Storie. Il passato nel presente - volume 2

D’altronde, la centralità della Prussia era evidente anche sul piano istituzionale. Quello tedesco era un impero federale, che lasciava ampie autonomie ai 26 Stati che lo componevano (istruzione, politica culturale, tassazione diretta) e avocava agli organi federali solo politica estera, militare e doganale. Tuttavia, la Prussia rappresentava il 64% dell’estensione territoriale del nuovo Stato e il 61% della sua popolazione, finendo per imporre la propria volontà mediante un sistema che assicurava al governo e all’imperatore (Kaiser) libertà d’azione pressoché totale nonostante l’esistenza di una Camera eletta a suffragio universale maschile. Non era insomma un caso che Guglielmo preferisse esser chiamato “imperatore di Germania” piuttosto che “imperatore dei tedeschi”.

Sfruttando dunque un sistema istituzionale meno condizionato dal parlamentarismo e una burocrazia efficiente, nei decenni successivi all’unificazione Bismarck poté ulteriormente consolidare gli equilibri interni e il ruolo internazionale del Reich.

Sul fronte interno, il cancelliere condusse dal 1871 al 1887 una massiccia campagna anticattolica detta Kulturkampf (“battaglia per la civiltà”), i cui scopi erano due: da un lato, emancipare la pubblica amministrazione dalle gerarchie ecclesiastiche, avocando allo Stato funzioni cruciali (istruzione, assistenza) svolte spesso dalla Chiesa soprattutto negli Stati meridionali confluiti nell’impero e nelle provincie prussiane a forte presenza polacca; dall’altro, assimilare le minoranze nazionali di fede cattolica, trasformando i francesi dei territori annessi e i polacchi della Prussia orientale in sudditi fedeli e sordi alla propaganda di un papato sempre più intenzionato a giocare un ruolo importante nelle relazioni internazionali e nella vita dei singoli Stati nonostante il drastico ridimensionamento del suo potere temporale dopo la presa italiana di Roma del 1870 [▶ cap. 14.5].

Le politiche di omogeneizzazione religiosa e nazionale portate avanti dal governo s’innestavano e s’intrecciavano d’altronde con l’antislavismo e l’antisemitismo che andavano diffondendosi a tutti i livelli della scala sociale anche in Germania, trovando espressione in pregiudizi, diffidenza e aperto razzismo che pervadevano l’esercito, la scuola, l’università, la stampa satirica, quella d’informazione, la narrativa e il folklore. Né erano del tutto esenti da questo comune sentire alcuni dei massimi esponenti di una cultura tedesca [ 12] per altri versi in piena fioritura.

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Mentre tentava di rafforzare il carattere nazionale del nuovo Stato, Bismarck consolidò l’alleanza fra borghesia industriale e aristocrazia terriera e militare, che costituiva la base sociale del regime.

Da un lato ciò serviva a perseguire quello sviluppo economico che stava portando la Germania a insidiare il primato britannico e a ridurre significativamente i flussi migratori verso le Americhe, fra i più abbondanti insieme a quelli irlandesi. Si trattava d‘altronde di una crescita sempre più forte e solida, che si fondava sull’industria pesante favorita da commesse statali e protezionismo; su settori innovativi come la chimica e la farmaceutica, che valorizzavano al meglio i virtuosi meccanismi del sistema d’istruzione e dell’università humboldtiana; sulla concentrazione dei capitali in grandi società per azioni; su un’agricoltura meccanizzata e concentrata in grandi appezzamenti; infine, su un’ampia disponibilità di risorse minerarie.

Dall’altro lato, il blocco costituito da industriali, militari e grandi proprietari terrieri era necessario per contrastare il crescente peso dei nuovi partiti: quello cattolico del Centro nato nel 1870, cui guardavano per lo più i ceti medi urbani; e a maggior ragione il Partito socialdemocratico tedesco (Spd), nato nel 1875 con forte ispirazione marxista dalla convergenza fra Ferdinand Lassalle e Wilhelm Liebknecht, assai popolare in una società sempre più composta di operai e presto divenuto un punto di riferimento per l’intero movimento operaio internazionale.

