9.9 L’avanzata alleata da est e da ovest

9.9 L’avanzata alleata da est e da ovest

La resistenza in Europa

Il “Nuovo ordine europeo” di Hitler cominciò a vacillare nella seconda metà del 1942, quando le sorti della guerra si rovesciarono. Di fronte alle crescenti difficoltà di gestire le vastissime aree d’occupazione, la Germania nazista aumentò il reclutamento forzato di manodopera locale, inquadrata e organizzata nel Servizio di lavoro obbligatorio. Fra gli europei, solo i polacchi e gli ebrei furono esclusi da qualsiasi forma di collaborazione con l’occupante nazista.

Ulteriori difficoltà per la Germania derivarono dal sorgere, nel corso del 1943, di ampi movimenti di resistenza in molte aree del continente [ 27], formati da renitenti alla leva e da coloro che riuscivano a sottrarsi al lavoro forzato. Le forze alleate, fra l’altro, garantivano l’appoggio logistico ai gruppi in lotta contro le truppe di occupazione (per esempio con il lancio di materiali bellici oltre le linee nemiche).

La Resistenza francese, chiamata maquis (letteralmente, “macchia”), si organizzò in una rete clandestina di piccoli gruppi che si dedicavano al sabotaggio delle linee di comunicazione nemiche, al salvataggio dei piloti alleati abbattuti sui cieli francesi, all’assistenza militare all’avanzata angloamericana e all’eliminazione di elementi di spicco del regime di Vichy o delle forze d’occupazione. Il movimento di liberazione iugoslavo, fondato da Tito nel 1941 e divenuto il più grande d’Europa dopo quello sovietico, adottò invece un diverso modello organizzativo, strutturandosi come un esercito volontario in grado di sostenere vere e proprie battaglie, come quella lungo il fiume Neretva, nella Erzegovina, combattuta fra il gennaio e l’aprile 1943.

Particolarmente difficili erano le condizioni dell’opposizione a Hitler all’interno della società tedesca. Un pugno di individui cercò di sfidare il terrore e la popolarità del regime nazista, come il raggruppamento di studenti cristiani non violenti della Rosa Bianca di Monaco. Fu però un gruppo di militari conservatori, consapevoli della deriva autodistruttiva della guerra, che il 20 luglio 1943 tentò di colpire Hitler con un attentato. La bomba fatta esplodere dal colonnello Klaus von Stauffenberg nel quartier generale di Rastenburg lasciò però illeso il dittatore; la successiva repressione fu spietata.

 >> pagina 357 
Le idee sull’Europa futura

I vari gruppi di resistenza, dalla Francia alla Iugoslavia all’Italia, non si limitarono a organizzare la lotta armata al nazifascismo, ma elaborarono anche un pensiero relativo alla riorganizzazione degli Stati nazionali e dell’Europa del dopoguerra. I partigiani comunisti tendevano a interpretare i movimenti resistenziali anche come espressione della lotta di classe e quindi a concepire la guerra di liberazione come parte del conflitto per la realizzazione del comunismo. Invece tra alcune correnti minoritarie prese forma un europeismo federalista, che trovò espressione coerente nel Manifesto Per un’Europa libera e unita, scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, nel 1941, mentre erano detenuti al confino fascista di Ventotene [▶ Fonti, p. 366].

L’assetto postbellico era anche una preoccupazione delle potenze in guerra. Già durante lo svolgimento del conflitto, infatti, una serie di conferenze internazionali cui parteciparono i rappresentanti dei tre principali Stati degli Alleati – Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica – cominciarono a definire l’ordine del dopoguerra. Gli incontri di Teheran (novembre 1943) e Yalta (febbraio 1945), in particolare, gettarono le basi della futura divisione dell’Europa e del mondo in diverse sfere di influenza (prevalentemente statunitense e sovietica), come vedremo tra poco.

L’offensiva aerea alleata

Fin dal 1942, intanto, gli Alleati avevano conquistato la supremazia aerea sulla Germania e avviato, sotto il comando del maresciallo inglese Arthur Harris, una strategia di bombardamenti a tappeto sulle città tedesche, con l’intento di distruggerne le infrastrutture industriali e di demoralizzare la popolazione civile. Nel maggio del 1942 il centro di Colonia fu raso al suolo, ma fu soprattutto nell’ultimo anno di guerra che si verificarono i bombardamenti più devastanti, spesso realizzati, come ad Amburgo, con bombe incendiarie che creavano la cosiddetta “tempesta di fuoco”, con temperature di oltre 1500 gradi. Tra il 13 e il 15 febbraio 1945 la città di Dresda, fino ad allora ai margini del raggio d’azione degli aerei alleati e priva di importanti obiettivi militari, fu completamente distrutta da un attacco terribile, che provocò la morte di almeno 40 000 civili [ 28].

 >> pagina 358 

In risposta all’offensiva aerea alleata, Hitler cercò di risollevare le speranze di vittoria con la propaganda sul ricorso a presunte “armi segrete” che avrebbero potuto cambiare il corso della guerra. Nei laboratori di Peenemünde, sul Mar Baltico, furono in effetti messi a punto i missili a lunga gittata V-1 e V-2: lanciati contro le città inglesi del Sud fra il 1944 e il 1945, seminarono morte, terrore e distruzione, ma non mutarono l’esito del conflitto, ormai ampiamente favorevole alle forze alleate.

Da Stalingrado all’insurrezione di Varsavia

Nel corso del 1943 il dominio nazista cominciò a cedere anche nell’Europa orientale. Nonostante le carestie e le repressioni subite negli anni Trenta, le zone rimaste sotto il controllo sovietico dimostrarono una straordinaria capacità di tenuta sociale ed economica. A est degli Urali, lontano dalle zone d’occupazione tedesca, furono impiantati o trasferiti stabilimenti che potevano fabbricare grandi quantitativi d’armi. Ciò fu possibile grazie agli aiuti americani, ma anche a un’intensa mobilitazione dell’intera società, a partire dalle donne: quasi il 60% della manodopera operaia delle industrie e oltre l’80% di quella delle fattorie collettive era infatti femminile.

Dopo aver battuto la Wehrmacht a Stalingrado, nel luglio 1943 l’Armata rossa riuscì a piegare il nemico nella battaglia di Kursk – la più terribile battaglia fra mezzi corazzati (oltre 5000) di tutti i tempi – e avviò una lenta ma inesorabile riconquista dei territori persi fra il 1941 e il 1942 [ 29].

Gli sforzi bellici comportarono però ulteriori sacrifici di vite umane e nuove immani tragedie. Fra il novembre 1943 e il giugno 1944, in particolare, nei territori tornati sotto il loro controllo, i sovietici procedettero alla deportazione dei tatari in Crimea, nonché di calmucchi, ceceni, ingusci e balkiri in Caucaso (per un totale di circa 900 000 persone, soprattutto di religione musulmana), al fine di punire la loro presunta o reale collaborazione con il nemico o di sventare ogni minaccia di tradimento in nome della sicurezza.

 >> pagina 359 

Nel caotico contesto della guerra nazi-sovietica, inoltre, si scatenò una violentissima guerra civile polacco-ucraina (a causa di tensioni irrisolte dai tempi della guerra sovietico-polacca del 1920), che portò al massacro di decine di migliaia di polacchi da parte dei nazionalisti ucraini e alla loro espulsione dal paese.

Intorno al destino della Polonia le esigenze della guerra cominciarono a intrecciarsi con quelle del dopoguerra. Al governo polacco in esilio a Londra si opponeva infatti un governo di Lublino, riconosciuto dall’Urss. All’inizio di agosto del 1944, mentre le truppe sovietiche si avvicinavano a Varsavia, la città insorse e i partigiani dell’Armja Krajowa, movimento di resistenza nazionalista decisamente antisovietico, tentarono di assumere il controllo della capitale polacca. Perciò le truppe sovietiche arrestarono la propria avanzata nei quartieri periferici della città sulla sponda orientale della Vistola, mentre al di là del fiume le forze partigiane polacche ingaggiavano battaglia con l’esercito tedesco. La spietata repressione nazista provocò la morte di un numero oscillante fra le 150 000 e le 200 000 persone, oltre che la distruzione pressoché completa dell’antico centro della città. Due mesi più tardi, in ottobre, le truppe sovietiche entrarono in una Varsavia ridotta in macerie, assumendone il controllo.

Lo sbarco in Normandia e la liberazione della Francia

Sollecitato da Stalin fin dal 1941, l’intervento militare angloamericano in Europa occidentale ebbe luogo il 6 giugno 1944 [ 30] (▶ D-Day dell’“operazione Overlord”), con uno sbarco massiccio sulle coste della Normandia sotto il comando del generale statunitense Dwight Eisenhower. Si trattò di un’operazione quanto mai complessa, messa a punto nei campi di addestramento in Regno Unito e preceduta da settimane di bombardamenti sul cosiddetto “Vallo atlantico”, il temuto sistema di fortificazioni costruito dai tedeschi sulle coste francesi settentrionali. I servizi di informazione alleati fecero circolare la notizia che lo sbarco sarebbe avvenuto al passo di Calais, così da trattenere lontano un consistente gruppo di divisioni corazzate tedesche [▶ altri linguaggi, p. 364].

