Storie. Il passato nel presente - volume 3

Il “Putsch di Monaco”
La crisi economica contribuì ad alimentare gli opposti estremismi. La Baviera, dove si erano verificati altri tentativi insurrezionali di matrice comunista, dopo la repressione del moto spartachista vide moltiplicarsi i gruppi nazionalisti e paramilitari e fu luogo, nel novembre 1923, del tentativo di colpo di Stato noto come “golpe della birreria” o “Putsch di Monaco”, perché ideato in un locale della capitale bavarese. Si trattò di un’azione insurrezionale promossa da militanti del Partito nazionalsocialista, formazione politica di estrema destra, di cui fu artefice l’allora sconosciuto nazionalista radicale Adolf Hitler, insieme al generale Ludendorff [ 5].

Nato nel 1889 a Braunau-am Inn, vicino a Linz (all’epoca sotto l’Impero austro-ungarico, oggi in Austria), Hitler aveva condotto una vita bohemien da aspirante artista a Vienna e a Monaco, prima di partecipare alla guerra come caporale dell’esercito austro-ungarico; nel dopoguerra si era avvicinato al Partito dei lavoratori tedeschi, di tendenze nazionalistiche, e ne era diventato presto il capo, trasformandone il nome in Partito nazionalsocialista tedesco. Fallito il  golpe, Hitler fu arrestato e, durante la detenzione nella Fortezza di Landsberg, nel 1924-25, scrisse il Mein Kampf (La mia battaglia), una sorta di manifesto politico in cui esponeva la sua visione del mondo, fondata sull’odio verso gli ebrei e gli slavi e protesa a garantire alla “razza ariana” – cioè al popolo tedesco, ritenuto una “razza” superiore a tutte le altre e per questo arbitrariamente identificato con il popolo etnicamente “puro” degli ariani – il suo “spazio vitale (Lebensraum). Come vedremo, i concetti di razza ariana e di spazio vitale sarebbero divenuti i cardini dell’ideologia nazista e avrebbero influenzato profondamente tutta la successiva attività politica di Hitler.

Verso una stabilizzazione
Nel novembre 1923, per far fronte all’emergenza finanziaria, le autorità monetarie tedesche decisero di introdurre una nuova valuta, il Rentenmark, che favorì l’attenuazione dei processi inflattivi e consentì un miglioramento di tutta l’economia tedesca. Nel 1924 fu inoltre negoziato il piano Dawes (dal nome del suo promotore, Charles Dawes, uomo politico e finanziere statunitense), che prevedeva l’erogazione di prestiti da parte di altri Stati – e soprattutto dagli Stati Uniti – finalizzati al pagamento delle riparazioni di guerra. Esso presupponeva un ulteriore consolidamento del marco, al fine di collocare il debito tedesco sul mercato finanziario mondiale (cioè di trovare finanziatori esteri). A loro volta, i tedeschi avrebbero ripagato i prestiti americani acquistando le merci provenienti da oltreoceano. Nel frattempo, i governi tedeschi cercarono di coniugare la ricostruzione economica con uno sforzo di stabilizzazionee dipacificazionenelle relazioni internazionali, che fu perseguito soprattutto da Gustav Stresemann, ministro degli Esteri appartenente al Centro cattolico.

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4.4 Il dopoguerra in Francia e Regno Unito

Il dopoguerra dei vincitori
Dal punto di vista della tenuta delle istituzioni e del tessuto sociale, le conseguenze del conflitto in Europa occidentale furono meno radicali che nelle pianure dell’Europa centrale e orientale. In Francia e nel Regno Unito, in particolare, le tensioni politiche e sociali del dopoguerra, per quanto profonde, furono meno travolgenti di quel che ci si potesse attendere: anche in questi paesi si svilupparono imponenti movimenti sociali volti in primo luogo a stabilire nuove forme di controllo sulla produzione industriale, ma essi non giunsero mai a configurarsi come moti insurrezionali sull’esempio della rivoluzione sovietica.
La Francia postbellica
Forte della vittoria in guerra, la Francia conservò il suo prestigio internazionale e, sul piano territoriale, guadagnò l’Alsazia e la Lorena, perdute nel 1870 a seguito della guerra franco-tedesca. L’enorme sforzo bellico aveva però dilapidato le sue energie economiche, sociali e demografiche, alimentando i timori per un possibile declino del paese. Inoltre, si fecero più tesi i rapporti con le colonie, dove erano cresciute le aspettative per riforme politiche e sociali, anche in conseguenza del fatto che molti soldati avevano combattuto per la madrepatria.

