, era il segreto

delle famiglie e dei paesi, era anche (ma non solo) la campagna povera col suo

sangue avvilito, i suoi connubi incestuosi nel buio delle stalle, il Piemonte disperato

che sempre stringe dappresso il Piemonte efficiente e rigoroso, era anche (ma non

solo) la fine delle razze quando nel plasma4 si tirano le somme di tutti i mali dimenticati

20    d’ignoti predecessori, la lue5 taciuta come una colpa, l’ubriachezza solo paradiso6

(ma non solo, ma non solo), era il rischio d’uno sbaglio che la materia di cui è

fatta la specie umana corre ogni volta che si riproduce, il rischio (prevedibile del resto

in base al calcolo delle probabilità come nei giochi di fortuna) che si moltiplica per

il numero delle insidie nuove, i virus, i veleni, le radiazioni dell’uranio… il caso che

25    governa la generazione umana che si dice umana proprio perché avviene a caso…

E che cos’era se non il caso ad aver fatto di lui Amerigo Ormea un cittadino

responsabile, un elettore cosciente, partecipe del potere democratico, di qua del

tavolo del seggio, e non – di là del tavolo – per esempio, quell’idiota7 che veniva

avanti ridendo come se giocasse?

30    Di fronte al presidente del seggio, l’idiota scattò sull’attenti, fece il saluto militare,

porse i documenti: carta d’identità, certificato elettorale, tutto in regola.

– Bravo, – fece il presidente.

Quello prese la scheda, la matita, sbatté di nuovo i tacchi, rifece il saluto, marciò

sicuro verso la cabina.

35    – Questi sì che sono elettori come si deve, – disse forte Amerigo, pur rendendosi

conto che era una battuta banale e di cattivo gusto.

– Poveretti, – disse la scrutatrice in blusa bianca, e poi: – Mah! Beati loro…

Amerigo, velocemente, pensò al Discorso della Montagna,8 alle varie interpretazioni

dell’espressione «poveri di spirito», a Sparta e a Hitler che sopprimevano gli

40    idioti e i deformi; pensò al concetto d’eguaglianza, secondo la tradizione cristiana

e secondo i principi dell’89,9 poi alle lotte della democrazia durante tutto un secolo

per imporre il suffragio universale, agli argomenti che opponeva la polemica

reazionaria, pensò alla Chiesa che da ostile era diventata favorevole; e ora al nuovo

meccanismo elettorale della «legge-truffa» che avrebbe dato maggior potere al voto

45    di quel povero idiota che al suo.

Ma questo suo implicito considerare il proprio voto come superiore a quello

dell’idiota, non era già un riconoscere che la vecchia polemica antiegualitaria aveva

la sua parte di ragione?

Altro che «legge-truffa». La trappola era scattata da un pezzo. La Chiesa, dopo

50    un lungo rifiuto, aveva preso in parola l’eguaglianza dei diritti civili di tutti gli

uomini, ma al concetto d’uomo come protagonista della Storia aveva sostituito

quello di carne d’Adamo misera e infetta e che pur sempre Dio può salvare con

la Grazia. L’idiota e il «cittadino cosciente» erano uguali in faccia all’onniscienza

e all’eterno, la Storia era restituita nelle mani di Dio, il sogno illuminista messo

55    in scacco quando pareva che vincesse. Lo scrutatore Amerigo Ormea si sentiva un

ostaggio catturato dall’esercito nemico.

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Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Il seggio allestito nel parlatorio del Cottolengo, che sembra suggerire al protagonista nuove conquiste positive della civiltà umana, è in realtà il luogo in cui presto si manifesta la dimensione irrazionale della Natura, rappresentata dagli individui storpi e menomati che sfilano davanti al tavolo dell’urna di voto. Osservandoli, Amerigo comincia a nutrire dubbi sull’idea di uguaglianza per la quale si è sempre battuto, fino ad arrivare a pensare che essa si sia in realtà trasformata in uno strumento di potere in mano alla Chiesa e al partito che ne rappresenta gli orientamenti in sede politica, la Democrazia cristiana.

