I testi
Temi e motivi dei brani antologizzati
T1 |
Don Chisciotte all’osteria Parte I, cap. 3 |
• il travisamento della realtà • la parodia dell’investitura a cavaliere • la confusione tra vita e letteratura |
T2 |
La battaglia contro i mulini a vento Parte I, capp. 7-8 |
• il grottesco eroismo di don Chisciotte • il buon senso ironico di Sancho Panza |
T3 |
La morte di don Chisciotte Parte II, cap. 74 |
• il bilancio di una vita • l’abbandono degli ideali cavallereschi • la fine dei sogni di gloria
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T1
Don Chisciotte all’osteria
Parte I, cap. 3
Un mattino di luglio, prima dell’alba, don Chisciotte esce di casa in cerca di avventure, armato di tutto punto, con lancia e scudo, lasciando che il cavallo Ronzinante lo conduca dove vuole. Durante questa prima giornata da cavaliere, a zonzo sotto un sole cocente che spacca le pietre (e che forse gli toglie l’ultimo residuo di senno), non gli succede nulla, finché, giunta la sera, arriva a un’osteria. Ma quella spoglia locanda assume per lui le sembianze di un castello, con tanto di torri d’argento, fossato e ponte levatoio. Il suono di un corno emesso da un porcaro che cerca di radunare il proprio gregge viene scambiato da don Chisciotte per il segnale lanciato dal castello, da dove lo hanno evidentemente avvistato. Intanto gli vengono incontro due ragazze e l’oste, che scambia rispettivamente per due dame e per il castellano. L’oste, da furbo qual è, intuisce subito la stranezza del nuovo avventore e, sperando in un guadagno, non esita ad assecondarlo.
E così, travagliato da questo pensiero, si affrettò a finire la sua magra cena all’osteria;
terminata la quale, chiamò l’oste e, chiudendosi con lui nella stalla, gli si inginocchiò
davanti, dicendogli:
«Non mi alzerò più da qui, valoroso cavaliere, fino a che la vostra cortesia non
5 mi conceda il dono che intendo chiederle e che ridonderà1 a vostra lode e in pro2
del genere umano».
L’oste, vedendosi ai piedi il suo ospite e udendo quei discorsi, stava a guardarlo
sconcertato, senza sapere che cosa fare né dire, e insisteva con lui perché si alzasse, ma
egli non volle muoversi, finché dovette dirgli che gli accordava il dono da lui richiesto.
10 «Io non mi aspettavo di meno dalla vostra grande magnificenza, mio signore»,
rispose don Chisciotte; «e così vi dico che il dono da me richiesto e che mi è stato
concesso dalla liberalità3 vostra è che nel giorno di domani dovete armarmi4 cavaliere:
questa notte nella cappella di questo vostro castello farò la veglia d’armi5
e domani, come ho detto, si compirà il mio ardente desiderio, permettendomi di
15 andare, in regola con la tradizione, per tutte e quattro le parti del mondo in cerca
di avventure in favore dei bisognosi, come è obbligo della cavalleria e dei cavalieri
erranti, quale son io, il cui desiderio è rivolto a tali imprese».
L’oste che, come si è detto, era un furbacchione e aveva già qualche sospetto
sulla mancanza di giudizio del suo ospite, finì col convincersene quando ebbe udito
20 tali discorsi, e, per aver quella notte motivo di risa, pensò di dargli corda; così gli
disse che era molto saggio quel che desiderava e che il suo proposito era proprio e
naturale dei nobili cavalieri quale egli sembrava e come attestava il suo gagliardo6
aspetto; che anche lui, negli anni della sua giovinezza, si era dato a quell’onorevole
professione, andando in cerca di avventure per diverse parti del mondo, senza
25 tralasciare i Percheles di Málaga, le Islas di Riarán, il Compás di Siviglia, l’Azoguejo
di Segovia, l’Olivera di Valenza, la Rondilla di Granata, la Spiaggia di Sanlúcar, il
Potro di Cordova, le Ventillas di Toledo7 e altri diversi luoghi dove aveva esercitato
la celerità dei suoi piedi e l’abilità delle sue mani, commettendo molte ingiustizie,
seducendo molte vedove, violando alquante fanciulle, ingannando vari minorenni
30 e finalmente facendosi conoscere da tutte le preture e i tribunali che ci sono in quasi
tutta la Spagna; da ultimo, era venuto a ritirarsi in quel suo castello dove viveva
con i suoi beni e gli altrui, dando in esso asilo a tutti i cavalieri erranti di qualunque
condizione e stato fossero, solo per il grande affetto che nutriva verso di essi e
perché dividessero con lui i loro averi, in riconpensa delle sue buone disposizioni
35 verso di loro. Gli disse anche che in quel suo castello non c’era alcuna cappella
dove poter vegliare in armi, perché l’avevano demolita per rifarla nuova; ma egli
sapeva che, in caso di necessità, la veglia si poteva fare ovunque, e che quella notte
avrebbe potuto farla in un cortile del castello; l’indomani, poi, a Dio piacendo, si
sarebbero fatte le dovute cerimonie, in modo che egli fosse armato cavaliere, e tanto
40 cavaliere come più non avrebbe potuto esserlo nessuno al mondo.
Gli domandò se portava denaro; don Chisciotte rispose che non aveva un soldo,
perché non aveva mai letto nelle storie dei cavalieri erranti che alcuno di essi ne
avesse portato con sé. A ciò l’ospite replicò che s’ingannava; che se anche nelle storie
non lo si scriveva, non essendo sembrato ai loro autori necessario scrivere una
45 cosa di cui era tanto evidente la necessità, come quella di portar denari e camicie
pulite, non per ciò si doveva credere che non ne portassero; quindi poteva ritener
per certo, senza il minimo dubbio, che tutti i cavalieri erranti, di cui tanti libri son
pieni zeppi, portavano le borse ben fornite per ogni eventualità; e portavano anche
camicie e una cassettina piena di unguenti per risanare le ferite ricevute, perché
50 non sempre nelle campagne o nei luoghi disabitati dove combattevano o restavano
feriti c’era chi li curasse, eccetto che non avessero per amico qualche mago sapiente
che li soccorresse subito, portando per l’aria, dentro una nube, qualche donzella
o qualche nano con un’ampolla d’acqua tanto miracolosa che, inghiottendone
qualche goccia, immediatamente guarivano dalle loro piaghe o ferite come se non
55 avessero avuto mai nulla. Ma fintanto che questo non ci fosse, gli antichi cavalieri
stimarono opportuno che i loro scudieri fossero provvisti di denaro e di altre cose
necessarie, come filacce8 e unguenti per medicarsi; e se avveniva che quei cavalieri
non avessero scudieri (il che capitava poche, anzi rare volte), si portavano tutto essi
stessi in bisacce di poco spessore, che quasi non si vedevano, in groppa al cavallo,
60 come se fossero qualcosa d’altro di maggior valore, perché, se non per siffatta
ragione, non era solitamente ammesso che i cavalieri erranti portassero bisacce;
pertanto gli dava il consiglio, e avrebbe potuto anche ordinarglielo come a suo
figlioccio, poiché presto lo sarebbe stato, che, da quel momento in poi, non si mettesse
in viaggio senza denaro e senza provvedersi di quanto gli aveva detto; avrebbe
65 visto come se ne sarebbe trovato bene, quando meno se l’aspettava.
Don Chisciotte gli promise di attenersi scrupolosamente al suo consiglio, e
così fu subito disposto9 come dovesse fare la veglia d’armi in un grande cortile che
stava a fianco della locanda: don Chisciotte, dopo aver riunito tutte le armi, le mise
su una pila accanto a un pozzo; poi, imbracciato lo scudo, impugnò la sua lancia
70 e con nobile atteggiamento cominciò a passeggiare davanti alla pila; quando ebbe
inizio il suo passeggio incominciava a far notte.