 >> pagina 360 

Dopo una drammatica giornata di combattimenti, e nonostante l’accanita resistenza tedesca, oltre 160 000 soldati angloamericani furono in grado di stabilire una prima testa di ponte: nelle settimane successive furono costruiti due porti artificiali attraverso cui transitarono 2 milioni e 200 000 soldati e 450 000 mezzi militari. L’avanzata delle forze alleate fu però tutt’altro che priva di ostacoli, anche perché le truppe tedesche continuavano a battersi con determinazione. Il 18 agosto Parigi insorse e, dopo alcuni giorni di scontri violenti, il 25 agosto accolse l’entrata delle forze di liberazione; anche se la Francia aveva perduto in larga misura il suo status di grande potenza, gli angloamericani concessero alla divisione francese comandata dal generale Leclerc di entrare per prima nella capitale e al generale De Gaulle di celebrare la liberazione nazionale. Le forze alleate si ricongiunsero quindi con quelle provenienti da sud, sbarcate vicino a Marsiglia, dirigendosi poi verso il Reno puntando con grande decisione alla volta di Berlino.

Nell’inverno del 1944, le Ardenne (la zona montuosa compresa tra Francia, Lussemburgo e Belgio) furono teatro di un’offensiva tedesca, volta a dividere le forze alleate in due tronconi, così da isolarle e sospingerle verso il mare. Il “colpo di coda di Hitler”, come fu chiamata l’offensiva, provocò gravi perdite americane, ma non raggiunse l’obiettivo di disperdere l’avanzata alleata [ 31].

La fine del Terzo Reich

Sull’altro fronte, l’avanzata dell’Armata rossa liberò i paesi dell’Europa centrorientale uno a uno, ponendo nel contempo le basi per una nuova occupazione. Nel febbraio 1945, dopo un assedio terribile per la popolazione civile e una dura battaglia casa per casa, Budapest fu conquistata: si apriva così la strada per l’offensiva finale su Berlino.

 >> pagina 361 

Intanto, però, la Wehrmacht e le Ss continuavano a stabilire molteplici linee di difesa, prima intorno a Königsberg poi vicino a Breslau combattendo fino all’ultimo uomo in un’atmosfera da resa dei conti finale. Entrambe le città furono gravemente danneggiate, ma l’Armata rossa riuscì infine a imporsi, con uno strascico di violenze sui civili che provocò un eccezionale movimento di fuga delle popolazioni tedesche.

Hitler visse gli ultimi mesi di guerra in un isolamento sempre più completo, ordinando spostamenti di armate che esistevano solo sulla carta e sperando in un miracolo che rovesciasse le sorti del conflitto. Ma nonostante l’entusiasmo con cui in Germania fu salutata la morte di Roosevelt, il 12 aprile 1945, neanche la mobilitazione totale della Hitlerjugend, con la coscrizione dei sedicenni, poteva ormai opporsi alle soverchianti forze alleate.

Il 16 aprile cominciò l’assalto finale su Berlino da parte del generale sovietico Žukov, penetrato nel Reich dal fronte bielorusso superando la linea fra la Vistola e l’Oder. Il 25 aprile, le truppe angloamericane provenienti da ovest e quelle sovietiche provenienti da est si congiunsero lungo il fiume Elba a ovest di Berlino. Completamente accerchiata e in larga misura distrutta, Berlino cadde il 2 maggio [ 32], dopo che il 30 aprile Hitler si era suicidato nel bunker scavato sotto la Cancelleria.

La liberazione dell’Italia

Rispetto al fronte francese, quello italiano rappresentava per gli Alleati uno scenario secondario. Nella primavera del 1945, tuttavia, l’offensiva alleata riprese anche nella penisola, con la liberazione di Bologna (21 aprile) e la successiva avanzata nella Pianura Padana.

