Storie. Il passato nel presente - volume 3

L’eco sudamericana della Grande crisi
La crisi esplosa negli Stati Uniti nel 1929 non mancò di produrre drammatici effetti sull’America centrale e meridionale, con una drastica contrazione degli scambi commerciali, un’improvvisa caduta dei prezzi e un esponenziale aumento del debito pubblico degli Stati. A essere colpiti furono soprattutto i paesi in cui l’esportazione di risorse minerarie (Cile e Bolivia) o di prodotti agricoli tropicali (Brasile, Ecuador, Perù e America centrale) costituivano importanti voci del bilancio nazionale. Paesi come l’Argentina e l’Uruguay, che vendevano soprattutto grano e carne all’Europa, o come il Messico e il Venezuela, che producevano petrolio, soffrirono una minore riduzione del volume commerciale. Solo dopo il 1932 gli scambi commerciali iniziarono una faticosa ripresa.
Nel corso degli anni Trenta, sebbene il liberismo rimanesse la politica dominante in alcuni paesi, le difficoltà dovute alla crisi condussero a un maggiore interventismo statale, volto a sostenere la domanda interna e a offrire assistenza sociale, anche attraverso la nazionalizzazione di settori cruciali della produzione. L’esaurirsi dei fenomeni di immigrazione dall’Europa, a causa di maggiori controlli e di più severe restrizioni, contribuì a consolidare la crescita demografica interna, alimentando anche l’espansione urbanistica; anche se la popolazione continuava a risiedere soprattutto nelle campagne, si verificò in questo periodo un notevole processo di inurbamento delle masse contadine [ 16].
Populismo e corporativismo in Brasile
Tre decenni di grandi trasformazioni, di tensioni e, da ultimo, di crisi economica, avevano portato al completo discredito delle istituzioni parlamentari presso le opinioni pubbliche di tutta l’America Latina, che le vedevano ormai soltanto come la maschera degli interessi delle oligarchie. Fu in questo contesto sociale e politico che, accanto alle già citate forme di intervento politico delle forze armate e in molti casi in stretta relazione a queste, si affermarono esperienze politiche di stampo populista. Si trattava di regimi che ambivano a legittimarsi attraverso il riferimento al “popolo”, del quale i leader pretendevano di incarnare l’autentica volontà. Questi populismi, in parte radicati nella tradizione politica sudamericana, furono ispirati però anche dagli esperimenti politici che si erano affermati (o si stavano affermando) in Europa: il fascismo italiano, il nazismo tedesco e, più avanti, i regimi cattolici e corporativi del Portogallo di Salazar e della Spagna di Franco.

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In Brasile, nel 1930, in una situazione economica drammatica a causa della Grande crisi, Getulio Vargas, presentandosi come interprete della volontà del popolo, realizzò un colpo di Stato e instaurò un regime dittatoriale che ambiva ad accentrare tutti i poteri nelle mani del governo. La nuova costituzione del 1934 era improntata ai principi del nazionalismo e del corporativismo, cioè di un sistema politico e istituzionale fondato – almeno nelle intenzioni – sulla collaborazione armonica fra capitale e lavoro, in nome dell’unità nazionale.

La dittatura vera e propria ebbe inizio nel 1937 con la proclamazione del cosiddetto Estado novo [ 17] (come appunto fu denominato il regime), che trovò il pieno appoggio delle istituzioni militari ed ecclesiastiche e dei grandi proprietari terrieri. Ma l’azione repressiva di Vargas si era già pienamente dispiegata negli anni precedenti, colpendo il Partito comunista e le altre opposizioni. Anche dal punto di vista politico ed economico, l’inasprimento della dittatura determinò più che altro un’accelerazione di preesistenti tendenze all’accentramento dei poteri statali e all’industrializzazione.

Come sarebbe avvenuto anche per altri governi populisti latinoamericani, il regime si contraddistinse per una politica interventista da un punto di vista sociale, soprattutto a vantaggio della popolazione urbana, con l’introduzione di un nuovo sistema pensionistico e previdenziale, un aumento delle tutele del lavoro femminile e minorile, la concessione della giornata lavorativa di otto ore e l’introduzione di un salario minimo.

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Nord e Sud America: un rapporto difficile
Gli sviluppi politici ed economici latinoamericani del primo trentennio del secolo avvennero in un clima di parziale autonomia. Gli Stati Uniti rinunciarono a interventi armati diretti (a differenza di quanto era accaduto nella Repubblica Dominicana, occupata dal 1916 al 1924, e ad Haiti, occupata dal 1915 al 1934), poiché il ricorso alla forza militare era considerato economicamente oneroso e politicamente inefficace. Piuttosto, le amministrazioni repubblicane decisero di sviluppare forme meno dirette – ma non per questo meno penetranti – di controllo e di intromissione nei sistemi politici ed economici locali, con lo scopo di insediarvi uomini a loro fedeli o di tutelare gli interessi delle grandi multinazionali statunitensi, come la United Fruit Company.

Negli anni Trenta, sotto l’amministrazione Roosevelt, gli Stati Uniti abbandonarono definitivamente la dottrina Monroe (elaborata nel 1823 sotto la presidenza di James Monroe), che aveva postulato l’indipendenza del continente americano (Nord, Centro e Sud) dall’Europa; al tempo stesso erano state poste le basi di una supremazia statunitense sull’America Latina, considerata una sfera di intervento privilegiato degli Stati Uniti. Al suo posto fu inaugurata una politica di “buon vicinato”, che rimandava a due criteri essenziali: il non intervento e il multilateralismo, cioè politiche comuni e coordinate invece che una strategia di scelte unilaterali. Al tempo stesso, si gettarono le basi del panamericanismo, che consisteva nella ricerca di forme di solidarietà e coordinamento fra gli Stati latinoamericani, da attivare in particolare nel momento in cui uno di essi si fosse trovato a subire ingerenze politiche o amputazioni territoriali.

La più significativa eccezione alla politica del non intervento fu rappresentata dal Nicaragua, dove i marines dell’esercito statunitense erano già intervenuti nel 1912. Nel 1927 cercarono di imporre una tregua fra i due leader che si contendevano la guida del paese, Adolfo Díaz e José Moncado, e di instaurare un governo di coalizione fedele a Washington. La rivolta dei contadini poveri guidati, fra il 1927 e il 1934, da Augusto Cesar Sandino portò però a uno scontro violento e sanguinoso, che si concluse con il ritiro statunitense nel 1933 e con l’avvento della dittatura di Anastasio Somoza nel 1936. L’assassinio di Sandino, ordinato da Somoza nel 1934, creò attorno alla figura del rivoluzionario nicaraguense un mito popolare destinato a perdurare nel tempo e a coagulare un diffuso antiamericanismo in tutta la regione [ 18].

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
Dal 1900 a oggi