Il suprematismo e razzismo americano
Negli Stati uniti si affermò una particolare forma di razzismo, il suprematismo, fondato sulla convinzione della supremazia di una razza bianca rigidamente definita (di origine nordeuropea e di fede protestante) sugli afroamericani, ma anche sulle comunità immigrate non protestanti. Questo fenomeno sopravvisse alla guerra di Secessione del 1861-65 ed ebbe un nuovo culmine nel primo ventennio del Novecento, in concomitanza con la crescita esponenziale dei flussi migratori verso gli Stati Uniti e, al loro interno, di quello dei neri dagli Stati del Sud verso le grandi città del Nord.
Razzismo istituzionale e popolare
Il razzismo trovò una forma di riconoscimento legale nel 1913, quando il presidente statunitense Woodrow Wilson istituì la segregazione a livello federale, organizzando le unità dell’esercito su base razziale. Non mancarono però espressioni di violenza spontanea e popolare come la sommossa razzista di Atlanta del 1906, o i tanti linciaggi dei neri, specie, ma non solo, negli Stati del Sud. La persistente diffusione del razzismo portò, nel 1915, alla costituzione del secondo Ku Klux Klan, l’organizzazione razzista sudista, che era stata bandita negli anni Settanta dell’Ottocento.
Il razzismo al cinema
Non a caso, sempre nel 1915 uscì nelle sale cinematografiche il film epico e controverso Nascita di una nazione, con cui il regista David Griffith affermava la supremazia bianca. Ambientato durante la guerra civile statunitense, mostrava il conflitto tra unionisti e confederali e la successiva fase della ricostruzione ritraendo in chiave eroica i bianchi e in forma caricaturale i neri (interpretati da attori bianchi colorati). Nonostante avesse suscitato veementi critiche e reazioni contrarie, il film di Griffith fu proiettato anche di fronte al presidente Wilson alla Casa Bianca.
L’America prima di tutto
Nonostante i suoi pregiudizi razziali, il presidente Wilson diede un’interpretazione intrisa di idealismo della “missione” statunitense nel mondo, immaginando, nei suoi 14 punti del gennaio 1918, un nuovo ordine liberale mondiale garantito dagli Stati Uniti. Dagli anni Venti, e con maggior intensità negli anni Trenta, prevalsero invece sempre più, nella politica come nella società, istanze isolazioniste tese ad affermare il primato degli interessi nazionali americani e la supremazia dei bianchi, basata su convinzioni razziste e anche antisemite.
Nel 1940, in opposizione alla politica estera di Roosevelt, che mirava a contrastare le ambizioni espansioniste dell’Italia fascista e della Germania nazista, e contro un eventuale intervento americano nella Seconda guerra mondiale, fu fondato l’America First Committee (Afc). Questa associazione – ma, in generale, molta parte del nazionalismo americano più radicale – non era aliena da simpatie per la Germania nazista, a partire da uno dei suoi membri più noti, l’aviatore Charles Lindbergh. Il gruppo fu sciolto al momento dell’intervento americano in guerra, ma continuò a esercitare un’influenza sotterranea sui settori più conservatori della società americana. Questa influenza non è mai venuta meno del tutto, se si pensa che proprio il motto «America first» («l’America prima di tutto») è stato fatto proprio dal presidente eletto nel 2016, Donald Trump.