L’oste raccontò a tutti coloro che stavano nella locanda la follia del suo ospite,
la veglia d’armi e la investitura di cavaliere che aspettava. Stupiti di un così strano
genere di pazzia, andarono a guardarselo da lontano e videro che in alcuni momenti
75 passeggiava con atteggiamento tranquillo, in altri, appoggiato alla lancia,
posava gli occhi sulle armi e non li distoglieva da esse per un buon tratto. La notte
era ormai alta, ma con tanto chiarore di luna che poteva competere con quello
dell’astro che le prestava la luce10 di modo che tutto ciò che il cavaliere novello
faceva era visto benissimo da tutti. In quel momento a uno dei mulattieri che stava
80 nella locanda venne l’idea di andare a dar da bere alle sue bestie, ed era necessario
per questo toglier le armi di don Chisciotte dalla pila su cui stavano, ma egli, vedendolo
avvicinarsi, gli gridò:
«O chiunque tu sia, temerario cavaliere, che osi toccare le armi del più valoroso
cavaliere errante che mai cinse la spada, bada a quel che fai e non toccarle, se non
85 vuoi perdere la vita come prezzo della tua temerarietà!».11
Il mulattiere non si curò di queste parole (e sarebbe stato meglio che se ne
fosse curato, perché equivaleva a curarsi la salute); anzi, afferratele per le cinghie,
le scaraventò lontano. Don Chisciotte, visto ciò, alzò gli occhi al cielo, e rivolto il
pensiero (a quanto parve) alla sua dama Dulcinea, disse:
90 «Assistetemi, mia signora, in questo primo affronto che si fa a questo petto
vostro schiavo;12 non mi vengano meno in questo primo cimento13 il vostro favore
e la vostra protezione».
E mentre pronunziava queste e altre frasi del genere, lasciato andare lo scudo,
alzò con tutte e due le mani la lancia e diede con essa un colpo così forte in testa
95 al mulattiere da stenderlo a terra tanto malconcio che se gliene avesse dato un altro,
non avrebbe avuto bisogno di un medico che lo curasse.14 Fatto ciò, raccolse
le sue armi e tornò a passeggiare con la stessa calma di prima. Di lì a poco, senza
sapere quello che era successo (perché il mulattiere era ancora privo di sensi), ne
giunse un altro con l’intenzione, anche lui, di dar da bere ai suoi muli e, quando
100 fu a levare le armi per sgomberare la pila, don Chisciotte, senza pronunziar verbo
e senza chiedere l’aiuto di nessuno, lasciò andare di nuovo lo scudo, di nuovo alzò
la lancia e, senza ridurla in pezzi, della testa del secondo mulattiere ne fece più di
tre, perché gliela spaccò in quattro parti. Al rumore accorse tutta la gente che era
nella locanda, compreso l’oste. Vedendo ciò don Chisciotte imbracciò il suo scudo
105 e posta mano alla spada, disse:
«Oh signora di beltà,15 stimolo e sostegno del debilitato cuor mio! Ora è tempo
che tu rivolga gli occhi della tua grandezza a questo cavaliere tuo schiavo, che
sta correndo tanto grande avventura».
Gli parve così di aver acquistato tale coraggio che se anche lo avessero assalito
110 tutti i mulattieri del mondo, non avrebbe indietreggiato d’un passo. I compagni
dei feriti non appena videro com’erano ridotti, cominciarono da lontano a far piovere
una grandine di sassi su don Chisciotte il quale si riparava alla meglio con lo
scudo e non osava allontanarsi dalla pila per non lasciare indifese le armi. L’oste
urlava che lo lasciassero stare, ch’egli aveva pur detto loro ch’era pazzo e, come tale,
115 se la sarebbe cavata, anche se li ammazzava tutti. Urlava anche don Chisciotte, più
forte di tutti, chiamandoli vili e traditori, e dicendo che il signore del castello era
un fellone e un cavaliere malnato,16 dal momento che permetteva che si trattassero
in tal modo i cavalieri erranti, e che, se egli avesse già ricevuto l’investitura della
cavalleria,17 lo avrebbe convinto della sua fellonia: «ma di voi», aggiungeva, «vile e
120 bassa canaglia, non mi curo; tirate pure, avvicinatevi, venite avanti, fatemi tutto il
male che potete e vedrete il prezzo che riceverete dalla vostra stoltezza e villania».
Ciò diceva con tanto intrepido vigore che destò nei suoi aggressori una gran
paura; e, sia per questo motivo, sia per le esortazioni del locandiere, cessarono di
lanciar sassi; ed egli lasciò portar via i feriti e tornò alla veglia delle sue armi con la
125 stessa calma e dignità di prima.
