Le opere
Ariosto scrive quasi esclusivamente in volgare; l’uso del latino è episodico e riservato soltanto ad alcune poesie. Senz’altro il genere più importante da lui praticato è l’epica cavalleresca, che gli assicura un posto di primo piano nella storia della letteratura italiana. Va però anche ricordata la produzione satirica, utile per inquadrare meglio la personalità dell’autore, mentre meno significative sono le commedie scritte per il teatro della corte estense.
Orlando furioso ▶ T3-T9
Intorno al 1505 Ariosto si accinge alla composizione dell’Orlando furioso. La prima edizione è del 1516 e la seconda del 1521, ambedue in 40 canti; la terza, in 46 canti, è del 1532. Al Furioso è dedicata la seconda parte dell’Unità (▶ p. 739).
Satire ▶ T1
Lo stile e i contenuti Scritte fra il 1517 e il 1524 (e pubblicate postume nel 1534), sono 7 componimenti in terza rima, dedicati a parenti e ad amici. Sono testi di contenuto autobiografico e di andamento narrativo, caratterizzati da una scioltezza e coerenza di stile – uno stile colloquiale, dimesso – che le rendono le più riuscite tra le opere minori di Ariosto. In esse l’autore svolge una meditazione, pacata e sorridente, sul proprio carattere e sui propri difetti: emerge a tratti la sua nitida coscienza morale, che gli vieta certi comportamenti e ne orienta le scelte di vita. Quello delle Satire è un Ariosto intento a un racconto concreto e personale, che è quasi il rovescio di quella grande “favola” che è il Furioso.
La Satira I è un bilancio degli anni di servizio agli ordini del cardinale Ippolito d’Este; la II è la cronaca di un viaggio a Roma, città dipinta a tinte fosche per gli intrighi politici che caratterizzano la curia papale; la III parla del nuovo servizio del poeta, quello presso Alfonso I; la IV racconta del suo incarico in Garfagnana, con tutti i problemi e i disagi che egli si trova a vivere; la V è indirizzata al cugino Annibale Malaguzzi nell’imminenza del suo matrimonio ed è un elogio della vita matrimoniale; nella VI l’autore traccia un crudo quadro della società letteraria contemporanea; la VII è un garbato rifiuto all’offerta di un posto di ambasciatore presso papa Clemente VII.
Rime volgari e Carmi latini ▶ T2
Le Rime in volgare (raccolte per la prima volta in volume nel 1545) sono quasi tutte liriche d’amore che hanno per modello Petrarca, per quanto si avverta con chiarezza l’influsso dei poeti latini. In particolare, da giovane Ariosto si era formato sui versi di Catullo, Orazio, Ovidio e Virgilio, dai quali deriva, per la propria poesia, un insegnamento di stile, nei termini di una composta essenzialità. D’altronde Ariosto è anche autore di un cospicuo numero di poesie in latino (oltre una settantina), che attestano gli assidui studi giovanili sui classici.
Commedie
Ariosto scrive 5 commedie in endecasillabi sciolti: La Cassaria (1508); I Suppositi (1509); Il Negromante (1520); La Lena (1528); I Studenti (rimasta interrotta e finita dal fratello Gabriele e dal figlio Virginio, che la intitolano La Scolastica). Sono opere che non presentano particolari pregi letterari: Ariosto si limita a riprendere gli schemi formali delle commedie di autori latini, adattandone gli intrecci a situazioni contemporanee. Con questa produzione egli inaugura la commedia classicheggiante del Cinquecento.
Lettere
Di Ariosto ci sono rimaste anche 214 lettere di un epistolario certamente più ampio. Nate da contingenze e necessità pratiche, esse aprono squarci sulla vita privata del poeta, risultando utili nella ricostruzione dei suoi servizi pubblici (soprattutto del commissariato garfagnino), e offrono alcune informazioni sulla composizione delle opere.
Erbolato
Si tratta di un opuscolo uscito postumo nel 1545, della cui paternità ariostesca, peraltro, non tutti gli studiosi sono persuasi. È un’opera singolare, una sorta di divertissement che disegna una gustosa caricatura dei medici del tempo. L’erbolato è una torta d’erbe di cui un medico un po’ ciarlatano decanta le portentose virtù terapeutiche.
