Il Crepuscolarismo

La poesia italiana del primo Novecento in sintesi Il Crepuscolarismo \ Nascita e diffusione di un ismo Il critico Giuseppe Borgese de nisce crepuscolare la poesia di tre autori: Marino Moretti, Fausto Maria Martini, Carlo Chiaves. Le loro raccolte sarebbero accomunate dalla volontà di rottura con la tradizione poetica precedente. La scelta della parola crepuscolo non è casuale: segnala il tramonto, cioè il declino, della poesia decadente. Scipio Slataper contribuisce a diffondere la de nizione di poeti crepuscolari . Corazzini e Gozzano ne sono i rappresentanti principali. Sfarzo e toni solenni vengono abbandonati per lasciare spazio a temi e stili all insegna della semplicità. La definizione di Borgese La paternità del termine crepuscolare , applicato a una schiera di poeti raggruppati in base a consonanze di contenuti e di forme, è unanimemente riconosciuta al critico Giuseppe Antonio Borgese, che nel settembre del 1910 pubblica sul quotidiano torinese La Stampa un articolo intitolato appunto Poesia crepuscolare. In esso egli recensisce tre raccolte poetiche di recente uscita: le Poesie scritte col lapis di Marino Moretti, le Poesie provinciali di Fausto Maria Martini e Sogno e ironia di Carlo Chiaves. Borgese coglie in questi tre autori i segni inequivocabili della fine di una tradizione lirica che va da Parini a d Annunzio, ma anche l annuncio di nuove prospettive per la poesia italiana. La parola crepuscolo indica dunque il tramonto della poesia romantico-decadente e, insieme, l alba della nuova poesia novecentesca. Il giudizio di Borgese non è molto favorevole al nuovo corso, ma ha il merito di coglierne con straordinario acume la direzione: «Contro la retorica dell enfasi vien fuori la retorica [ ] dell ingenuità e della semplicità. E, poiché non han nulla da cantare, ma sentono un veritiero bisogno di cantare, s attaccano alle quisquilie, ai fiori di carta o alle cose buffe o malinconiche che erano di moda cinquanta o settanta anni fa . La diffusione del termine La nuova categoria letteraria individuata da Borgese viene fatta propria l anno dopo dallo scrittore triestino Scipio Slataper, il quale nel novembre del 1911, in un articolo uscito sulla Voce con il titolo Perplessità crepuscolare, inserisce altri nomi tra i nuovi poeti. Un rilievo particolare viene dato al romano Sergio Corazzini e al torinese Guido Gozzano, che anche la critica successiva considererà come gli esponenti più importanti di una piccola scuola poetica caratterizzata dal rifiuto della solennità e della magniloquenza e da un desiderio di profondo rinnovamento tematico e stilistico della poesia. \ Il gusto dell abbassamento I Crepuscolari prendono le distanze dai grandi nomi che li hanno preceduti. Più in generale, ri utano uno stile alto e formale e promuovono una poesia dai toni smorzati. La poesia non è considerata uno strumento di denuncia sociale o la rivelazione di una verità nascosta. Il poeta non sa più quale sia il suo ruolo e quasi si vergogna della sua condizione. Per questo si rifugia in una poesia privata, dimessa, fatta di vaghi ricordi personali. Il rifiuto della tradizione Al centro della poetica crepuscolare vi è la volontà di mettere in discussione i grandi poeti della tradizione: quelli del primo Ottocento, come Foscolo, Leopardi e Manzoni, ma anche quelli più vicini, come d Annunzio, Pascoli e Carducci. Perseguendo un sistematico abbassamento dei contenuti e dello stile della lirica alta, la poesia crepuscolare si muove in evidente polemica con il repertorio e i caratteri formali della poesia tradizionale. Ogni retorica altisonante viene rifiutata, così come la concezione del poeta-vate impegnato nella società, o la figura dell artista che si autoproclama individuo fuori dal comune, portatore di una sensibilità unica e sublime. La poesia viene invece considerata, in una prospettiva intima e personale, come espressione di un ripiegamento interiore. Non a caso, il titolo della raccolta più importante di Guido Gozzano è quanto di più dimesso si potrebbe immaginare: I colloqui. Il poeta in crisi d identità Il poeta non aspira più ad atteggiamenti superomistici, né a cogliere come un veggente gli ambigui significati simbolici riposti nelle cose; al contrario, a contatto con la civiltà moderna egli si sente vulnerabile, e di conseguenza si immerge nella dimensione privata del ricordo. Poiché percepisce la perdita d importanza dell arte, ridotta a merce dall avvento della società di massa, finisce per trovarsi in una profonda crisi di identità. Il poeta si scopre capace soltanto di emettere un sommesso balbettio, di piangere: «Perché tu mi dici: poeta? / Io non sono un poeta. / Io non sono che un picco749

Il tesoro della letteratura - volume 3
Il tesoro della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi