T8 - L’abbandono di ’Ntoni

T8

L’abbandono di ’Ntoni

Cap. 11

Le pagine del brano che segue sono centrali dal punto di vista degli snodi narrativi del romanzo. ’Ntoni matura il proposito di abbandonare il villaggio per partire in cerca di fortuna. È un proposito a lungo meditato, una decisione rinsaldata dalle disgrazie abbattutesi sulla famiglia: il primo naufragio della Provvidenza con la scomparsa di Bastianazzo, la morte in guerra di Luca, l’abbandono forzato della casa del nespolo, il naufragio recente dal quale padron ’Ntoni, Alessi e lo stesso giovane ’Ntoni sono usciti vivi per miracolo. Ora lui è deciso a cambiare vita.

Una volta ’Ntoni Malavoglia, andando girelloni1 pel paese, aveva visto due giovanotti

che s’erano imbarcati qualche anno prima a Riposto,2 a cercar fortuna, e tornavano

da Trieste, o da Alessandria d’Egitto, insomma da lontano, e spendevano e spandevano

all’osteria meglio di compare Naso, o di padron Cipolla;3 si mettevano a cavalcioni

5      sul desco;4 dicevano delle barzellette alle ragazze, e avevano dei fazzoletti di seta

in ogni tasca del giubbone; sicché il paese era in rivoluzione5 per loro.

’Ntoni, quando la sera tornava a casa, non trovava altro che le donne, le quali

mutavano la salamoia nei barilotti,6 e cianciavano in crocchio colle vicine, sedute

sui sassi; e intanto ingannavano il tempo a contare7 storie e indovinelli, buoni

10    pei ragazzi, i quali stavano a sentire con tanto d’occhi intontiti dal sonno. Padron

’Ntoni ascoltava anche lui, tenendo d’occhio lo scolare della salamoia, e approvava

col capo quelli che contavano le storie più belle, e i ragazzi che mostravano di aver

giudizio come i grandi nello spiegare gli indovinelli.

«La storia buona», disse allora ’Ntoni, «è quella dei forestieri che sono arrivati

15    oggi, con dei fazzoletti di seta che non par vero; e i denari non li guardano cogli

occhi, quando li tirano fuori dal taschino.8 Hanno visto mezzo mondo, dice,9 che

Trezza ed Aci Castello messe insieme, sono nulla in paragone. Questo l’ho visto

anch’io;10 e laggiù la gente passa il tempo a scialarsi11 tutto il giorno, invece di stare

a salare le acciughe; e le donne, vestite di seta e cariche di anelli meglio della Madonna

20    dell’Ognina, vanno in giro per le vie a rubarsi i bei marinari».

Le ragazze sgranavano gli occhi, e padron ’Ntoni stava attento anche lui, come

quando i ragazzi spiegavano gli indovinelli: «Io», disse Alessi, il quale vuotava adagio

adagio i barilotti, e li passava alla Nunziata, «io quando sarò grande, se mi

marito voglio sposar te».

25    «Ancora c’è tempo», rispose Nunziata seria seria.

«Devono essere delle città grandi come Catania; che uno il quale non ci sia avvezzo

si perde per le strade; e gli manca il fiato a camminare sempre fra le due file

di case, senza vedere né mare né campagna».12

«E’13 c’è stato anche il nonno di Cipolla», aggiunse padron ’Ntoni, «ed è in quei

30    paesi là che s’è fatto ricco. Ma non è più tornato a Trezza, e mandò solo i denari

ai figliuoli»

«Poveretto!», disse Maruzza.

«Vediamo se mi indovini quest’altro», disse la Nunziata: «Due lucenti, due pungenti,

quattro zoccoli e una scopa».

35    «Un bue!», rispose tosto Lia.

«Questo lo sapevi! ché ci sei arrivata subito», esclamò il fratello.

«Vorrei andarci anch’io, come padron Cipolla, a farmi ricco», aggiunse ’Ntoni.

«Lascia stare, lascia stare!», gli disse il nonno, contento pei barilotti che vedeva

nel cortile. «Adesso abbiamo le acciughe da salare». Ma la Longa guardò il figliuolo

40    col cuore stretto, e non disse nulla, perché ogni volta che si parlava di partire le

venivano davanti agli occhi quelli che non erano tornati più.14

E poi soggiunse: «Né testa, né coda, ch’è meglio ventura».15

Le file dei barilotti si allineavano sempre lungo il muro, e padron ’Ntoni, come

ne metteva uno al suo posto, coi sassi di sopra,16 diceva: «E un altro! Questi a

45    Ognissanti son tutti danari».

’Ntoni allora rideva, che pareva padron Fortunato quando gli parlavano della

roba degli altri. «Gran denari!», borbottava; e tornava a pensare a quei due forestieri

che andavano di qua e di là, e si sdraiavano sulle panche dell’osteria, e facevano

suonare i soldi nelle tasche. Sua madre lo guardava come se gli leggesse nella testa;

50    né la facevano ridere le barzellette che dicevano nel cortile.

«Chi deve mangiarsi queste sardelle qui», cominciava la cugina Anna, «deve essere

il figlio di un re di corona bello come il sole, il quale camminerà un anno, un

mese e un giorno, col suo cavallo bianco; finché arriverà a una fontana incantata di

latte e di miele; dove, scendendo da cavallo per bere, troverà il ditale di mia figlia

55    Mara, che ce l’avranno portato le fate dopo che Mara l’avrà lasciato cascare nella

fontana empiendo la brocca; e il figlio del re col bere che farà nel ditale di Mara, si

innamorerà di lei; e camminerà ancora un anno, un mese e un giorno, sinché arriverà

a Trezza, e il cavallo bianco lo porterà davanti al lavatoio, dove mia figlia Mara

starà sciorinando il bucato; e il figlio del re la sposerà e le metterà in dito l’anello;

60    e poi la farà montare in groppa al cavallo bianco, e se la porterà nel suo regno».

Alessi ascoltava a bocca aperta, che pareva vedesse il figlio del re sul suo cavallo

bianco, a portarsi in groppa la Mara della cugina Anna. «E dove se la porterà?»,

domandò poi la Lia.

«Lontano lontano, nel suo paese di là del mare; d’onde17 non si torna più».

65    «Come compar Alfio Mosca», disse la Nunziata. «Io non vorrei andarci col figlio

del re, se non dovessi tornare più».

«La vostra figlia non ha un soldo di dote, perciò il figlio del re non verrà a sposarla», 

rispose ’Ntoni; «e le volteranno le spalle, come succede alla gente, quando

non ha più nulla».

70    «Per questo mia figlia sta lavorando qui adesso, dopo essere stata tutto il giorno

al lavatoio, per farsi la dote. Non è vero Mara? Almeno se non viene il figlio del re,

verrà qualchedun altro. Lo so anch’io che il mondo va così, e non abbiamo diritto

di lagnarcene. Voi, perché non vi siete innamorato di mia figlia, invece d’innamorarvi

della Barbara che è gialla come il zafferano? perché la Zuppidda aveva il fatto

75    suo,18 non è vero? E quando la disgrazia vi ha fatto perdere il fatto vostro, a voi

altri, è naturale che la Barbara v’avesse a piantare».

«Voi vi accomodate a ogni cosa», rispose ’Ntoni imbronciato, «e hanno ragione

di chiamarvi Cuor contento».

«E se non fossi Cuor contento, che si cambiano le cose? Quando uno non ha

80    niente, il meglio è di andarsene come fece compare Alfio Mosca».

«Quello che dico io!», esclamò ’Ntoni.

«Il peggio», disse infine Mena, «è spatriare19 dal proprio paese, dove fino i sassi

vi conoscono, e dev’essere una cosa da rompere il cuore il lasciarseli dietro per la

strada. “Beato quell’uccello, che fa il nido al suo paesello”».

85    «Brava Sant’Agata!», conchiuse il nonno. «Questo si chiama parlare con

giudizio».

«Sì!», brontolò ’Ntoni, «intanto, quando avremo sudato e faticato per farci il

nido ci mancherà il panìco;20 e quando arriveremo a ricuperar la casa del nespolo,

dovremo continuare a logorarci la vita dal lunedì al sabato; e saremo sempre da

90    capo!».