La messa in discussione delle proprie certezze, in particolare, avviene quando Ormea ammette implicitamente, tra sé e sé, che il suo voto di cittadino cosciente sia da considerarsi superiore a quello di un individuo incapace di intendere e di volere: questa ammissione equivale a riconoscere le ragioni delle ideologie antiegualitarie (Ma questo suo implicito considerare il proprio voto come superiore a quello dell’idiota, non era già un riconoscere che la vecchia polemica antiegualitaria aveva la sua parte di ragione?, rr. 46-48). Ma è la stessa concezione di umanità a essere sottoposta al dubbio: agli occhi del protagonista, dopo aver a lungo rifiutato l’idea di uguaglianza la Chiesa l’ha fatta propria, sostituendo però al concetto umanistico e illuministico dell’uomo come artefice della propria fortuna la necessità, per lui, di accettare il suo essere carne d’Adamo misera e infetta (r. 52).

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Le scelte stilistiche

Il brano, come tutto il romanzo, è narrato in terza persona, ma la vicenda è interamente focalizzata sullo stato d’animo di Amerigo e sul suo monologo dialettico, composto da pensieri che l’autore riferisce quasi in presa diretta e che paiono avvitarsi su sé stessi, senza consentire l’individuazione di uno spiraglio rassicurante. L’oscillare interiore delle inquietudini del protagonista è volutamente reso da Calvino con una prosa concitata e affannosa, in cui la frequenza delle proposizioni interrogative (solo in questo breve passo se ne contano cinque) esprime quel groviglio di dilemmi e di ripensamenti che costituiscono la testimonianza di un uomo le cui certezze ideologiche sono ormai sconvolte.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 In che cosa consiste, per i votanti del Cottolengo, la rottura della norma?


2 Lo scrutatore Amerigo Ormea si sentiva un ostaggio catturato dall’esercito nemico (rr. 55-56): che cosa significa questa frase che conclude il brano?

Analizzare

3 L’autore ricorre spesso alla figura retorica dell’elencazione: individuane qualche esempio e spiegane l’effetto espressivo.


4 Rintraccia i discorsi indiretti liberi presenti nel testo. Qual è la loro funzione?

Interpretare

5 Perché, a tuo giudizio, l’autore ripete più volte l’espressione ma non solo (rr. 16, 18-19, 21)? E perché la colloca tra parentesi tonde?


6 Come spieghi l’apparente contraddizione della scrutatrice che prima apostrofa i malati del Cottolengo con Poveretti e subito dopo si corregge con la frase Mah! Beati loro… (r. 37).

Produrre

7 Scrivere per raccontare. Mantenendo inalterati gli argomenti e i ragionamenti presenti nel brano, scrivi in prima persona un testo di circa 20 righe, la cui voce narrante sia quella di Amerigo Ormea.

T7

Il confine dell’umano

Cap. 12

A un certo punto Amerigo Ormea è incaricato di andare a raccogliere il voto dei malati che non possono lasciare il letto. È qui che lo scrutatore si pone una serie di domande sui confini di ciò che è umano, trovando una risposta provvisoria nell’amore dimostrato da un vecchio contadino nei confronti del figlio.

Un certo numero degli iscritti a votare del «Cottolengo» erano malati che non potevano

lasciare il letto e la corsia. La legge prevede in questi casi che tra i componenti

del seggio se ne scelgano alcuni per costituire un «seggio distaccato» che vada a

raccogliere i voti dei malati nel «luogo di cura» cioè là dove si trovano. Si misero

5      d’accordo per formare questo «seggio distaccato» con il presidente, il segretario, la

scrutatrice in bianco e Amerigo. Il «seggio distaccato» aveva in dotazione due scato-

le, una con le schede da votare e l’altra per raccogliere le schede votate, un fascicolo

speciale come registro e l’elenco dei «votanti nel luogo di cura».

Presero le cose e andarono. Li guidava su per le scale un ricoverato di quelli

10    «bravi», un giovanotto piccolo e tozzo che, nonostante i brutti lineamenti, la zucca

rapata e subito sotto i sopraccigli spessi e uniti, si dimostrava all’altezza del suo

compito e premuroso, tanto che pareva finito lì per sbaglio, per via della faccia. –

In questo reparto ce n’è quattro –. Ed entrarono.

Era un camerone lungo e si andava tra due bianche file di letti. L’occhio, uscendo

15    dall’ombra della scala, provava un senso d’abbagliamento, doloroso, che forse

era soltanto una difesa, quasi un rifiuto di percepire in mezzo al bianco d’ogni

monte di lenzuola e guanciali la forma di colore umano che ne affiorava; oppure

una prima traduzione, dall’udito nella vista dell’impressione d’un grido acuto,

animale, continuo ghiii… ghiii… ghiii… che si levava da un qualche punto della

20    corsia, a cui rispondeva a tratti da un altro punto un sussultare come di risata o

latrato: gaa! Gaa! Gaa! Gaa!

Il grido acuto proveniva da una minuscola faccia rossa, tutta occhi e bocca

aperta in un fermo riso, d’un ragazzo a letto, in camicia bianca, seduto, ossia che

spuntava col busto dall’imboccatura del letto come una pianta viene su da un

25    vaso, come un gambo di pianta che finiva (non c’era segno di braccia) in quella

testa come un pesce, e questo ragazzo-pianta-pesce (fino a dove un essere umano

può dirsi umano? si chiedeva Amerigo) si muoveva su e giù inclinando il busto a

ogni «ghiii… ghiii…» E il «gaa! Gaa!» che gli rispondeva era d’uno che nel letto

prendeva meno forma ancora, eppure protendeva una testa boccuta, avida, congestionata,

30    e doveva avere braccia – o pinne – che si muovevano sotto le lenzuola in

cui era come insaccato, (fino a che punto un essere può dirsi un essere, di qualsiasi

specie?), e altri suoni di voci gli facevano eco, eccitate forse dall’apparire di persone

nella corsia, e anche un ansare e gemere, come d’un urlo che stesse per levarsi e

subito si soffocasse, questo d’un adulto.

35    Erano, in quell’infermeria, parte adulti – pareva – parte ragazzi e bambini, se

si doveva giudicare dalle dimensioni e da segni, come i capelli o il colore della

pelle, che contano tra le persone di fuori. Uno era un gigante con la smisurata testa

da neonato tenuta ritta dai cuscini: stava immobile, le braccia nascoste dietro la

schiena, il mento sul petto che s’alzava in un ventre obeso, gli occhi che non guardavano

40    nulla, i capelli grigi sulla fronte enorme, (un essere anziano, sopravvissuto

in quella lunga crescita di feto?), impietrito in una tristezza attonita.

Il prete, quello col basco,1 era già nella corsia, ad aspettarli, anche lui con in

mano un suo elenco. Vedendo Amerigo si fece scuro in viso. Ma Amerigo in quel

momento non pensava più all’insensato motivo per cui si trovava lì; gli pareva

45    che il confine di cui ora gli si chiedeva il controllo fosse un altro: non quello della

«volontà popolare», ormai perduto di vista da un pezzo, ma quello dell’umano.

Il prete e il presidente s’erano avvicinati alla Madre2 che dirigeva quel reparto,

coi nomi dei quattro iscritti a votare, e la Madre li indicava. Altre suore venivano

portando un paravento, un tavolino, tutte le cose necessarie per fare le elezioni lì.

50    Un letto alla fine della corsia era vuoto e rifatto; il suo occupante, forse già in convalescenza,

era seduto su una seggiola da una parte del letto, vestito d’un pigiama di

lana con sopra una giacca, e seduto dall’altra parte del letto era un vecchio col cappel-

lo, certamente suo padre, venuto quella domenica in visita. Il figlio era un giovanotto,

deficiente, di statura normale ma in qualche modo – pareva – rattrappito nei movimenti.

55    Il padre schiacciava al figlio delle mandorle, e gliele passava attraverso al letto, e

il figlio le prendeva e lentamente portava alla bocca. E il padre lo guardava masticare.

I ragazzi-pesce scoppiavano nei loro gridi, e ogni tanto la Madre si staccava dal

gruppo di quelli del seggio per andare a zittire uno troppo agitato, ma con scarso

esito. Ogni cosa che accadeva nella corsia era separata dalle altre, come se ogni

60    letto racchiudesse un mondo senza comunicazione col resto, salvo per i gridi che

s’incitavano uno con l’altro, in crescendo, e comunicavano un’agitazione generale,

in parte come un chiasso di passeri, in parte dolorosa, gemente. Solo l’uomo con

la testa enorme stava immobile, come non sfiorato da nessun suono.

Amerigo continuava a guardare il padre e il figlio. Il figlio era lungo di membra

65    e di faccia, peloso in viso e attonito,3 forse mezzo impedito da una paralisi. Il

padre era un campagnolo vestito anche lui a festa e in qualche modo, specie nella

lunghezza del viso e delle mani, assomigliava al figlio. Non negli occhi: il figlio

aveva l’occhio animale e disarmato,4 mentre quello del padre era socchiuso e sospettoso,

come nei vecchi agricoltori. Erano voltati di sbieco, sulle loro seggiole ai

70    due lati del letto, in modo da guardarsi fissi in viso, e non badavano a niente che

era intorno. Amerigo teneva lo sguardo su di loro, forse per riposarsi (o schivarsi)

da altre viste, o forse ancor di più, in qualche modo affascinato.

Intanto gli altri facevano votare uno in un letto. In questo modo: gli mettevano

intorno il paravento, col tavolino dietro, e per lui la suora, perché era paralitico,

75    votava. Tolsero il paravento, Amerigo lo guardò: era una faccia viola, riversa, come

un morto, a bocca spalancata, nude gengive, occhi sbarrati. Più che quella faccia,

nel guanciale affossato, non si vedeva; era duro come un legno, tranne un ansito5

che gli fischiava al fondo della gola.

Ma cosa hanno il coraggio di far votare? si domandò Amerigo, e solo allora si

80    ricordò che toccava a lui impedirlo.

Già rizzavano il paravento a un altro letto. Amerigo li seguì. Un’altra faccia

glabra,6 tumida,7 irrigidita a bocca aperta e storta, coi bulbi degli occhi fuori delle

palpebre senza ciglia. Questo però era inquieto, smanioso. – Ma c’è un errore! –

disse Amerigo, – come può votare, questo qui?

85    – Eppure, c’è il suo nome, Morin Giuseppe, – fece il presidente. E al prete: – È

proprio lui?

– Eh, qui c’è il certificato, – disse il prete: – impedimento motorio agli arti.

Madre, è lei, vero, che l’aiuta?

– Ma sì, ma sì, povero Giuseppe! – fece la Madre.

90    Quello sobbalzava come colto da scosse elettriche, gemendo.

Amerigo, ora toccava a lui. Si strappò con sforzo dai suoi pensieri, da quella

lontana zona di confine appena intravista – confine tra che cosa e che cosa? – e

tutto quello che era al di qua e al di là sembrava nebbia.

– Un momento, – disse, con una voce senz’espressione, sapendo di ripetere

95    una formula, di parlare nel vuoto, – è in grado l’elettore di riconoscere la persona

che vota per lui? È in grado di esprimere la sua volontà? Ehi, dico a lei, signor Morin:

è in grado?

– La solita storia, – disse il prete al presidente, – la Madre che sta qui con loro

giorno e notte, gli chiedono se la conosce… – e scosse il capo, con una risatina.

100 Anche la Madre sorrise, ma d’un sorriso che era per tutti e per nulla. Il problema

d’esser riconosciuta, pensò Amerigo, per lei non esisteva; e gli venne da confrontare

lo sguardo della vecchia suora con quello del contadino venuto a passare la domenica

al Cottolengo per fissare negli occhi il figlio idiota. Alla Madre non occorreva il

riconoscimento dei suoi assistiti, il bene che ritraeva da loro – in cambio del bene

105 che loro dava – era un bene generale, di cui nulla andava perso. Invece il vecchio

contadino fissava il figlio negli occhi per farsi riconoscere, per non perderlo, per

non perdere quel qualcosa di poco e di male, ma di suo, che era suo figlio.

La Madre, se da quel tronco d’uomo col certificato elettorale non veniva alcun

segno di riconoscimento, era la meno preoccupata di tutti: eppure, si dava da fare a

110 sbrigare quella formalità delle elezioni come una delle tante che il mondo di fuori

imponeva e che, per vie che lei non si curava d’indagare, condizionavano l’efficienza

del suo servizio; e così cercava d’alzare quel corpo con le spalle sui guanciali,

quasi che potesse far la figura di stare seduto. Ma nessuna posizione s’addiceva

più a quel corpo: le braccia, nel camicione bianco, erano rattrappite, con le mani

115 piegate in dentro, e anche le gambe aveva allo stesso modo, come se le membra

cercassero di tornare dentro se stesse a cercare un rifugio.