All’oste non piacquero gli scherzi del suo ospite e decise di sbrigarsi e dargli
subito quell’infausto ordine della cavalleria, prima che accadesse qualche altra disgrazia;
così dopo esserglisi avvicinato, si scusò dell’insolenza che nei suoi confronti
aveva avuto quella gentaglia, senza ch’egli ne sapesse nulla; ma erano stati
130 ben puniti della loro tracotanza.18 Aggiunse che, come gli aveva già detto, in quel
castello non c’era cappella, ma che, per quanto rimaneva da fare, non era neanche
necessaria; che il punto essenziale dell’essere armato cavaliere consisteva nella collata
e nella piattonata sulla spalla,19 secondo quanto egli sapeva sul cerimoniale
dell’Ordine,20 cosa che si poteva fare anche in mezzo a un campo, e ch’egli aveva
135 già adempiuto il suo dovere circa quel che riguardava la veglia d’armi, per cui bastavano
solo due ore di veglia, mentre lui ne aveva già fatto più di quattro. Don
Chisciotte si bevve tutto e disse che egli era lì, pronto ad ubbidirgli, e che si sbrigasse
nel più breve tempo possibile; perché, se fosse stato aggredito un’altra volta,
dopo che fosse armato cavaliere, non avrebbe lasciato anima viva nel castello, eccezion
140 fatta di quelle persone ch’egli gli avesse ordinato di risparmiare e che, per un
riguardo a lui, avrebbe lasciate da parte.
Il castellano, messo così sull’avviso e pieno di paura per quanto aveva udito,
portò subito un registro su cui segnava la paglia e la biada che dava ai mulattieri,
e con un mozzicone di candela che gli reggeva un ragazzo e con le due suddette
145 donzelle tornò dove era don Chisciotte, a cui ordinò di inginocchiarsi; poi, leggendo
nel suo manuale (come se recitasse qualche devota preghiera), a un certo punto
della lettura alzò la mano e gli diede un gran colpo sul collo e dopo di esso, con la
sua stessa spada, una bella piattonata sulle spalle, sempre borbottando fra i denti
come se pregasse. Fatto ciò, comandò a una di quelle dame di cingergli la spada,
150 la qual cosa ella fece con molta disinvoltura e tatto; che non ce ne volle poco per
non scoppiare dalle risa in ogni momento della cerimonia, ma le prodezze21 che
avevano ormai visto fare al novello cavaliere tenevano il riso a bada. Nel cingergli
la spada, la brava signora disse:
«Dio faccia della signoria vostra un avventurosissimo cavaliere e le dia fortuna
155 nei combattimenti».
Don Chisciotte le domandò come si chiamava, per sapere, d’allora in poi, a
chi restava obbligato della grazia ricevuta, giacché pensava di renderla partecipe
dell’onore che si sarebbe guadagnato col valore del suo braccio. Ella rispose con
molta umiltà che si chiamava la Tolosa, che era figlia di un ciabattino di Toledo, il
160 quale stava presso le bottegucce di Sancho Bienaya e che lo avrebbe servito e tenuto
in conto di suo signore dovunque ella si trovasse. Don Chisciotte le disse che,
per amor suo, d’allora in poi gli facesse la grazia di mettersi il don e di chiamarsi
donna22 Tolosa. Ella glielo promise; l’altra, poi, gli calzò gli sproni,23 e si svolse
con questa quasi lo stesso colloquio che con quella della spada. Le domandò il
165 suo nome ed ella disse di chiamarsi la Molinera e di essere figlia di un onorato
mugnaio di Antequera; e anche a lei don Chisciotte chiese che si mettesse il don e
si chiamasse donna Molinera, offrendole nuovi servigi e favori.
Fatte, dunque, in fretta e come di galoppo tali cerimonie non mai viste fino
allora, don Chisciotte non vide l’ora di montare a cavallo e di partire in cerca d’avventure;
170 così, sellato subito Ronzinante, vi salì sopra e, abbracciato l’ospite, gli disse
cose tanto strane per ringraziarlo del favore di averlo armato cavaliere, che non
è possibile riuscire a riferirle. L’oste, desideroso di vederlo finalmente fuori della
locanda, rispose alle sue con parole non meno enfatiche, quantunque più brevi,
e lo lasciò andare alla buon’ora24 senza chiedergli di pagare il conto dell’alloggio.