La vita |
Le opere |
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• Nasce a Reggio Emilia |
1474 |
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• Studia giurisprudenza e lettere a Ferrara |
1495-1500 |
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• Intraprende la carriera militare |
1502 |
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• Entra al servizio del cardinale Ippolito d’Este |
1503 |
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1508 | La Cassaria | |
1509 | I Suppositi | |
• Incontra Alessandra Benucci, la donna che amerà per tutta la vita |
1513 |
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1516 | Prima edizione dell’Orlando furioso | |
• Si rifiuta di seguire il cardinale Ippolito in Ungheria e lascia il servizio presso di lui |
1517 |
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1517-1524 | Satire | |
• È al servizio del duca di Ferrara Alfonso I d’Este |
1518 |
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1520 | Il Negromante | |
1521 | Seconda edizione dell’Orlando furioso | |
• È in Garfagnana come commissario per controllare i territori acquisiti dal ducato |
1522 |
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• Ritorna definitivamente a Ferrara |
1525 |
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1528 | La Lena | |
1532 | Terza edizione dell’Orlando furioso | |
• Muore a Ferrara |
1533 |
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1534 | Satire (pubblicazione postuma) | |
1545 | Rime ed Erbolato (pubblicazione postuma) |
I grandi temi
1 Le ansie della corte e l’ideale della vita semplice
Pochi mesi dopo essersi liberato dal servizio presso il cardinale Ippolito, Ariosto si trova costretto ad accettare un nuovo incarico presso il duca Alfonso, ottenuto grazie all’interessamento di un cugino, Annibale Malaguzzi. Giacché deve guadagnare da vivere per sé e per la sua numerosa famiglia, sembra proprio che non ci sia per lui alternativa alla vita di corte.
CRONACHE dal PASSATO
La congiura di don Giulio
Una feroce storia di vendetta familiare
Nel 1505 il duca di Ferrara Ercole I d’Este muore, e gli succede il duca Alfonso, suo primogenito. Alfonso era stato un giovane turbolento, insensibile all’arte, amante dei divertimenti più sfrenati; ora però, nel regnare, mostra abilità e fermezza. Gli è solidale il fratello Ippolito, che lo appoggerà per tutta la vita, nonostante la grande diversità di carattere: Ippolito – creato cardinale all’età di quattordici anni – è colto, raffinato, calcolatore, ma anche irascibile.
L’accordo tra Alfonso e Ippolito esclude un fratello, Ferrante, il secondogenito, che si sente messo da parte e non si rassegna a tale disegno. La sua ambizione è quella di sostituirsi ad Alfonso alla guida del ducato.
Con i tre fratelli vive anche don Giulio, figlio illegittimo di Ercole, ma cresciuto ed educato con loro. Giulio è un giovane di bell’aspetto, frivolo e dissoluto. Non si interessa di politica, essendo invece dedito alle avventure galanti. Tuttavia proprio da lui ha origine un dramma che rischia di travolgere il ducato estense.
Giulio, famoso per il fascino del suo sguardo, fa innamorare una gentildonna, a sua volta amata da Ippolito. Quest’ultimo, furente di gelosia, tende un agguato al fratellastro, facendolo colpire proprio agli occhi. Giulio rimane cieco da un occhio, mentre l’altro resta fortemente compromesso.
Ippolito meriterebbe una severa punizione, ma le cautele diplomatiche (la necessità di evitare uno scandalo che potrebbe oltrepassare i confini del ducato) fanno sì che il duca Alfonso minimizzi l’accaduto. Naturalmente, Giulio è di diverso avviso, e il suo risentimento verso Ippolito e verso Alfonso cresce.
Per questo motivo Giulio si avvicina a Ferrante. I due concepiscono un piano: uccideranno Alfonso e Ippolito; in tal modo Giulio soddisferà la propria sete di vendetta, Ferrante quella di potere. La congiura viene organizzata. Ma l’abile cardinale Ippolito si accorge di qualcosa. Freddo, lucido, attento, si mette in guardia, fa sorvegliare Giulio e Ferrante, li osserva, li controlla, e infine la macchinazione è svelata.
I due giovani, non ancora trentenni, sono condannati a morte ma la pena viene poi commutata nel carcere a vita. È il settembre del 1506. Ferrante morirà in prigione a sessantatré anni, Giulio ne uscirà invece dopo avere superato gli ottanta (avendo dunque passato in cella oltre mezzo secolo), quando ormai i protagonisti dell’epoca della sua giovinezza sono quasi tutti scomparsi, Ariosto compreso.
Il tesoro della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento