PERCORSI STORIOGRAFICI

percorsi storiografici

PERCORSO

TESTI

TEMI

1 La Guerra fredda in Europa e nel mondo

p. 552

F. Romero, Guerra fredda e globalizzazione tratto da Storia della Guerra fredda

– L’irriducibile antagonismo ideologico tra Usa e Urss

– Scontro tra Est e Ovest come esito della ricerca di un nuovo ordine europeo dopo la Seconda guerra mondiale

O. Westad, La violenza della Guerra fredda nel Terzo mondo tratto da La Guerra fredda globale

– Interferenze e interventi occidentali e sovietici nel Terzo mondo

– La violenza come strumento di lotta anticoloniale

2 Democrazie costituzionali e democrazie popolari

p. 558

J. W. Müller, La democrazia costituzionale e antitotalitaria in Europa occidentale tratto da L’enigma democrazia

– Il rinnovamento della democrazia attraverso il costituzionalismo antitotalitario

– I cristiano-democratici come principale forza post-bellica in Europa occidentale

A. Applebaum, L’esportazione del modello staliniano in Europa orientale tratto da La cortina di ferro

– La costituzione delle democrazie popolari attraverso l’esportazione del modello staliniano

– Modello antidemocratico fondato sulla propaganda e sulla violenza

3 Un’età dell’oro?

p. 565

M. Mazower, Il nuovo Stato sociale e i suoi limiti tratto da Le ombre dell’Europa

– Le trasformazioni del rapporto tra individuo e stato grazie ai sistemi di Welfare State

– Capacità e limiti di sistemi di sicurezza sociale fondati sulla ridistribuzione, non sull’uguaglianza economica

T. Judt, L’età del benessere e il momento socialdemocratico tratto da Dopoguerra

– Prosperità come leva di cambiamento nell’Europa occidentale postbellica

– Il ruolo dei socialdemocratici nelle riforme postbelliche

4 I partiti politici e la società italiana del dopoguerra

p. 571

P. Scoppola, La presenza politica cattolica e l’avvento di una società secolare e consumistica tratto da La repubblica dei partiti

– Lotta tra cattolici e comunisti come parte di un mondo presecolare

– L’affermazione di una società consumista e secolarizzata

S. Lanaro, Ipertrofia dei consumi e crisi dell’identità nazionale tratto da Storia dell’Italia repubblicana

– Il nesso tra società dei consumi ed espansione dei ceti medi

– La crisi dell’idea di patria come fattore di identificazione

percorso 1

La Guerra fredda in Europa e nel mondo

La Guerra fredda è ormai oggetto di un ampio dibattito storiografico che si è spostato dalla pura e semplice analisi della contrapposizione ideologica tra capitalismo occidentale e comunismo sovietico, allo scontro geopolitico tra la superpotenza americana e quella sovietica. Al centro dell’attenzione degli ultimi studi sono i rapporti tra la scala europea e quella mondiale della Guerra fredda, nonché i suoi rapporti con i processi di globalizzazione. Federico Romero sostiene che il confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica era profondamente radicato nella storia d’Europa e, dopo la Prima e la Seconda guerra mondiale, costituì l’ultima contesa per il dominio del vecchio continente. Lo studioso norvegese Odd Westad ritiene invece che lo scenario principale della Guerra fredda fu il Terzo mondo, dove l’impatto della contrapposizione tra il sistema della libertà (quello americano) e il sistema dell’eguaglianza (quello sovietico) condusse a conflitti violenti e sanguinosi, intrecciandosi con i processi di decolonizzazione e con le loro durature e contraddittorie eredità.

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testo 1
Federico Romero 

Guerra fredda e globalizzazione

La Guerra fredda, che si aprì senza soluzione di continuità con la Seconda guerra mondiale, rappresentò l’ultimo conflitto in cui l’Europa fu il principale campo di battaglia, anche se l’irriducibile confronto ideologico tra Stati Uniti e Unione Sovietica fece strada all’avvento della globalizzazione.

Benché sia ormai divenuta sinonimo della rivalità bipolare che – con ampie oscillazioni tra antagonismo e coesistenza – caratterizzò il quarantennio seguito alla Seconda guerra mondiale, la nozione di Guerra fredda ha (o per lo meno dovrebbe avere) una sua precisa specificità concettuale. Questa verte sulla reciproca negazione di legittimità tra due avversari che, pur attenti a non precipitare lo scontro bellico diretto, si ritengono impegnati in una lotta mortale. Insomma «l’ostilità assoluta, l’antitesi della pace, si combina con l’assenza di una guerra reale». Una condizione, questa, che identifichiamo chiaramente negli anni iniziali ma che poi si perde mano a mano che i due rivali si riconoscono, negoziano e talora persino colludono1 alle spalle di alleati e paesi terzi. Tanto che le diffuse teorie sulla stabilità dell’ordine bipolare – assai in voga dagli anni Settanta – indussero a reinterpretare la Guerra fredda come una «lunga pace». È tuttavia evidente, soprattutto alla luce della conclusione di quel conflitto, che i momenti di riconoscimento e di accordo furono non solo parziali e temporanei, ma pieni di riserve. L’accettazione reciproca restava circoscritta entro ragionamenti di opportunità, perché ciascuno dei due paradigmi di modernità – analogamente universalistici e finalistici2 – ambiva a modellare il futuro in chiave esclusiva e non poteva davvero concepire la fine dell’antagonismo se non come frutto della propria affermazione storica.

Se la difficile, cruciale gestione della pace nell’epoca nucleare imponeva forme di mutua regolamentazione – fino a sfociare nella distensione degli anni Settanta – quello bipolare non divenne tuttavia mai un ordine condiviso, un sistema statico fondato su un comune interesse alla sua stabilità. Anche nei momenti di minor virulenza dello scontro ideologico, e di maggior dialogo diplomatico, la relazione tra Usa e Urss mantenne un carattere eminentemente antagonistico, radicato nelle convinzioni diverse – eppure speculari – che la propria identità e sopravvivenza dipendesse dalla capacità di incanalare le trasformazioni in atto nel mondo in direzione del socialismo o del capitalismo liberale. Ci si poteva insomma riconoscere e accordarsi per diminuire i pericoli di guerra, ma al fine non di appacificarsi bensì di posizionarsi più vantaggiosamente nell’agone storico sul futuro del mondo.

La Guerra fredda dunque non fu solo conflitto ideologico assoluto – come l’esattezza concettuale vorrebbe – ma non fu neppure un «normale» antagonismo di potenza. Fu entrambe le cose, con modulazioni diverse nel corso del tempo, perché restò sempre una contesa inconciliabile sulla direzione della storia. Potenza e cultura, geopolitica e ideologia interagirono costantemente – con miscele ben diverse sui due fronti – nel dettare le mosse che dovevano innanzitutto scongiurare l’avanzamento dell’avversario, poi accrescere la propria capacità di attrazione e condizionamento internazionale e, in ultima analisi, disegnare i lineamenti del mondo del domani.

Perché i due sistemi ideologici che definivano l’Est e l’Ovest, il socialismo e il capitalismo liberale, avevano in comune il fatto di essere – o voler essere – eminentemente trasformativi. Il leninismo e l’internazionalismo wilsoniano (per quanto rimodulati in chiave di potenza da Stalin e dai dirigenti americani degli anni Quaranta) non erano culture della conservazione e della stabilità, bensì filosofie del rinnovamento, talora con tratti addirittura catartici3. Entrambi progetti che scaturivano dal collasso dell’ordine europeo nel 1914, a cui volevano dare risposte diametralmente opposte, essi si trovarono uno di fronte all’altro sulle rovine dell’Europa postnazista, nel 1945, armati non più solo dell’utopismo originario ma del ruolo di grande potenza nel frattempo acquisito sia dall’Urss che, soprattutto, dagli Usa. [...]

La Guerra fredda sorgeva perciò intorno a due diverse ipotesi di sistemazione postbellica dell’Europa. Ciascuna muoveva dalla convinzione che la riconfigurazione geopolitica, socioeconomica e ideologica di un continente spossato da una guerra trentennale sui caratteri della sua modernità avrebbe condizionato e prefigurato le sorti dell’antagonismo universale tra socialismo e capitalismo liberale. Le lenti dell’ideologia, poi, ingigantivano la coerenza e aggressività del disegno avversario, profetizzando scenari di pericolosità che spesso finivano per autoavverarsi.

Questa centralità dell’Europa è evidente nella fase iniziale del conflitto bipolare, quando il continente fu terreno e posta principale di una Guerra fredda che nasceva intorno alla duplice esigenza di rifondare una società libera dal fascismo e circoscrivere l’influenza del comunismo. Ma l’antagonismo si ramificò presto ad altre aree del mondo, a cominciare dall’Estremo Oriente, s’intersecò con innumerevoli conflitti locali e condizionò l’intera dinamica delle relazioni internazionali. [...]

Globalizzazione e Guerra fredda sono fenomeni distinti e solo parzialmente sovrapposti. Ma con interfacce e sinergie talmente dense da rendere assai povera, se non inesplicabile, una ricostruzione storica della seconda che prescinda dalla prima. La convinzione americana che per superare i nazionalismi economici fosse necessario integrare l’Occidente e compattarlo in un polo di solidarietà politica oltre che di liberalizzazione economica è una delle radici della Guerra fredda. E lo stato d’emergenza che questa proiettò su tutti i governi e le società occidentali nel dopoguerra facilitò enormemente l’adozione di norme, organismi e pratiche di interdipendenza multilaterale da cui si diramò il tessuto istituzionale della globalizzazione. Lungo il quarantennio, poi, la crescente convinzione pubblica che il mondo andasse unificandosi lungo fitti reticoli di scambio e comunicazione, e che l’umanità condividesse destini e pericoli comuni, divenne un contraltare influente alla lettura dicotomica di due poli o mondi contrapposti. E la geografia della guerra fredda, con i suoi peculiari filamenti di alleanze e clientele, determinò spesso ritmi e geometrie della globalizzazione, risucchiando nel suo epicentro più dinamico paesi di particolare rilevanza strategica per l’Occidente o, viceversa, mantenendo marginali e isolate le economie del socialismo e dei suoi alleati. [...]

L’Europa – pur stabilizzata nella divisione bipolare – restò per tutto il quarantennio il baricentro dell’antagonismo, l’unica area assolutamente imprescindibile per l’uno come per l’altro blocco, l’epicentro ove anche solo il rischio di una sconfitta risultava inammissibile – al punto da elevare la guerra nucleare ad alternativa assiomatica e pressoché automatica. È indubbio che tra il 1956 e la fine degli anni Settanta i sovietici sperarono (e l’Occidente specularmente temette) che i rivolgimenti del Terzo mondo spostassero decisamente a loro favore le «correlazioni di forza». Ma ciò discendeva anche dalla convinzione che in Europa si fosse giunti a una stabilizzazione tale da non mettere in discussione l’epicentro del loro impero e della loro potenza strategica. A mandare a gambe all’aria quelle previsioni non furono soltanto le dinamiche della globalizzazione, ma l’aprirsi di una crisi strisciante – eppure profonda e infine terminale – dell’Impero sovietico in Europa dal 1981.

Qui il continente tornava a essere centrale come soggetto oltre che terreno di contesa. Come si vedrà, infatti, l’Europa occidentale ebbe una parte prominente nel determinare il tipo di conclusione, pacifica e inattesa, del lungo conflitto. Il suo esempio di società dinamica, aperta e prospera – unitamente alle politiche di distensione volte ad avviluppare l’Est all’Ovest con mille fili finanziari, commerciali, e culturali – evidenziò il fallimento comparativo del socialismo e rastremò ogni fiducia nella sua sostenibilità fino a eliminarla del tutto, risultando perciò decisivo nel precipitare la resa psicologica prima ancora che politica dei gruppi dirigenti dell’Est. E la Guerra fredda poté davvero concludersi solo laddove era cominciata, grazie allo sgretolarsi del potere sovietico sulla Germania e l’Europa centrale.


tratto da Storia della Guerra fredda. L’ultimo conflitto per l’Europa, Einaudi, Torino 2009

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testo 2
Odd Westad

La violenza della Guerra fredda nel Terzo mondo

Ben lungi dall’essere un confronto meramente ideologico, la Guerra fredda fu combattuta dalle superpotenze soprattutto negli scenari extraeuropei attraverso interventi diretti o indiretti (politici, economici o militari), che si ponevano in parte in continuità con il colonialismo e che alimentarono la mobilitazione anticoloniale del Terzo Mondo.

In termini prettamente storici – e in modo particolare se vista da Sud – la Guerra fredda è stata un proseguimento del colonialismo con altri mezzi, solo leggermente differenti. In quanto processo conflittuale, si è incentrata soprattutto sul controllo e sulla dominazione, prima di tutto in termini ideologici. I metodi delle superpotenze e dei loro alleati locali sono stati notevolmente simili a quelli utilizzati durante l’ultima fase del colonialismo europeo: progetti sociali ed economici su scala gigantesca, promesse di modernizzazione per i sostenitori e, quasi sempre, morte agli avversari o a chi si trovava di traverso sulla strada del progresso. Per il Terzo mondo, il continuum di cui la Guerra fredda fa parte non ha inizio nel 1945, e nemmeno nel 1917, ma nel 1878 – con la Conferenza di Berlino, che sancì la spartizione dell’Africa tra le potenze imperialiste europee –, o forse addirittura nel 1415, quando i portoghesi conquistarono la loro prima colonia nel continente. Nemmeno il conflitto tra le due superpotenze, o la sua dimensione ideologica, ha rappresentato un elemento nuovo, in questo tentativo di dominio europeo di lunga durata. Le potenze intervenute in precedenza si erano spesso scontrate tra loro, in qualche caso per via di visioni del mondo concorrenti.

[...]

L’aspetto tragico della Guerra fredda, sia per quanto riguarda il Terzo mondo che per le stesse superpotenze, risiede nel fatto che due progetti storici in origine genuinamente anticoloniali divennero parte di uno schema di dominazione molto più antico, a causa dell’intensità del conflitto che li vedeva contrapposti, della posta in gioco percepita e della paura quasi apocalittica delle conseguenze di una vittoria dell’avversario. Sebbene sul piano formale tanto Mosca quanto Washington siano rimaste contrarie a ogni colonialismo per tutto il corso della Guerra fredda, i metodi utilizzati dai due schieramenti per imporre la propria versione di modernizzazione ai paesi del Terzo Mondo furono del tutto simili a quelli messi in campo dagli imperi europei prima di loro, in particolare dai predecessori immediati, cioè i progetti coloniali britannici e francesi di fine xix secolo e inizio del xx. Questi metodi si incentravano sull’induzione di mutamenti culturali, demografici ed ecologici nelle società del Terzo mondo, facendo ricorso alla forza militare per abbattere le resistenze.

[...]

Quando, intorno al trentennio centrale del xx secolo, una parte del Terzo mondo si ribellò al giogo coloniale, le rivoluzioni che ne seguirono furono spesso ispirate dalla forma di alto modernismo sovietico o americano. In un periodo di estrema instabilità globale, non deve quindi sorprendere che regimi altamente ideologizzati come gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica abbiano optato per l’intervento in quello che appariva un gioco a somma zero, in cui, di fatto, mancavano buone ragioni per agire diversamente. A sorprendere, invece, è il ruolo chiave svolto dalle classi dirigenti locali nel facilitare e farsi complice delle ingerenze delle superpotenze. Ricollegando gli obiettivi interni alla fede in un’ideologia comune, internazionale, molti puntavano a qualche forma di partecipazione delle superpotenze, dallo stadio rivoluzionario in avanti. Alcuni stabilirono delle priorità – economiche, politiche, militari – che, come ben sapevano, potevano essere realizzate esclusivamente con l’intervento sovietico o americano. Molti dichiararono guerra alle popolazioni contadine, nel tentativo di costringerle – spesso con l’ausilio del­l’intervento straniero – ad accettare progetti centralizzati per il miglioramento delle loro condizioni di vita. In misura forse maggiore rispetto alle superpotenze di cui erano alleate, queste élite consideravano la modernizzazione e la definitiva eliminazione delle figure rurali come lo scopo supremo, il cui perseguimento giustificava anche le più estreme forme di violenza.

Le ideologie della Guerra fredda e gli interventi delle superpotenze, pertanto, contribuirono a precipitare una gran quantità di Stati del Terzo mondo in una condizione di guerra civile semipermanente. In alcuni casi è probabile che si sarebbero comunque verificati aspri conflitti, alla chiusura della fase coloniale, ma l’esistenza di due superpotenze ideologicamente contrapposte fece spesso protrarre questi scontri e li rese molto più difficili da ricomporre. C’erano due motivi principali del perpetuarsi della guerra. Una era la convinzione diffusa tra le élite locali che i propri obiettivi avessero un carattere di necessità morale. Osservando l’abisso che divideva le condizioni di vita del proprio popolo da quelle dei cittadini degli Stati paneuropei, le priorità delle classi dirigenti venivano alimentate dalla certezza che il cambiamento fosse non solo possibile, ma imprescindibile, e che quasi qualunque prezzo sarebbe stato ragionevole pur di sconfiggere la fame, le malattie, l’ignoranza e l’ingiustizia. Inoltre, l’imperativo morale del progresso che auspicavano era un elemento comune a entrambe le superpotenze, mentre i mezzi specifici per metterlo in pratica spesso traevano ispirazione da una delle due. In altre parole, non era difficile trovare conferme da una parte o dall’altra alla propria lista di priorità per il cambiamento.

[...]

I conflitti combattuti nel Terzo mondo durante la Guerra fredda furono straordinariamente distruttivi. Essendo per la maggior parte guerre contro i contadini, il modo migliore per vincerle era utilizzare le armi della fame e della sete, piuttosto che scontri armati e bombardamenti. Le tattiche usate in questi conflitti miravano a distruggere le vite, non le proprietà. Paese dopo paese – Kurdistan, Guatemala, Vietnam, Angola, Etiopia – i contadini venivano strappati alle loro terre e ai loro villaggi, e la scelta era tra morire di stenti o sottomettersi. Anche dopo le dichiarazioni di fine degli scontri, i governi continuavano a condurre guerre contro parti della popolazione rurale: molto di quanto il Fmi1 e la Banca mondiale – nella loro «infinita» saggezza di fine anni Ottanta – definivano cattiva gestione o indifferenza era in realtà un atto di guerra pensato per spezzare la volontà di comunità rurali recalcitranti, con l’annientamento di risorse come l’acqua, i sistemi di irrigazione e gli spazi destinati al pascolo. La violenza culturale fu a volte altrettanto nociva di quella fisica: milioni di persone furono costrette a cambiare le proprie credenze religiose, la propria lingua, la propria struttura familiare, e perfino il proprio nome, per potersi inserire sulla via del progresso.


tratto da La Guerra fredda globale. Gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e il mondo. Le relazioni internazionali del XX secolo, il Saggiatore, Milano 2015

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Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Le ideologie della Guerra fredda contribuirono a creare negli Stati del Terzo mondo una condizione di guerra civile semipermanente.

b) La geografia della Guerra fredda determinò ritmi e geometrie della globalizzazione.

c) L’Europa restò per tutto il quarantennio il baricentro dell’antagonismo.

d) La Guerra fredda è stata un proseguimento del colonialismo con altri mezzi.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


 

Guerra fredda e globalizzazione

La violenza della Guerra fredda nel Terzo mondo

TESI

   

ARGOMENTAZIONI

   

PAROLE CHIAVE

   
Cooperative Learning

Guerra fredda – Terzo mondo – Globalizzazione: questi tre termini nascono in condizioni storiche ben precise nella seconda metà del Novecento. Riflettiamo in classe su questi concetti e documentiamoci sul loro significato.


competenza DIGITALE Dividiamo la classe in gruppi con la guida dell’insegnante. A ciascun gruppo viene attribuito uno dei tre termini con lo scopo di realizzare una presentazione digitale (utilizzando Powerpoint – Prezi – Thinglink – Sway) che illustri la genesi storica del termine. Tempo di relazione alla classe: massimo 15 minuti.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
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