18.1 Gli Stati Uniti a metà Ottocento: democrazia, schiavismo e divisioni

Per riprendere il filo…

Sin dai tardi anni Dieci, l’indipendenza di molti paesi centro e sudamericani aveva suggerito agli Stati Uniti una politica al contempo isolazionista e di egemonia continentale (la “dottrina Monroe”). Mentre dunque in America Latina l’instabilità dei regimi al potere e la complessità delle multietniche società locali lasciavano piuttosto fluida la situazione politico-istituzionale, negli Usa era proseguito invece il consolidamento delle strutture statuali e della democrazia, con la contrapposizione fra partiti moderni (repubblicani e democratici) e la politicizzazione anche dei ceti medio-bassi. L’azione del presidente Jackson aveva però acuito le già profonde fratture interne all’Unione. A dividere il paese era soprattutto lo schiavismo, avversato dall’opinione pubblica degli Stati settentrionali ma difeso dalla grande maggioranza dei bianchi del Sud. La questione della schiavitù si era così intrecciata con il rapido spostamento del confine verso Ovest, realizzato conquistando con la forza delle armi e del denaro vasti territori sino al Pacifico.

18.1 Gli Stati Uniti a metà Ottocento: democrazia, schiavismo e divisioni

Una democrazia, tre regioni
A metà Ottocento gli Stati Uniti erano un paese ricco (il reddito procapite aumentava più che nel Regno Unito), con un solido sistema istituzionale, partiti moderni e un elevato livello di politicizzazione delle masse. Eppure restavano insolute alcune questioni cruciali.

Da un lato c’era una democrazia che Alexis de Tocqueville [ 1] aveva lodato per l’“uguaglianza delle condizioni”, ma che di fatto era una “democrazia dei partiti” guidata da una ristretta élite: un insieme non fondato sulla nascita aristocratica come in antico regime e in vari paesi europei ancora in pieno Ottocento, ma sul denaro (nel 1860 il 10% della popolazione deteneva il 73% della ricchezza e l’1% ne possedeva il 29%), capace di orientare l’elettorato con tecniche di propaganda all’avanguardia e indifferente alle persistenti discriminazioni nei confronti di donne e schiavi.

Dall’altro lato vi erano le differenti fisionomie degli Stati dell’Unione, ormai divisi in tre macroaree pur dai confini non netti.

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Il Nordest aveva sviluppato un notevole tessuto urbano (nel 1860, il 26% degli abitanti viveva in città e New York ne aveva 1,2 milioni), infrastrutturale (35 000 km di linee telegrafiche nel 1854) e industriale (l’84% degli investimenti nazionali nel settore), nonché floride attività commerciali e un ramificato sistema creditizio-finanziario. Anche l’agricoltura era praticata per lo più in aziende familiari, ma meccanizzate e inserite nei circuiti commerciali internazionali. Abbondante manodopera a basso costo era d’altronde garantita dall’immigrazione europea, che per quasi il 90% confluiva in questi Stati e che però – soprattutto dopo l’ondata di irlandesi fuggiti dalla “Grande carestia” [▶ cap. 12.1] – divenne anche il bersaglio dell’ostilità dei  Wasp contro i cattolici, accusati di essere più fedeli al papa che alla nuova patria. Alla crescita demografica ed economica si accompagnava infine una popolazione molto scolarizzata (oltre il 70%) e percorsa dai primi fermenti di emancipazionismo femminile, sin da quando nel 1848 un congresso di femministe riunito nello Stato di New York aveva approvato la Declaration of Sentiments, con cui rivendicava la piena parità di genere.
Proprio i modi di vita europeizzati rendevano però il Nordest assai diverso dal­l’Ovest, dove si praticavano l’allevamento e un’agricoltura commerciale, mentre stavano nascendo le industrie meccaniche e agroalimentari. Si trattava di un mondo ancora poco urbanizzato, la cui rappresentazione si fondava sui miti della frontiera e del self-made man, civilizzatore del “selvaggio West”. Eppure ad Ovest la scolarizzazione era nella media nazionale (circa il 50%) e i legami con il Nordest erano solidi, anche per la tendenza del governo federale a prediligere l’asse est-ovest nello sviluppo delle linee ferroviarie.
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Tagliati fuori dai principali assi viari e ferroviari restavano invece i territori meridionali, dove gli spostamenti avvenivano ancora in gran parte lungo i grandi fiumi. Gli Stati del Sud ospitavano un terzo dei 23 milioni di statunitensi (di cui solo il 10% in città) ed erano la parte meno scolarizzata (30%) e industrializzata dell’Unione. L’agricoltura eguagliava in valore la produzione settentrionale ed era inserita nelle reti commerciali e finanziarie globali, dominata com’era da vaste piantagioni monocolturali destinate all’esportazione e fondate sul lavoro coatto. I proprietari schiavisti delle piantagioni costituivano una élite dai tratti aristocratici, che viveva in grandi case con arredi all’europea, dava ricevimenti, partecipava a battute di caccia, controllava il 90% della ricchezza e governava i vari Stati.