Il Clnai puntava a organizzare una sollevazione popolare che anticipasse l’arrivo degli eserciti alleati, anche al fine di poter rivendicare il diritto di svolgere un ruolo nell’assetto del dopoguerra. Il 25 aprile scattò l’ordine di insurrezione da parte delle formazioni partigiane, che scesero dalle montagne e dalle colline e si impadronirono di Milano, Genova e Torino, ormai abbandonate dalle forze d’occupazione in ritirata verso la Germania [ 33]. Il 28 aprile Mussolini fu catturato a Dongo, sul lago di Como, mentre cercava di fuggire in Svizzera con la divisa di soldato semplice tedesco. Riconosciuto dai partigiani durante una perquisizione, fu immediatamente fucilato: il suo corpo, insieme a quello dell’amante Claretta Petacci, fu esibito il giorno dopo in piazzale Loreto a Milano, in una sorta di macabra festa collettiva di esorcizzazione del Ventennio fascista che voleva sancire la fine della guerra civile.

L’ultima fase della guerra assunse un andamento particolarmente drammatico nella regione altoadriatica. Il 1° maggio 1945, prima dell’arrivo delle forze angloamericane, l’Esercito di liberazione iugoslavo guidato da Tito si impadronì di Trieste e di tutta l’area circostante, reclamandone l’annessione alla Iugoslavia. Durante i quaranta giorni di occupazione iugoslava scaturì una serie di contese politiche e territoriali dalle conseguenze durature.

 >> pagina 362 

9.10 La sconfitta del Giappone

Verso la fine della guerra nel Pacifico

Dal 1941 al 1944 la guerra fra Giappone e Stati Uniti si era combattuta soprattutto sulle isole o sul mare. Dalla fine di novembre del 1944, invece, il territorio giapponese fu investito direttamente dalle pesanti incursioni dei bombardieri americani B-29, carichi di bombe incendiarie che precipitavano su città costruite ancora prevalentemente di legno. Uno dei bombardamenti più devastanti fu compiuto su Tokyo nel marzo 1945, quando il vento trasformò gli incendi in una tempesta di fuoco che causò dalle 75 000 alle 200 000 vittime.

A mano a mano che i marines si avvicinavano al Giappone, conquistando isole che avrebbero facilitato i bombardamenti sulle città nipponiche e i preparativi per uno sbarco, le battaglie si facevano sempre più feroci. Particolarmente cruente, e per molti versi decisive, furono le battaglie di Iwo Jima (febbraio-marzo 1945) e di Okinawa (aprile-giugno 1945). Intanto, molti piloti e soldati giapponesi cominciarono a compiere missioni suicide, schiantandosi con i propri velivoli o con altri mezzi sugli obiettivi nemici. Da un punto di vista strettamente militare l’impatto dei cosiddetti kamikaze fu irrilevante, ma il loro sacrificio testimoniava la volontà dei giapponesi di battersi fino all’ultimo, tanto che i comandi militari americani temevano la prospettiva di una sanguinosa campagna per conquistare Tokyo.

Le bombe atomiche sul Giappone

Negli Stati Uniti, nel laboratorio di Los Alamos in New Mexico, si sviluppava intanto il progetto Manhattan. Sotto la direzione del fisico nucleare Robert Oppenheimer, scienziati di tutto il mondo – fra i quali molti ebrei fuggiti dalla Germania nazista o dall’Italia fascista come Enrico Fermi, anche se Albert Einstein fu contrario – studiavano la realizzazione di un ordigno a energia nucleare. Il 16 luglio 1945, ad Alamogordo, nel New Mexico, fu infine sperimentata la prima bomba atomica.

Dopo neanche un mese dalla prima sperimentazione della bomba atomica, il neoeletto presidente statunitense Harry Truman diede il via libera al suo utilizzo in guerra. La mattina del 6 agosto il bombardiere americano Enola Gay lanciò sulla città giapponese di Hiroshima un ordigno atomico che provocò la morte istantanea di circa 70 000 persone e almeno altrettante per le ferite e le radiazioni nelle ore successive. Tre giorni dopo, senza che fosse stato possibile per i Giapponesi prendere coscienza di quanto accaduto a Hiroshima, il 9 agosto fu lanciato un secondo ordigno atomico, questa volta sulla città di Nagasaki, procurando la morte immediata di almeno 40 000 persone.

Le conseguenze del bombardamento atomico su due città prive di valore militare, insieme alla dichiarazione di guerra sovietica contro il Giappone, indussero l’imperatore ad annunciare la resa il 15 agosto, invitando la popolazione «a sopportare l’insopportabile». Il 2 settembre, a bordo della corazzata statunitense Missouri, fu firmata la capitolazione [ 34].

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
Dal 1900 a oggi