«O tu, che non vorresti lavorare più? Cosa vorresti fare? l’avvocato?».

«Io non voglio fare l’avvocato!», brontolò ’Ntoni, e se ne andò a letto di cattivo

umore.

Ma d’allora in poi non pensava ad altro che a quella vita senza pensieri e senza

95    fatica che facevano gli altri; e la sera, per non sentire quelle chiacchiere senza sugo,21

si metteva sull’uscio colle spalle al muro, a guardare la gente che passava, e digerirsi

la sua mala sorte; almeno così si riposava pel giorno dopo, che si tornava da capo a

far la stessa cosa, al pari dell’asino di compare Mosca, il quale come vedeva prendere

il basto,22 gonfiava la schiena, aspettando che lo bardassero!23 «Carne d’asino!»,

100 borbottava, «ecco cosa siamo! Carne da lavoro!». E si vedeva chiaro che era stanco di

quella vitaccia, e voleva andarsene a far fortuna, come gli altri; tanto che sua madre,

poveretta, l’accarezzava sulle spalle, e l’accarezzava pure col tono della voce, e cogli

occhi pieni di lagrime, guardandolo fisso per leggergli dentro e toccargli il cuore. Ma

ei diceva di no, che sarebbe stato meglio per lui e per loro; e quando tornava poi

105 sarebbero stati tutti allegri. La povera donna non chiudeva occhio in tutta la notte, e

inzuppava di lagrime il guanciale. Infine il nonno se ne accorse, e chiamò il nipote

fuori dell’uscio, accanto alla cappelletta,24 per domandargli cosa avesse.

«Orsù, che c’è di nuovo? dillo a tuo nonno, dillo!».

’Ntoni si stringeva nelle spalle; ma il vecchio seguitava ad accennare di sì col

110 capo, e sputava, e si grattava il capo cercando le parole.

«Sì, sì, qualcosa ce l’hai in testa, ragazzo mio! Qualcosa che non c’era prima.

“Chi va coi zoppi, all’anno25 zoppica”».

«C’è che sono un povero diavolo! ecco cosa c’è!».

«Be’! che novità! e non lo sapevi? Sei quel che è stato tuo padre, e quel che è

115 stato tuo nonno! “Più ricco è in terra chi meno desidera”. “Meglio contentarsi che

lamentarsi”».

«Bella consolazione!».

Questa volta il vecchio trovò subito le parole, perché si sentiva il cuore sulle

labbra:26 «Almeno non lo dire davanti a tua madre».

120 «Mia madre… Era meglio che non mi avesse partorito, mia madre».

«Sì», accennava27 padron ’Ntoni, «sì, meglio che non t’avesse partorito, se oggi

dovevi parlare in tal modo».

’Ntoni per un po’ non seppe che dire: «Ebbene!», esclamò poi, «lo faccio per

lei, per voi, e per tutti. Voglio farla ricca, mia madre! ecco cosa voglio. Adesso ci

125 arrabattiamo colla casa e colla dote di Mena; poi crescerà Lia, e un po’ che le annate

andranno scarse28 staremo sempre nella miseria. Non voglio più farla questa

vita. Voglio cambiare stato,29 io e tutti voi. Voglio che siamo ricchi, la mamma, voi,

Mena, Alessi e tutti».

Padron ’Ntoni spalancò tanto d’occhi, e andava ruminando quelle parole,

130 come per poterle mandar giù. «Ricchi!», diceva, «ricchi! e che faremo quando saremo

ricchi?».

’Ntoni si grattò il capo, e si mise a cercar anche lui cosa avrebbero fatto. «Faremo

quel che fanno gli altri… Non faremo nulla, non faremo!… Andremo a stare

in città, a non far nulla, e a mangiare pasta e carne tutti i giorni».

135 «Va,30 va a starci tu in città. Per me io voglio morire dove son nato»; e pensando

alla casa dove era nato, e che non era più sua si lasciò cadere la testa sul petto. «Tu

sei un ragazzo, e non lo sai!… non lo sai!… Vedrai cos’è quando non potrai più

dormire nel tuo letto; e il sole non entrerà più dalla tua finestra!… Lo vedrai! te

lo dico io che son vecchio!». Il poveraccio tossiva che pareva soffocasse, col dorso

140 curvo, e dimenava tristamente il capo: «“Ad ogni uccello, suo nido è bello”. Vedi

quelle passere? le vedi? Hanno fatto il nido sempre colà, e torneranno a farcelo, e

non vogliono andarsene».

«Io non sono una passera. Io non sono una bestia come loro!», rispondeva

’Ntoni. «Io non voglio vivere come un cane alla catena, come l’asino di compare

145 Alfio, o come un mulo da bindolo,31 sempre a girar la ruota; io non voglio morir di

fame in un cantuccio, o finire in bocca ai pescicani».

«Ringrazia Dio piuttosto, che t’ha fatto nascer qui; e guardati dall’andare a morire

lontano dai sassi che ti conoscono. “Chi cambia la vecchia per la nuova, peggio

trova”. Tu hai paura del lavoro, hai paura della povertà; ed io che non ho più né le

150 tue braccia né la tua salute non ho paura, vedi! “Il buon pilota si prova alle burrasche”.

Tu hai paura di dover guadagnare il pane che mangi; ecco cos’hai! Quando la

buon’anima di tuo nonno32 mi lasciò la Provvidenza e cinque bocche da sfamare, io

ero più giovan di te, e non avevo paura; ed ho fatto il mio dovere senza brontolare;

e lo faccio ancora; e prego Iddio di aiutarmi a farlo sempre sinché ci avrò gli occhi

155 aperti, come l’ha fatto tuo padre, e tuo fratello Luca, benedetto! che non ha avuto

paura di andare a fare il suo dovere.33 Tua madre l’ha fatto anche lei il suo dovere

povera femminuccia, nascosta fra quelle quattro mura; e tu non sai quante lagrime

ha pianto, e quante ne piange ora che vuoi andartene; che la mattina tua sorella

trova il lenzuolo tutto fradicio! E nondimeno sta zitta e non dice di queste cose che

160 ti vengono in mente; e ha lavorato e si è aiutata come una povera formica anche

lei; non ha fatto altro, tutta la vita, prima che le toccasse di piangere tanto, fin da

quando ti dava la poppa,34 e quando non sapevi ancora abbottonarti le brache, che

allora non ti era venuta in mente la tentazione di muovere le gambe, e andartene

pel mondo come uno zingaro».

165 In conclusione ’Ntoni si mise a piangere come un bambino, perché in fondo

quel ragazzo il cuore ce l’aveva buono come il pane; ma il giorno dopo tornò da

capo. La mattina si lasciava caricare svogliatamente degli arnesi, e se ne andava al

mare brontolando: «Tale e quale l’asino di compare Alfio! come fa giorno allungo

il collo per vedere se vengono a mettermi il basto». Dopo che avevano buttato le

170 reti, lasciava Alessi a menare il remo adagio adagio per non fare deviare la barca, e

si metteva le mani sotto le ascelle, a guardare lontano, dove finiva il mare, e c’erano

quelle grosse città dove non si faceva altro che spassarsi e non far nulla; o pensava

a quei due marinai ch’erano tornati di laggiù, ed ora se n’erano già andati da un

pezzo; ma gli pareva che non avessero a far altro che andar girelloni pel mondo, da

175 un’osteria all’altra, a spendere i denari che avevano in tasca. La sera, i suoi parenti,

dopo aver messo a sesto la barca e gli attrezzi, per non vedergli quel muso lungo,

lo lasciavano andare a girandolare come un cagnaccio, senza un soldo in tasca.

[…]

 >> pagina 219 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Il “monolitico” orizzonte esistenziale dei Malavoglia è turbato al suo interno dall’irrompere di un diverso punto di vista. L’immobilità degli antichi costumi, professata da padron ’Ntoni, è messa in discussione dall’illusione, tipica delle giovani generazioni e qui incarnata dal nipote ’Ntoni, che fuggire dal presente e dal cerchio chiuso della tradizione significhi emanciparsi dall’arretratezza e spingersi verso il benessere. Il giovane ha le idee chiare: egli non intende vivere la stessa vita che hanno vissuto le precedenti generazioni dei Malavoglia. A lui si contrappongono tutti gli altri personaggi: il nonno, la madre, Alessi, Nunziata, le vicine che raccontano vecchie storie e propongono indovinelli per sviare il discorso di ’Ntoni. Anche la sorella Mena tenta la strada della saggezza popolare, inanellando uno dietro l’altro proverbi e massime (Il peggio […] è spatriare dal proprio paese, dove fino i sassi vi conoscono, rr. 82-83; Beato quell’uccello, che fa il nido al suo paesello, r. 84). Tuttavia l’apologia degli affetti e della sicurezza domestica e l’appello al rispetto del sistema di valori tramandato, formulati da padron ’Ntoni (Sei quel che è stato tuo padre, e quel che è stato tuo nonno!, rr. 114-115), cadono nel vuoto: il giovane ha scelto di cambiare, desideroso di rinnegare il passato e di incamminarsi sui sentieri del nuovo.

 >> pagina 220 
’Ntoni è convinto di aver capito il segreto della vita e della felicità, e si infervora tanto in questo convincimento da rifiutare le vecchie storie e i proverbi, che egli giudica buoni pei ragazzi (rr. 9-10). È il rifiuto dell’«ideale dell’ostrica», all’interno di un conflitto generazionale e ideologico che separa progressivamente ’Ntoni dai valori trasmessigli dalla famiglia e dalle stesse “ragioni del cuore”, ma è però sempre un’ansia di miglioramento materiale e di ascesa sociale che nel romanzo è destinata alla sconfitta. Nell’ideo- logia verghiana il vero eroismo è quello di coloro che accettano di vivere, rassegnati, la vita faticosa dei padri, non di coloro che se ne vanno.

Le scelte stilistiche

Le immagini scelte dall’autore sono tutte, come sempre, pertinenti all’ambiente sociale raffigurato: per esempio quella positiva del nido, contenuta nel proverbio ricordato da Mena alla r. 84, e ripresa dal vecchio ’Ntoni attraverso un altro proverbio (Ad ogni uccello, suo nido è bello, r. 140), che introduce l’idea di una comunità familiare e paesana protettiva e partecipe, come un nido, appunto, accogliente e sicuro. Invece l’asino, a cui si paragona ’Ntoni (al pari dell’asino di compare Mosca, r. 98), è emblema (negativo, dal punto di vista del giovane) della rassegnazione alla fatica e alla monotonia del vivere. All’immagine dell’asino si aggiungono, con lo stesso significato, quelle del cane alla catena (r. 144) e del mulo da bindolo (r. 145).

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Che cosa intende ’Ntoni quando afferma di non volere finire in bocca ai pescicani (r. 146)?


2 Riassumi i diversi atteggiamenti dei familiari di fronte all’ipotesi della partenza di ’Ntoni.


3 Qual è lo stato d’animo di ’Ntoni nel lasciare la famiglia?

ANALIZZARE

4 Nelle frasi che il nonno rivolge al giovane ’Ntoni alla r. 91 (O tu, che non vorresti lavorare più? Cosa vorresti fare? l’avvocato?) riconosci:

  • a ironia.
  • b sarcasmo.
  • c un’antifrasi.
  • d un ossimoro.

INTERPRETARE

5 Trascrivi i proverbi pronunciati da padron ’Ntoni e ricava da essi la sua visione della vita, spiegandola in poche righe.


6 Considera la seguente frase del vecchio ’Ntoni: E che faremo quando saremo ricchi? (rr. 130-131). Quale idea è implicita in essa?

Produrre

7 Scrivere per argomentare. Secondo te chi ha ragione? ’Ntoni o i suoi parenti? Il sogno di una vita diversa del ragazzo ti sembra irragionevole oppure comprensibile? Riesci a immedesimarti nel suo punto di vista? Esponi le tue opinioni in un testo argomentativo di circa 30 righe.

Dibattito in classe

Quali motivi spingono il giovane ’Ntoni ad andarsene di casa? Sono le stesse ragioni per cui, anche oggi, molti ragazzi lasciano il proprio paese per andare a “cercar fortuna” altrove o addirittura all’estero? Discutine con i compagni. 

Il tesoro della letteratura - volume 3
Il tesoro della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi