Nel fervore dei preparativi del seggio, Amerigo riconosce l’eccitazione degli inizi, il momento aurorale in cui la voglia di partecipare alle cose per cambiarle crea un’atmosfera quasi magica. Tuttavia c’è una nota falsa, qualcosa di stonato che annuncia il prorompere dell’assurdo: è l’arrivo di una donna senza gambe, che, d’un tratto, si porta via ogni certezza.
T5 - Il vero senso della democrazia
T5
Il vero senso della democrazia
Cap. 3
Per trasformare una stanza in sezione elettorale (stanza che di solito è un’aula di
scuola o di tribunale, il camerone d’un refettorio d’una palestra, o un qualsiasi
locale d’un ufficio del Comune) bastano poche suppellettili – quei paraventi di
legno piallato, senza vernice, che fanno da cabina; quella cassa di legno pure grezzo
5 che è l’urna; quel materiale (i registri, i pacchi di schede, le matite, le penne a
sfera, un bastone di ceralacca, dello spago, delle strisce di carta ingommata) che
viene preso in consegna dal presidente al momento della «costituzione del seggio»
e una speciale disposizione dei tavoli che si trovano sul posto. Ambienti insomma
nudi, anonimi, coi muri tinti a calce; e oggetti più nudi e anonimi ancora; e questi
10 cittadini, lì al tavolo – presidente, segretario, scrutatori, eventuali «rappresentanti
di lista» – prendono anch’essi l’aria impersonale della loro funzione.
Quando incominciano ad arrivare i votanti allora tutto s’anima: è la varietà
della vita che entra con loro, tipi caratterizzati uno per uno, gesti troppo impacciati
o troppo svelti, voci troppo grosse o troppo fine. Ma c’è un momento, prima,
15 quando quelli del seggio sono soli, e stanno lì a contare le matite, un momento
che ci si sente stringere il cuore.
Specialmente là dov’era Amerigo: il locale di questa sezione - una delle tante allestite
dentro il «Cottolengo», perché ogni sezione raccoglie circa cinquecento elettori,
e in tutto il «Cottolengo» di elettori ce n’è delle migliaia - era in giorni normali
20 un parlatorio per i parenti che vengono a trovare i ricoverati, e aveva torno torno
delle panche di legno (Amerigo scacciò dalla mente le facili immagini che il luogo
evocava: attese di genitori campagnoli, panieri con qualche frutta, dialoghi tristi) e
le finestre, alte, davano su un cortile, irregolare di forma, tra padiglioni e porticati,
un po’ da caserma, un po’ da ospedale (delle donne troppo grandi portavano dei
25 carretti, dei bidoni; avevano gonne nere come contadine di tanto tempo fa, scialli
neri di lana, cuffie nere, grembiuli azzurri; si muovevano svelte, nella pioggerella
che veniva; Amerigo dette appena un’occhiata e si tolse via dalle finestre).
Non voleva lasciarsi prendere dallo squallore dell’ambiente, e per far ciò si concentrava
sullo squallore dei loro arnesi elettorali – quella cancelleria, quei cartelli,
30 il libriccino ufficiale del regolamento consultato a ogni dubbio dal presidente, già
nervoso prima di cominciare – perché questo era per lui uno squallore ricco, ricco
di segni, di significati, magari in contrasto uno con l’altro.
La democrazia si presentava ai cittadini sotto queste spoglie dimesse, grige, disadorne;
ad Amerigo a tratti ciò pareva sublime, nell’Italia da sempre ossequiente
35 a ciò che è pompa, fasto, esteriorità, ornamento; gli pareva finalmente la lezione
d’una morale onesta e austera; e una perpetua silenziosa rivincita sui fascisti, su
coloro che la democrazia avevano creduto di poter disprezzare proprio per questo
suo squallore esteriore, per questa sua umile contabilità, ed erano caduti in polvere
con tutte le loro frange e i loro fiocchi, mentre essa, col suo scarno cerimoniale di
40 pezzi di carta ripiegati come telegrammi, di matite affidate a dita callose o malferme,
continuava la sua strada.
Ecco, lì, attorno a lui, gli altri membri del seggio, persone qualsiasi, per lo più
(pareva) reclutate su proposta dell’Azione Cattolica ma qualcuno anche (oltre lui
Amerigo) dei partiti comunista e socialista (ancora non li aveva individuati), impegnarsi
45 in un servizio comune, un servizio razionale, laico. Eccoli alle prese coi
piccoli problemi pratici: come mettere a verbale i «Votanti iscritti in altre sezioni»;
come rifare il conto degli iscritti in base all’elenco arrivato all’ultimo momento dei
«Votanti deceduti». Ora eccoli che sciolgono con dei fiammiferi la ceralacca per
sigillare l’urna e poi non sanno come tagliare lo spago che avanza e decidono di
50 bruciarlo coi fiammiferi...
In questi gesti, in questo immedesimarsi nelle loro provvisorie funzioni, Amerigo
era pronto a riconoscere il vero senso della democrazia, e pensava al paradosso
d’essere lì insieme, i credenti nell’ordine divino, nell’autorità che non proviene
da questa terra, e i compagni suoi, ben coscienti dell’inganno borghese di tutta la
55 baracca: insomma, due razze di gente che alle regole della democrazia avrebbero
dovuto dargli poco affidamento, eppure sicuri gli uni e gli altri d’esserne i più gelosi
tutori, d’incarnarne la sostanza stessa.
Due degli scrutatori erano donne: una col golfino arancione, un viso rosso di
lentiggini, sui trent’anni pareva, operaia, o impiegata; l’altra sui cinquanta con una
60 blusa bianca, un medaglione con un ritratto sul petto, forse una vedova, l’aria di
maestra elementare. Chi l’avrebbe detto – pensava Amerigo, ormai deciso a veder
tutto nella luce migliore – che da così pochi anni le donne avevano i diritti civili?
Sembrava non avessero mai fatto altro, di madre in figlia, che preparare le elezioni.
Per di più sono quelle che hanno più buon senso, nelle piccole questioni pratiche,
65 e soccorrono gli uomini, impacciati.
Seguendo questo filo di pensieri, già Amerigo arrivava a sentirsi soddisfatto,
come se tutto ormai andasse per il meglio (indipendentemente dalle oscure prospettive
delle elezioni, indipendentemente dal fatto che le urne si trovavano dentro
un ospizio, dove non avevano potuto né tenersi comizi, né manifesti essere affissi,
70 né vendersi giornali), quasi che la vittoria fosse già questa, nella vecchia lotta tra
Stato e Chiesa, la rivincita d’una religione laica di dovere civile, contro...
Contro cosa? Amerigo tornava a guardarsi intorno, come cercando la presenza
tangibile d’una forza contraria, d’un’antitesi, ma non trovava più appigli, non
riusciva più a contrapporre le cose della sezione all’ambiente che le conteneva:
75 nel quarto d’ora da quando lui era lì, cose e luoghi erano divenuti omogenei, accomunati
in un unico anonimo grigiore amministrativo, uguale per le prefetture e
le questure come per le grandi opere pie. E come chi, tuffandosi nell’acqua fredda,
s’è sforzato di convincersi che il piacere di tuffarsi sta tutto in quell’impressione di
gelo, e poi nuotando ritrova dentro di sé il calore e insieme il senso di quanto fredda
80 e ostile è l’acqua, così Amerigo dopo tutte le operazioni mentali per trasformare
dentro di sé lo squallore della sezione elettorale in un valore prezioso, era tornato
a riconoscere che la prima impressione – di estraneità e freddezza di quell’ambiente
– era la giusta.
In quegli anni la generazione d’Amerigo (o meglio quella parte della sua generazione
85 che aveva vissuto in un certo modo gli anni dopo il ‘40) aveva scoperto le
risorse d’un atteggiamento finora sconosciuto: la nostalgia. Così, nella memoria,
egli prese a contrapporre allo scenario che aveva davanti agli occhi il clima che
c’era stato in Italia dopo la liberazione, per un paio d’anni di cui ora gli pareva che
il ricordo più vivo fosse la partecipazione di tutti alle cose e agli atti della politica,
90 ai problemi di quel momento, gravi ed elementari (erano pensieri d’adesso: allora
aveva vissuto quei tempi come un clima naturale, come facevano tutti, godendoselo
– dopo tutto quel che c’era stato –, arrabbiandosi contro ciò che non andava,
senza pensare che potesse mai essere idealizzato); ricordava l’aspetto della gente
d’allora, che pareva tutta quasi egualmente povera, e interessata alle questioni
95 universali più che alle private; ricordava le sedi improvvisate dei partiti, piene di
fumo, di rumore di ciclostili, di persone incappottate che facevano a gara nello
slancio volontario (e questo era tutto vero, ma soltanto adesso, a distanza di anni,
egli poteva cominciare a vederlo, a farsene un’immagine, un mito); pensò che solo
quella democrazia appena nata poteva meritare il nome di democrazia; era quello
100 il valore che invano poco fa egli andava cercando nella modestia delle cose e non
trovava; perché quell’epoca era ormai finita, e piano piano a invadere il campo
era tornata l’ombra grigia dello Stato burocratico, uguale prima durante e dopo il
fascismo, la vecchia separazione tra amministratori e amministrati.
La votazione che adesso cominciava avrebbe (Amerigo ne era, ahimè, sicuro)
105 ingrandito ancora quest’ombra, questa separazione, allontanato ancora quei ricordi,
facendoli diventare, da corposi e aspri che erano, sempre più eterei e idealizzati.
Il parlatorio del «Cottolengo» era dunque lo scenario perfetto per la giornata: non
era forse quest’ambiente il risultato d un processo simile a quello subito dalla
democrazia? Alle origini, anche qui doveva esserci stato (in una epoca in cui la
110 miseria era ancora senza speranza) il calore d’una pietà che pervadeva persone e
cose (forse anche ora c’era – Amerigo non voleva escluderlo – in singole persone
e ambienti là dentro, separati dal mondo), e doveva aver creato, tra soccorritori e
derelitti, l’immagine d’una società diversa, in cui non era l’interesse che contava,
ma la vita. (Amerigo, come molti laici di scuola storicista, si faceva un puntiglio
115 di saper comprendere e apprezzare, dal suo punto di vista, momenti e forme della
vita religiosa). Ma adesso questo era un grande ente assistenziale-ospitaliero, dalle
attrezzature certamente antiquate, che adempiva bene o male alle sue funzioni, al
suo servizio, e per di più era diventato produttivo, in un modo che al tempo in cui
era stato fondato nessuno avrebbe potuto immaginare: produceva voti.
120 Dunque, quello che conta d’ogni cosa è solo il momento in cui comincia, in
cui tutte le energie sono tese, in cui non esiste che il futuro? Non viene per ogni
organismo il momento in cui subentra la normale amministrazione, il tran-tran?
(Anche per il comunismo – non poteva non domandarsi Amerigo – anche per il
comunismo sarebbe avvenuto? o stava già avvenendo?) Oppure... oppure quel che
125 conta non sono le istituzioni che invecchiano ma le volontà e i bisogni umani
che continuano a rinnovarsi, a ridare verità agli strumenti di cui si servono? Qui,
a metter su questa sezione (ora restava solo da attaccare bene in vista – secondo il
regolamento – tre manifesti: uno con gli articoli di legge e due con le liste dei candidati),
quegli uomini e donne sconosciuti e in parte avversi lavoravano insieme, e
130 una suora, forse una Madre superiora, li aiutava (le chiesero se potevano avere un
martello e qualche chiodo), e delle ricoverate col grembiale a quadretti facevano
capolino incuriosite, e – Vado io! – disse una ragazza con la testa grossa, superando
le compagne, e corse, ridendo, e ritornò coi chiodi, il martello, poi spostò una
panca.
135 A quei suoi gesti eccitati si svelava là nei cortili piovosi tutto un concorso,
un’eccitazione per queste elezioni, come un’insolita festa. Cos’era? Cos’era questa
cura nell’appendere per bene quei manifesti come bianchi lenzuoli (bianchi, come
paiono i manifesti ufficiali, pur con tutto il loro inchiostro nero che nessuno legge),
che accomunava un gruppo di cittadini, tutti certo «inseriti nella vita produttiva
140 », e delle monache, delle povere ragazze che del mondo conoscevano solo quello
che si vede andando dietro i funerali? Amerigo sentiva ormai in questo concorde
affannarsi la nota falsa: in loro del seggio, era l’impegno che si mette durante il
servizio militare a risolvere delle difficoltà che ti sono imposte e i cui fini ti rimangono
estranei; nelle monache e nelle ricoverate era come se si stessero preparando
145 lì intorno delle trincee, contro un nemico, un assalitore: e questo subbuglio delle
elezioni fosse appunto la trincea, la difesa, ma insieme in qualche modo anche il
nemico.
Così, quando i componenti del seggio furono al loro posto, in attesa nella sala
vuota, e fuori cominciò a muoversi il piccolo gruppo che s’era formato, di persone
150 che volevano sbrigarsi subito a votare, la guardia civica a far entrare i primi, era in
tutti loro la certezza di quello che stavano facendo ma anche il presentimento di
qualcosa d’assurdo. I primi votanti erano dei vecchietti – ricoverati, o artigiani al
servizio dell’istituto, o le due cose insieme –, qualche monaca, un prete, delle donne
anziane (già Amerigo pensava che questa poteva essere una sezione elettorale
155 non troppo diversa dalle altre): come se la contestazione che là sotto covava avesse
scelto di presentarsi nel suo aspetto più rassicurante (rassicurante per gli altri,
che dall’elezione aspettavano la conferma dell’antico; di deprimente normalità per
Amerigo), ma nessuno se ne sentisse rassicurato (neanche gli altri), e tutti stessero
invece lì ad aspettare che da quei recessi invisibili si manifestasse una presenza,
160 forse una sfida.
E ci fu una pausa nel flusso dei votanti, e si sentì un passo, come un arrancare,
anzi un battere d’assi, e tutti quelli del seggio guardarono alla porta. Sulla porta apparve
una donnetta, bassa bassa, seduta su uno sgabello; ossia, non propriamente
seduta, perché non posava le gambe per terra, né le penzolava, né le teneva ripiegate.
165 Non c’erano, le gambe. Questo sgabello, basso, quadrato, un panchetto, era
coperto dalla gonna, e sotto – sotto alla vita, alle anche della donna – non pareva
che ci fosse più niente: spuntavano solo le gambe del panchetto, due assi verticali,
come le zampe d’un uccello. – Avanti! – disse il presidente del seggio e la donnetta
cominciò ad avanzare, ossia spingeva avanti una spalla e un’anca e il panchetto si
170 spostava di sbieco da quella parte, e poi spingeva l’altra spalla e l’altra anca, e il panchetto
descriveva un altro quarto di giro di compasso, e così saldata al suo panchetto
arrancava per la lunga sala verso il tavolo, protendendo il certificato elettorale.
Dentro il TESTO
I contenuti tematici
Il brano si apre con la descrizione dei lavori preparatori del seggio elettorale, che riportano alla mente di Amerigo l’inebriante clima di partecipazione di tutti alle cose (r. 89) dei mesi successivi alla Liberazione. Lo scialbo ambiente della stanza comunica allo scrutatore il senso di sobria e austera semplicità della democrazia (l’anonimo grigiore amministrativo, r. 76, e l’umile contabilità, r. 38), essendo stata finalmente archiviata la vacua esteriorità della dittatura.
Si tratta, però, solo di un’illusione: la realtà con la sua oppressione burocratica ha schiacciato il sogno di una dignità riconquistata, magari povera e semplice, ma colma di onestà e di ideali. Anche il Cottolengo ha subìto lo stesso processo della democrazia: all’inizio c’era il calore di una pietà che aveva disegnato la fisionomia di una società diversa, ora invece è una macchina che, mentre produce voti per la Dc, genera un cortocircuito negli equilibri di quel particolare microcosmo. Il senso di eccitazione e di festa, scaturito dall’imminente operazione di voto, porta con sé il presentimento di qualcosa d’assurdo che presto si manifesterà, come una sfida, dai recessi invisibili dell’ospizio. A fine capitolo l’apparizione della donna senza gambe spazza via d’un tratto tutte le elucubrazioni di Amerigo: è come se di esse non restasse più traccia; è come se, dopo quella visione, tutto dovesse essere ricostruito nella mente del protagonista, perché i suoi schemi mentali sono ormai da buttare.
Le scelte stilistiche
Accanto ad Amerigo sfila una schiera di altri personaggi mai indicati con un nome proprio (a eccezione della fidanzata Lia), ma con il semplice riferimento alla categoria cui appartengono: il presidente del seggio, la suora, il prete, un altro scrutatore, il cui tratto distintivo è quello di essere “smilzo”, e le scrutatrici, una dalla “blusa bianca” che appartiene alla Dc, e una dal golf arancione, che appartiene, invece, al partito socialista. Anche qui, il ricorso all’asciuttezza denotativa dei nomi comuni, spesso accompagnati da una sorta di epiteto formulare (la donna dalla blusa bianca, la donna dal golf arancione, lo scrutatore smilzo) dal valore simbolico (il bianco era il colore della Dc, l’arancione quello dei socialisti), ci porta molto lontani dalle pratiche della letteratura realistica volta a una resa “fotografica” (e non simbolica) di quanto sottoposto allo sguardo del lettore.
Verso le COMPETENZE
Comprendere
1 Riassumi in massimo 8-10 righe il contenuto del brano.
2 Di che cosa ha nostalgia Amerigo?
Analizzare
3 Il contenuto del brano ti sembra prevalentemente narrativo oppure no?
4 Individua nel testo gli elementi descrittivi che contribuiscono a creare un’atmosfera di povertà e squallore: perché, secondo te, sono così numerosi? E perché lo squallore è definito ricco (r. 31)?
Interpretare
5 Perché prima dell’arrivo dei votanti c’è un momento che ci si sente stringere il cuore (rr. 15-16)?
6 Perché i comportamenti delle monache del Cottolengo vengono descritti con un lessico bellico (rr. 141-147)?
7 Perché Amerigo sostiene che quello dell’ambiente del seggio elettorale è uno squallore ricco (r. 31)? Quale collegamento instaura il protagonista tra lo squallore e la democrazia? Si tratta di un collegamento in chiave positiva oppure negativa?
8 Stila un elenco di tutte le persone che via via sfilano davanti agli occhi di Amerigo; per ognuna di esse annota poi se è stata designata con il solo nome comune di persona o anche con degli attributi e spiega perché.
Produrre
9 Scrivere per esporre. Con l’aiuto del manuale di storia ricostruisci il contesto politico dei primi anni Cinquanta e sintetizzalo in un testo di massimo 40 righe.
Dibattito in classe
10 Nella mente di Amerigo si oppongono due diverse immagini della democrazia: quella “grigia ed austera” della burocrazia, necessaria però per garantire il diritto al voto (rr. 31-41), e quella più caotica e rumorosa, ma partecipata, dell’immediato dopoguerra (rr. 84-103): quale delle due ti sembra più “giusta”? Credi che possano convivere tra loro? E oggi? La democrazia a cui pensiamo oggi è la stessa a cui pensa Amerigo? Confrontati con i compagni.
Vola alta parola - volume 6
Dal Novecento a oggi