− Ma, parlare, – fece il presidente, con un dito alzato, come chiedendo scusa

del dubbio, – non può proprio?

− Parlare no, signor presidente, – disse il prete, – eh, parli, tu? No, non parli?

120 Vede che non parla. Ma capisce. Lo sai chi è lei, sì? È buona? Sì? Capisce. Del resto

ha già votato l’altra volta.

− Sì, sì, – disse la Madre, – questo qui ha sempre votato.

− Perché è così, ma poi capisce… – disse la scrutatrice in bianco: una frase che

non si capiva se fosse una domanda, un’affermazione, o una speranza. E si rivolse

125 alla Madre, come a coinvolgere nella sua domanda-affermazione-speranza anche

lei: – Capisce, neh?

− Eh… – la Madre allargò le braccia e guardò in su.

− Basta con questa commedia, – disse Amerigo, secco. – Non può esprimere la

sua volontà, cioè non può votare. È chiaro? Un po’ più di rispetto. Non c’è bisogno

130 di far altre parole.

(Voleva dire «un po’ più di rispetto» verso le elezioni oppure «un po’ più di

rispetto» verso la carne che soffre? Non lo specificò).

Si aspettava che le sue parole suscitassero una battaglia. Invece niente. Nessuno

protestò. Con un sospiro, scuotendo il capo, guardavano l’uomo rattratto.8 – Certo,

135 è peggiorato, – convenne il prete, a bassa voce. – Ancora due anni fa, votava.

Il presidente mostrò il registro ad Amerigo: – Cosa si fa: lasciamo in bianco o

facciamo un verbale a parte?

– Lasciamo. Lasciamo perdere, – fu tutto quello che seppe dire Amerigo; pensava

a un’altra domanda: se era più umano aiutarli a vivere o a morire, e anche a

140 quella non avrebbe saputo dare una risposta.

Così, aveva vinto la sua battaglia: il voto del paralitico non era stato estorto.

Ma un voto, cosa contava un voto? Questo era il discorso che gli faceva il «Cottolengo

» con i suoi gemiti e i suoi gridi, vedila la tua volontà popolare che scherzo

diventa, qua nessuno ci crede, qua ci si vendica dei poteri del mondo, era meglio

145 lasciarlo passare anche quel voto, era meglio che quella parte di potere guadagnata

così restasse incancellabile, inscindibile dalla loro autorità, che se la portassero su

di loro per sempre.

– E il 27? E il 15? – chiese la Madre. – Gli altri che dovevano votare, votano?

Il prete, data un’occhiata all’elenco, s’era avvicinato a un letto. Tornò scuotendo

150 il capo: – Anche quello là, sta male.

− Non riconosce? – fece la scrutatrice, come ci s’informa d’un parente.

− È peggiorato. Peggiorato, – fece il prete. – Non se ne fa niente.

− Anche questo, allora, lo depenniamo, – fece il presidente. – E il quarto? Dov’è

il quarto?

155 Ma il prete ormai l’aveva capita, voleva solo tagliar corto. – Se non può uno

non possono neanche gli altri; andiamo, andiamo, – e spingeva per il braccio il

presidente che cercava di controllare i numeri dei letti e a un certo momento si

fermò davanti al gigante immobile dalla testa enorme, e cercò nell’elenco come

per verificare se il numero del quarto votante era quello lì, ma il prete lo spingeva

160 via: – Andiamo, andiamo, vedo che qui sono tutti mal messi…

− Gli altri anni glielo facevano fare, – diceva la Madre, come se parlasse di

iniezioni.

− Eh, adesso sono peggiorati, – concluse il prete. – Si sa, il malato, o guarisce,

o peggiora.

165 − Non tutti sono in grado di votare, si capisce, poveretti, – disse la scrutatrice

come scusandosi.

− Oh, poveri noi! – rise la Madre. – Ce n’è che non possono votare, ce n’è. Vedesse

lì nella veranda…

− Si possono vedere? – chiese la scrutatrice.

170 − Ma sì, venite di qua, – e aperse una porta a vetri.

− Se sono di quelli che fanno impressione, io ho paura, – disse il segretario.

Anche Amerigo s’era tirato indietro.