Dentro il TESTO
I contenuti tematici
Agli occhi di don Chisciotte ogni cosa, anche la più misera, diventa grande e meravigliosa: l’osteria è un castello, l’oste untuoso e approfittatore un nobile al quale chiedere l’investitura cavalleresca, i mulattieri che vogliono abbeverare le loro bestie pericolosi assalitori. Il contrasto tra la realtà bassa (o addirittura sordida) e il travisamento continuamente operato dal protagonista in direzione nobilitante rende comica la situazione narrativa.
A don Chisciotte, candido e ingenuo, si contrappone l’oste, furbo e disonesto. Lo si vede da subito, nel momento in cui quest’ultimo, approfittando dell’inesperienza dell’avventore, cita, quali terre di “missione cavalleresca”, tutta una serie di luoghi malfamati che in passato sono stati teatro delle sue ribalderie (seducendo molte vedove, violando alquante fanciulle, ingannando vari minorenni, r. 29). Ma è come se don Chisciotte, tutto preso dall’imminente investitura a cavaliere, non ascoltasse questa parte del discorso.
Tuttavia alla fine dell’episodio i ruoli appaiono pressoché invertiti: la manifestazione di autentica follia offerta da don Chisciotte nel dare in escandescenze contro i mulattieri mette in allarme l’oste, il quale, dopo aver pensato inizialmente di spillare denaro al bizzarro cliente, ora pensa bene di congedarlo senza chiedergli di pagare il conto dell’alloggio (r. 174).
Le scelte stilistiche
A essere parodiati in senso grottesco da Cervantes non sono soltanto i contenuti e le situazioni tipiche della letteratura cavalleresca, ma anche il suo lessico, i suoi stilemi, le sue modalità retoriche. Don Chisciotte parla il linguaggio enfatico e altisonante dei libri di cavalleria (per esempio: Non mi alzerò più da qui, r. 4; in pro del genere umano, rr. 5-6), infarcendo continuamente il proprio eloquio di termini preziosi e solenni, concedendosi la soddisfazione di un’apostrofe degna di un ribaldo gradasso (O chiunque tu sia, temerario cavaliere, che osi toccare le armi del più valoroso cavaliere errante che mai cinse la spada, bada a quel che fai e non toccarle, se non vuoi perdere la vita come prezzo della tua temerarietà!, rr. 84-86).
La sua è una lingua artificiosa, caratterizzata da vocaboli obsoleti e da immagini pompose, strettamente ispirata allo stile della produzione cavalleresca del tempo, a cui non è estraneo neanche l’appello alla dama nel ruolo di testimone e ispiratrice di valore (Assistetemi, mia signora, in questo primo affronto che si fa a questo petto vostro schiavo; non mi vengano meno in questo primo cimento il vostro favore e la vostra protezione, rr. 90-92). Ciò è un sintomo evidente, nel personaggio, della sostanziale confusione tra realtà e letteratura: «Per don Chisciotte vivere e scrivere un avventuroso romanzo diventano due operazioni coincidenti, a sottolineare come per lui sia saltato ogni confine tra immaginazione e realtà, tra vita e letteratura» (Marchese-Grillini).
Verso le COMPETENZE
Comprendere
1 Riassumi il brano letto in circa 15 righe.
2 Come si rivolge don Chisciotte all’oste e perché?
Analizzare
3 È possibile definire antifrastico e paradossale il racconto che l’oste fa della proprie azioni (rr. 23-31)? perché?
4 A quale tradizione letteraria si rifà la descrizione delle imprese dei cavalieri fatta dall’oste (rr. 47-55)?
5 In quale punto del testo don Chisciotte si esprime con il linguaggio tipico della cavalleria?
Interpretare
6 Perché, alla r. 143, l’oste è chiamato il castellano?
Produrre
7 Scrivere per esporre. Svolgi una breve ricerca sulla figura dell’hidalgo. Riassumi l’argomento in un testo espositivo di circa 20 righe.
Vola alta parola - volume 3
Il Seicento e il Settecento