Proprio per tutelare i propri interessi economici e la propria egemonia politica a livello locale, i proprietari resistevano alla volontà centralista degli organi federali, in cui pure erano assai influenti; opponevano il proprio liberoscambismo al protezionismo invocato dagli industriali settentrionali e si facevano garanti dell’ordine sociale anche in nome della larga maggioranza di bianchi che non possedeva schiavi o ne possedeva pochi. Il Sud formava così un insieme coeso nell’idea della superiorità razziale [ 2] sui neri, ma era assai differenziato nel rapporto che il grosso della popolazione libera strutturava con l’élite schiavista: ammirata da chi aspirava a entrarvi ma invisa per il suo ostentato potere economico-sociale sia alla borghesia del piccolo commercio sia ai contadini più poveri sia soprattutto ai braccianti, mal pagati e costretti a lavorare a fianco degli schiavi.

La schiavitù fra economia e sistema sociale

In questi anni, lo schiavismo sembrava ineliminabile agli stessi abolizionisti. Gli schiavi valevano oltre 3 miliardi di dollari (5 volte il costo dell’intera rete ferroviaria) ed erano 4 milioni, in larga maggioranza residenti nel Sud, dove i bianchi erano circa 5,5 milioni [ 3].

Una simile proporzione generava ansia nei padroni, molti dei quali continuavano però a rappresentare la schiavitù non solo come un mezzo economicamente  insostituibile in quanto capace di garantire una produttività non esigibile dal lavoro salariato, ma anche come un presupposto del loro modo di vivere. Era infatti sullo schiavismo, un istituto ispirato secondo molti suoi sostenitori alla paternalistica carità cristiana, che si fondava non solo la base economica e razziale della libertà e dell’uguaglianza dei bianchi, ma anche una società armonica e la stessa sopravvivenza dei neri, incapaci per natura di badare a sé.

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Gli schiavi erano anche un patrimonio da tutelare. Perciò i padroni garantivano loro “il minimo vitale” e ne incoraggiavano la riproduzione. Tuttavia, ciò che ricevevano spesso non bastava a reggere: il lavoro era massacrante, la disciplina rigidissima, il commercio comportava estenuanti viaggi a piedi in lunghe file di persone incatenate (coffles) e lo sfruttamento comprendeva spesso abusi sessuali.

Ciò spiegava sia l’altissima mortalità (circa il 50% nell’infanzia, il 33% nel primo anno di vita); sia forme di resistenza quali la rottura degli attrezzi e i tentativi di fuggire o eludere il lavoro (al 1860, il 6% era riuscito a scappare); sia le occasionali quanto clamorose ribellioni, spesso represse nel sangue e seguite da misure come lo smembramento dei gruppi più coesi e il divieto di alfabetizzarsi.

Gli schiavi conservavano però qualche spazio di autonomia. Le domeniche e le notti erano i momenti privilegiati per rievocare il passato africano e produrre espressioni culturali originali, fra cui le leggende, i balli e i canti da cui sarebbero poi scaturiti il jazz e il blues.

Nonostante il divieto di matrimonio, i tanti nuclei familiari separati dalla vendita dei membri (2 milioni fra 1820 e 1860) e lo stereotipo che voleva i neri privi di sentimenti genitoriali, la famiglia restava il principale luogo di affettività e trasmissione identitaria. Ciò mentre la Chiesa costituiva il luogo di aggregazione più ampio e il fulcro della socialità organizzata, diffondendo un messaggio cristiano recepito in particolare nella sua dimensione consolatoria e ibridato con elementi tipici della religiosità africana, come il culto degli spiriti e lo svolgimento delle funzioni religiose con musiche, danze e canti come gli spiritual e il gospel.

Abolizionismo, resistenze e la fine del bipartitismo
In realtà, a metà Ottocento anche al Sud qualche voce antischiavista iniziava lentamente a levarsi e si ventilavano ipotesi di un’emancipazione graduale che non pregiudicasse gli assetti socioeconomici. Tuttavia, era ancora nel Nordest che l’abolizionismo andava crescendo e differenziandosi.

Da un lato vi erano i “conservatori”, che subordinavano la questione al mantenimento dell’armonia nell’Unione. Dall’altro lato vi erano i “radicali”, in cui confluivano persone moralmente contrarie allo schiavismo, le migliaia di lettori sensibilizzati da alcuni libri fortunati [▶ altri LINGUAGGI, p. 550], ex schiavi divenuti attivisti come Frederick Douglass e Harriet Tubman (detta la “Mosé dei neri”), nonché organizzazioni come il Free Soil Party: un partito fondato nel 1848 da dissidenti democratici e Whig per lottare contro l’estensione della schiavitù ai territori occidentali.

Quest’agguerrita minoranza, in cui c’era una folta presenza femminile che intrecciava la causa dell’emancipazione dei neri a quella delle donne, dovette però scontrarsi con le antipatie che l’abolizionismo suscitava al Nord e ancor più con la resistenza degli Stati del Sud.

Dominanti sia nel Congresso sia nella Corte suprema, già nel 1840 i delegati degli Stati del Sud avevano fatto approvare il Gag rule, che vietava di discutere mozioni contro la schiavitù. Poi, abrogato nel 1844 il Gag rule a causa delle forti polemiche sulla sua anticostituzionalità, nel 1850 essi votarono il Fugitive Slave Act, che richiamava il diritto costituzionale alla proprietà per consentire ai padroni di riprendere gli schiavi fuggiti in territori liberi: una norma la cui ratio avrebbe trovato autorevole conferma nel 1857, quando una sentenza della Corte suprema dichiarò gli schiavi una forma di proprietà, escludendoli così dal diritto all’uguaglianza enunciato nella Dichiarazione d’indipendenza.

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L’atto più forte degli antiabolizionisti fu però il Kansas-Nebraska Act del 1854. L’ingresso della California nell’Unione nel 1850 aveva sbilanciato a favore degli Stati liberi l’equilibrio raggiunto con il Compromesso del Missouri. E lo squilibrio sarebbe ulteriormente cresciuto con la penetrazione colonica verso Ovest sopra il 36° parallelo (il limite sopra il quale il Compromesso vietava la schiavitù, [▶ cap. 8.2]). Perciò, il nuovo provvedimento abolì il Compromesso e stabilì che sull’introduzione della schiavitù nei nuovi Stati votassero di volta in volta i residenti.

Le conseguenze del Kansas-Nebraska Act furono notevoli. Mentre il Kansas fu insanguinato da due anni di guerriglia fra coloni schiavisti e antischiavisti, l’intero quadro politico federale ne fu scosso. Vari deputati e senatori avevano infatti votato secondo la loro appartenenza regionale, trasgredendo le linee di partito. E, alle elezioni del 1860, ciò provocò la fine del bipartitismo.

I democratici si spaccarono fra i meridionali, irriducibili fautori di una clausola costituzionale che dichiarasse inviolabile la schiavitù, e i settentrionali, che restavano schiavisti ma avevano leggermente moderato le loro posizioni nel tentativo di guadagnare voti al Nord, rafforzare così la maggioranza democratica in Congresso e tutelare gli interessi del Sud attraverso il controllo degli organi federali.

A fronteggiare le due fazioni democratiche fu nuovo Partito repubblicano, in cui confluirono i membri del Free Soil Party e del disciolto partito Whig, che avevano contestato il Kansas-Nebraska Act. Si trattava di un partito di orientamento antischiavista, anche se il suo leader – l’avvocato Abraham Lincoln – aveva posizioni moderate in materia di abolizionismo e auspicava un’emancipazione graduale che nell’immediato si limitasse a non estendere lo schiavismo a Ovest [ 4].

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900