La Madre sorrideva sempre: – Ma no, perché paura, buoni figli…

La porta dava su una terrazza, una specie di veranda; e c’era un semicerchio

175 di seggioloni con seduti tanti giovanotti, rapati in testa e incolti di barba, con le

mani poggiate sui braccioli. Portavano vestaglie a righe blu i cui lembi scendevano

a terra nascondendo il vaso che era sotto a ogni seggiolone, ma il puzzo e rivoli di

trabocco si perdevano sul pavimento, tra le loro gambe nude dai piedi calzati in

zoccoli. Anche tra loro c’era quella somiglianza fraterna che regna al «Cottolengo»

180 e anche l’espressione era simile, nelle bocche aperte, senza forma, maldentate: d’uno

sghignazzare che poteva anche essere un piangere; e lo strepito che mandavano

si fondeva in uno spento blaterio9 di risa e pianti. In piedi davanti a loro, un assistente

– uno di quei ragazzi brutti ma bravi – teneva l’ordine, con in mano una

canna, e interveniva quando uno voleva toccarsi, o alzarsi, o attaccava briga con

185 gli altri, o faceva troppo strepito. Sui vetri della veranda brillava un po’ di sole, e i

giovanotti ridevano ai riflessi o passavano mutevoli all’ira vociando contro l’uno o

l’altro, e poi subito dimenticavano.

Quelli del seggio guardarono un po’, dalla soglia, poi si ritirarono, ripercorsero

la corsia. La Madre li precedeva. – Lei è una santa, – disse la scrutatrice. Non ci

190 fossero anime come lei, questi infelici…

La vecchia suora muoveva lì intorno gli occhi chiari e lieti, come si trovasse in

un giardino pieno di salute, e rispondeva alle lodi con quelle frasi che si sanno,

improntate a modestia e ad amore del prossimo, ma naturali, perché tutto doveva

essere molto naturale per lei, non ci dovevano essere dubbi, dacché aveva scelto

195 una volta per tutte di vivere per loro.

Anche Amerigo avrebbe voluto dirle delle parole di ammirazione e simpatia, ma

quel che gli veniva da dire era un discorso sulla società come avrebbe dovuto essere

secondo lui, una società in cui una donna come lei non sarebbe considerata più una

santa perché le persone come lei si sarebbero moltiplicate, anziché star relegate in

200 margine, allontanate nel loro alone di santità, e vivere come lei, per uno scopo universale,

sarebbe stato più naturale che vivere per qualsiasi scopo particolare, e sarebbe

stato possibile a ognuno esprimere se stesso, la propria carica sepolta, segreta, individuale,

nelle proprie funzioni sociali, nel proprio rapporto con il bene comune…

Ma più s’ostinava a pensare queste cose, più s’accorgeva che non era tanto questo

205 che gli stava a cuore in quel momento, quanto qualcos’altro per cui non trovava

parole. Insomma, alla presenza della vecchia suora si sentiva ancora nell’ambito

del suo mondo, confermato nella morale alla quale aveva sempre (sia pur per approssimazione

e con sforzo) cercato di modellarsi, ma il pensiero che lo rodeva lì

nella corsia era un altro, era ancora la presenza di quel contadino e di suo figlio,

210 che gli indicavano un territorio per lui sconosciuto.

La suora aveva scelto la corsia con un atto di libertà, aveva identificato – respingendo

il resto del mondo – tutta se stessa in quella missione o milizia, eppure

– anzi: proprio per questo – restava distinta dall’oggetto della sua missione, padrona

di sé, felicemente libera. Invece il vecchio contadino non aveva scelto nulla, il

215 legame che lo teneva stretto alla corsia non l’aveva voluto lui, la sua vita era altrove,

sulle sue terre, ma faceva alla domenica il viaggio per veder masticare suo figlio.

Ora che il giovane idiota aveva terminato la sua lenta merenda, padre e figlio,

seduti sempre ai lati del letto, tenevano tutti e due appoggiate sulle ginocchia le

mani pesanti d’ossa e di vene, e le teste chinate per storto – sotto il cappello calato

220 il padre, e il figlio a testa rapata come un coscritto10 – in modo di continuare a

guardarsi con l’angolo dell’occhio.

Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari.

E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore.

E poi: l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che

225 gli diamo.

