19.1 L’accelerazione imperialista degli anni Ottanta e il Congresso di Berlino

Per riprendere il filo…

Se l’indipendenza dei paesi latinoamericani aveva privato Spagna e Portogallo di gran parte dei loro imperi già a inizio Ottocento, e paesi come l’Italia e l’Impero tedesco avevano dovuto attendere l’unificazione nazionale prima di poter avviare politiche espansioniste oltremare, fra 1815 e 1880 Regno Unito e Francia erano stati i principali protagonisti del colonialismo europeo. Il primo aveva esteso notevolmente i suoi domini, concedendo “autogoverni responsabili” alle colonie con affidabili maggioranze bianche (Canada, Australia), penetrando in Cina e assumendo il controllo diretto dell’India dopo la rivolta del 1857-58. La Francia aveva invece fatto dell’Algeria un’appendice del territorio metropolitano, ottenuto la concessione per costruire il canale di Suez in Egitto e occupato il Senegal, parti del Sudest asiatico e la Nuova Caledonia. Parallelamente, l’Impero russo e gli Stati Uniti avevano perseguito forme di espansione nei rispettivi continenti, l’uno muovendosi verso sud e verso est in Asia, gli altri strappando alle nazioni indiane il West, imponendo trattati commerciali all’Impero giapponese e legando sempre più a sé le economie dei paesi sudamericani.

19.1 L’accelerazione imperialista degli anni Ottanta e il Congresso di Berlino

Dall’esplorazione alla conquista
Pur declinato in modi e in tempi differenti, il colonialismo era parte integrante delle politiche e dell’orizzonte mentale di molte classi dirigenti ottocentesche. Tanto imperi multinazionali come quello russo o britannico, quanto Stati-nazione come la Francia, il Regno delle Province Unite, la Spagna e il Portogallo erano e ragionavano come entità imperiali. E per tutti questi Stati le colonie e l’influenza su paesi formalmente indipendenti erano importanti sia dal punto di vista strategico-militare sia economico. Anche se richiedevano rilevanti sforzi di gestione.

Fu tuttavia a partire dagli anni Settanta e poi con maggiore intensità dagli anni Ottanta, che l’espansione oltremare conobbe un’accelerazione, assunse nuove forme politico-istituzionali e fu accompagnata e sostenuta da una matura e largamente condivisa cultura imperialista.

I primi segnali di questa nuova fase rimontavano in realtà alla crisi indiana del 1857-58, che nel 1876 aveva portato la regina Vittoria a sostituire un controllo più diretto della colonia alla precedente dominazione indiretta attraverso la Compagnia delle Indie orientali [▶ cap. 12.2]. A ben vedere, poi, l’espansione britannica non si era mai arrestata. Nel 1861 era stata istituita una base navale nella regione nigeriana del Lagos. Nel frattempo, la centralità dei capitali britannici nei rispettivi processi di modernizzazione condizionava sempre più Stati sudamericani come Argentina e Brasile [▶ cap. 18.5]. Infine, nel 1874 erano state annesse le isole Figi.

Furono però la crescente importanza del canale di Suez nei traffici con l’India e la guerra russo-turca del 1877-78 a segnare la svolta. Sino ad allora il Regno Unito aveva infatti sempre garantito l’integrità territoriale dell’Impero ottomano, considerato un argine all’espansionismo zarista e francese. La sconfitta del sultano nel 1878 [▶ cap. 17.3] e le sue difficoltà nel controllare le province spinsero però Londra ad assumere il controllo delle aree ritenute strategiche, per evitare che fossero prese da potenze concorrenti. Così, prima il governo britannico ottenne l’occupazione dell’isola di Cipro, lasciata formalmente agli ottomani in cambio del sostegno al sultano in occasione del Congresso di Berlino del 1878. Poi, nel 1882, colse la scusa dell’ennesima rivolta scoppiata in Egitto per occuparlo. Non lo annetté, ma si garantì l’esclusivo controllo del canale precedentemente in mano alla Francia, che a sua volta aveva da poco approfittato della debolezza ottomana anticipando l’iniziativa italiana per stabilire un protettorato sulla Tunisia [▶ capp. 14.6 e 15.4].

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Parallelamente, sin dal 1876 il re del Belgio Leopoldo II aveva usato a pretesto la missione di un’associazione scientifica e filantropica (l’Associazione africana internazionale) per tentare di costituire uno Stato indipendente sotto protettorato belga nel bacino del fiume Congo. Proprio qui, però, stava già penetrando una spedizione esplorativa francese e il Regno di Portogallo accampava a sua volta diritti, forte del possesso del vicino Angola e del sostegno britannico in chiave appunto antifrancese.

Le tensioni internazionali che ne nacquero suggerirono a Bismarck di convocare, nel novembre 1884, un Secondo congresso di Berlino per evitare che le frizioni generate dall’espansionismo extraeuropeo intaccassero la pax germanica e gli equilibri geopolitici disegnati dal primo Congresso di Berlino [▶ cap. 16.4]. Perciò, l’atto finale del Congresso giustificò l’espansionismo in nome del benessere collettivo delle nazioni, della lotta alla schiavitù e della funzione civilizzatrice insita nella dominazione europea, ma al contempo individuò un criterio condiviso per la spartizione dell’Africa: il principio di effettiva occupazione, ossia il diritto di vedersi riconosciuto il possesso dei territori occupati prima di un altro paese firmatario [▶ FONTI].
Le ragioni dell’imperialismo
L’accordo raggiunto a Berlino non fece che accelerare un fenomeno che i contemporanei spiegavano in vari modi: chi come conseguenza della sovrapproduzione causata dalle nuove potenze industriali (l’economista britannico John A. Hobson); chi considerandolo l’escamotage per sopravvivere adoperato da Stati e imprese incapaci di reggere alla concorrenza innovandosi (l’economista ceco Joseph Schumpeter); chi come la chiave per coniugare grandezza nazionale e soluzione alla questione contadina per i paesi poveri impegnati nella lotta con i paesi più ricchi (il nazionalista italiano Enrico Corradini).

In realtà, l’imperialismo era un fenomeno complesso, frutto di spinte diverse ma convergenti, il cui peso variava da paese a paese: la debolezza di molti Stati extraeuropei; il divario tecnologico; gli interessi della grande industria per materie prime, mercati e forniture militari; i timori delle società finanziarie e delle comunità mercantili con sede oltremare per le minacce ai loro investimenti rappresentate dai rigurgiti anticoloniali o dalla possibile conquista da parte di altre potenze; la ricerca di prestigio internazionale, particolarmente forte nei paesi piccoli o reduci da pesanti sconfitte (il Belgio, l’Italia post 1866, la Francia post 1870); la speranza di rafforzare coesione e orgoglio nazionale mediante il contrasto con un “altro” inferiore e sottomesso; la volontà di trasformare i nuovi possedimenti in colonie di popolamento, per ridurre le tensioni sociali derivanti dal peggior rapporto fra popolazione e risorse; il desiderio di protagonismo e lo spirito di avventura delle gerarchie militari; l’autonomia lasciata ai comandanti in loco, non di rado più spregiudicati dei governi; infine, la necessità militare di controllare punti strategici, compensare acquisizioni altrui e tutelare i territori già acquisiti allargando la propria dominazione alle aree circostanti, il che rendeva l’imperialismo un fenomeno che si autoalimentava.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900