La ricostruzione fu gestita dal “blocco nazionale”, una coalizione di centro che, grazie alla presenza dei radicali guidati da Edouard Herriot, riuscì a isolare le correnti antirepubblicane e antidemocratiche, ma che assunse posizioni decisamente nazionaliste (in chiave antitedesca) nella crisi della Ruhr del 1923. Nelle elezioni del 1924 si affermò invece il “cartello delle sinistre”, che comprendeva socialisti, radicali e repubblicani; si trattò però di un successo effimero, incapace di incidere sugli equilibri politici e sociali. Il ritorno sulla scena del conservatore Raymond Poincaré, che era già stato presidente della Repubblica durante la guerra, consentì di formare un governo di “unità nazionale”, di spingere all’opposizione i socialisti (oltre che i comunisti) e di procedere alla stabilizzazione finanziaria del paese tra il 1926 e il 1928.
Il Regno Unito
Anche se profuso soprattutto sul suolo europeo e mediorientale, l’impegno bellico britannico aveva coinvolto tutto l’Impero, dal Canada all’Australia, dall’Irlanda all’India, grazie all’impiego di consistenti truppe coloniali (reso possibile anche dal senso di appartenenza all’Impero che era presente anche nei domini britannici più periferici). Fu proprio il coinvolgimento delle colonie a rendere la smobilitazione, in alcuni territori imperiali, più difficile di quanto fosse stato in Francia o nella stessa madrepatria britannica. Inoltre, le istanze di maggiore autonomia ispirate dagli ideali wilsoniani – che riconoscevano, almeno teoricamente, il diritto all’autodeterminazione di tutti i popoli – ebbero un ruolo nelle rivolte anticoloniali avvenute in Egitto e in India nella primavera del 1919, che furono comunque contenute e represse.

Nell’immediato dopoguerra, i problemi maggiori per il Regno Unito vennero dall’Irlanda. Nei territori irlandesi, abitati da una popolazione a maggioranza cattolica, era già avvenuta una sanguinosa rivolta nel 1916; ora, con il ritorno dei soldati dal fronte,

si esasperò la lotta per l’indipendenza. Tra il 1919 e il 1921 si combatté una guerra civile fra cattolici indipendentisti da una parte e protestanti che volevano mantenersi legati al Regno Unito dall’altra. Il conflitto si concluse con la proclamazione dello Stato libero d’Irlanda [ 6] nelle regioni centromeridionali, mentre a nord le sei contee dell’Ulster restarono nel Regno Unito. Si trattava di un assetto tutt’altro che definitivo e non privo di contraddizioni, che avrebbe visto la questione irlandese continuare a riproporsi nel decennio successivo, fino all’introduzione, nel 1937, di una nuova Costituzione, che riconosceva l’Irlanda come uno Stato pienamente sovrano.

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Le crescenti difficoltà economiche e politiche nella gestione dell’Impero spinsero Londra a rinegoziare i rapporti con le sue colonie. Lo statuto di Dominion, assegnato al Canada fin dal 1867 e poi esteso ad Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa e Stato libero irlandese dal 1926, significò il riconoscimento dell’autonomia di queste comunità all’interno della compagine imperiale, che dal 1931 si tradusse nella concessione della piena indipendenza legislativa. A India e Pakistan fu invece negato questo statuto fino ai tardi anni Quaranta, appena prima che conquistassero l’indipendenza.

Il nuovo ordine internazionale
Nel complesso, a partire dal 1924 l’Europa cominciò una lenta e faticosa ricostruzione economica, che si accompagnò a un parziale recupero della capacità produttiva e del potere d’acquisto dei salari. La ripresa fu però più intensa nell’Europa occidentale e settentrionale che in quella orientale e meridionale.

Tra il 1924 e il 1926 furono inoltre compiuti passi decisivi per la definizione del nuovo assetto geopolitico europeo e per il miglioramento delle relazioni diplomatiche continentali, grazie soprattutto alla collaborazione tra Francia e Germania, condotta da due statisti di alta levatura come il ministro degli Esteri francese Aristide Briand e il suo omologo tedesco Gustav Stresemann. Gli accordi di Locarno, firmati nell’ottobre 1925 e sottoscritti anche da Regno Unito, Belgio, Polonia e Italia, sancirono un nuovo corso nelle relazioni tra Repubblica francese e Repubblica di Weimar: quest’ultima accettava la perdita dell’Alsazia e della Lorena e la smilitarizzazione della Renania e, pur non prendendo impegni riguardo alle frontiere orientali, si impegnava a regolare le dispute territoriali tramite arbitrati basati sul diritto internazionale, senza il ricorso all’uso della forza.

L’anno successivo la Germania fece il suo ingresso nella Società delle Nazioni, mentre nel 1928 fu firmato a Parigi il cosiddetto patto Briand-Kellogg (dal nome del ministro francese e del segretario di Stato americano Frank Kellogg), che bandiva il ricorso alla guerra per risolvere le controversie tra Stati.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
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