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Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

Tra le corsie in cui va a raccogliere il voto di chi non può recarsi al seggio, Amerigo Ormea vede con i propri occhi ciò che di umano resta in creature che perdono letteralmente – o che non hanno mai avuto – la forma e i segni di quello che noi siamo soliti chiamare umanità. L’allontanamento dal parlatorio in cui è insediato il seggio è quindi anche un allontanamento dalla “normalità”, accompagnato da una serie di dubbi su quali sia­no davvero i confini dell’umano e dell’esistenza stessa: fino a dove un essere umano può dirsi umano? (rr. 26-27); fino a che punto un essere può dirsi un essere, di qualsiasi specie? (rr. 31-32).


1 In che modo vengono definiti i malati del primo reparto? Che senso ha questa definizione?


2 Perché i segni che contano tra le persone di fuori (r. 37) qui non contano più?

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Quella che Amerigo ha di fronte è una sofferenza così diversa, così “oltre” i consueti parametri di lettura del reale, da rendere inservibili le chiavi interpretative che egli ha sempre impiegato nel suo approccio analitico alla realtà. Le soluzioni ideologiche tradizionali non bastano più dinanzi all’impatto violento che la natura ha sull’esistenza umana, e la convinzione di poter costruire una società razionale è messa radicalmente in dubbio dalla totale alterità del mondo sommerso che Amerigo vede qui per la prima volta.


3 A quale procedura cerca di opporsi Amerigo e perché?

Di fronte a questo scacco conoscitivo, Amerigo Ormea trova una via di uscita che, se non definitiva, è almeno utile a formulare una diversa idea di umanità. La svolta avviene grazie al confronto tra due figure che lo colpiscono: una suora dagli occhi chiari e lieti (r. 191) che aveva scelto una volta per tutte di vivere per loro (rr. 194-195), cioè per i pazienti dell’istituto; e un contadino seduto su una sedia a schiacciare mandorle per il figlio malato. Tra i due c’è una sostanziale differenza: se di fronte alla suora egli si sente ancora nell’ambito del suo mondo (rr. 206-207), il contadino e il figlio rappresentano un territorio per lui sconosciuto (r. 210). La prima ha scelto la carità come missione, restando per questo distinta dall’oggetto dei suoi gesti pietosi, libera e padrona di sé; il secondo, al contrario, non aveva scelto nulla (r. 214), e si trova ad accudire il figlio per caso, o per destino, quando la sua vita avrebbe dovuto essere altrove, sulle sue terre (rr. 215-216). Di fronte a questa visione, Amerigo pensa che questo modo d’essere è l’amore (r. 223): l’amore non è qualcosa che si persegua razionalmente, è qualcosa che capita. Ed è sulla base di questo nuovo criterio, quello dei legami affettivi che esistono oltre la nostra razionalità, che egli riesce finalmente a delineare i confini dell’umano: l’umano arriva dove arriva l’amore (r. 224).

Calvino è conscio di come questa affermazione non esaurisca la complessità del rea­le, e infatti essa non è posta in chiusura del testo, ma un poco più arretrata (nel dodicesimo dei quindici capitoli). Tuttavia, è in questa provvisoria definizione dell’umano che la sofferta ricerca filosofica di Amerigo Ormea raggiunge il punto più avanzato.


4 Perché Amerigo e la suora appartengono “allo stesso mondo”?


5 Quali gesti mostrano il legame d’affetto tra il giovane idiota e suo padre?

Le scelte stilistiche

Il doloroso e disorientante avvicinamento ai luoghi più nascosti del Cottolengo è reso stilisticamente con il ricorso a figure retoriche che rivelano l’impossibilità di denotare e spiegare esattamente la realtà. Nell’apertura del brano, una sinestesia e un’onomatopea esprimono la confusione percettiva dello scrutatore: la prima mescola le forti sensazioni uditive e visive di Amerigo (il bianco d’ogni monte di lenzuola e il colore umano che ne affiorava, rr. 16-17, accostati a un grido acuto, animale, rr. 18-19); la seconda, invece, riporta l’unico incomprensibile messaggio (ghiii… ghiii… ghiii… che si levava da un qualche punto della corsia […] Gaa! Gaa! Gaa!, rr. 19-21) che Ormea riesce a cogliere tra le voci del lungo camerone.


6 Per descrivere ciò che Amerigo vede, il narratore ricorre più volte a immagini dal mondo animale o vegetale: rintracciale nel testo

Vola alta parola - volume 6
Vola alta parola - volume 6
Dal Novecento a oggi