Fu proprio per arginare la crescita della Spd che – nel 1878 – Bismarck colse l’occasione di alcuni attentati al Kaiser per far passare le cosiddette “leggi antisocialiste”, un pacchetto di norme che limitavano libertà di stampa e di associazione, dichiarando illegali le attività dei socialdemocratici e costringendoli a una condizione di semiclandestinità che tuttavia non riuscì a intaccarne la popolarità [ 13]. Consapevole dei limiti di un’azione solo repressiva, fra il 1883 e il 1889 il cancelliere avviò una serie di riforme a favore dei lavoratori (assicurazioni obbligatorie e assistenza sanitaria). Quello tedesco divenne così uno dei più avanzati sistemi di  stato sociale del mondo, cui seguitavano ad affiancarsi leggi sulla cittadinanza che la conservavano anche agli emigrati e un’efficace opera di nazionalizzazione delle masse, cui contribuiva il nesso fra identità locale e nazionale reso nel peculiare concetto di  Heimat

Eppure, ciò non impedì che la popolarità di Bismarck fosse man mano offuscata dalla meritata fama di decisionista illiberale, preparando il terreno per la sua inattesa quanto brusca uscita di scena una volta morti in rapida successione prima Guglielmo I e poi suo figlio Federico III (1888).

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L’equilibrio bismarckiano

Più efficace fu Bismarck in politica estera. Accolta dal governo britannico come «un evento più importante della Rivoluzione francese», la nascita del Reich cambiò i rapporti di forza. L’organizzazione militare e il sistema d’istruzione tedeschi divennero modelli cui tanti Stati s’ispirarono per accelerare la modernizzazione, mentre la superiorità demografica, industriale e bellica dell’impero solleticava gli appetiti espansionisti dell’opinione pubblica.

Ancora una volta, però, Bismarck si dimostrò realista e lungimirante nel far seguire all’accelerazione del 1870-71 una lunga fase di pace ritenuta necessaria sia a consolidare un fronte interno non privo di spaccature, sia a non allarmare le altre potenze. Si spiegava così il ventennio di cristallizzazione del quadro europeo, perseguita dal cancelliere fra il 1871 e il 1890 mediante un accorto equilibrio degli antagonismi che cancellava ormai ogni residua traccia della logica del “concerto” alla base della diplomazia post-Congresso di Vienna. Prima ciò si concretizzò in una fitta rete di accordi che miravano soprattutto a isolare la Francia, come la cosiddetta “Lega dei tre imperatori” con lo zar e Francesco Giuseppe d’Asburgo del 1873 (divenuta “Alleanza dei tre imperatori” nel 1881). Poi, a seguito della Guerra russo-turca del 1877-78, questa strategia ispirò il Congresso di Berlino del 1878, con cui Bismarck riequilibrò le forze nei Balcani dopo la rinuncia ottomana a vasti territori. Subito dopo, anche in risposta all’irritazione russa per il ridimensionamento delle acquisizioni balcaniche, la Germania strinse sia un’alleanza con l’Austria-Ungheria (1879), poi allargata all’Italia e quindi denominata “Triplice Alleanza” (1882) [▶ cap. 14.6], sia un accordo bilaterale con lo zar di contro-assicurazione (1887), nel frattempo uscito dall’Alleanza dei tre imperatori [  14]. Infine, Bismarck provò con lungimiranza a definire a tavolino in un apposito congresso a Berlino nel 1884-85 la spartizione dell’Africa, evitando che le tensioni internazionali legate al colonialismo avessero ripercussioni in Europa e tenendo la Germania ai margini della “corsa all’Africa” per assurgerne ad arbitro: una strategia tanto più apprezzabile in considerazione della potenza militare tedesca e del fatto che essa andava in controtendenza rispetto alla ripresa dello slancio espansionistico oltremare da parte di tradizionali potenze coloniali come la Francia e il Regno Unito, e pure di aspiranti tali come il Regno d’Italia [▶ cap. 14.7].

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Per circa un ventennio la cosiddetta Pax germanica resse, garantendo all’Impero tedesco prosperità e centralità nel rinnovato sistema delle relazioni internazionali. Tuttavia, nel lungo periodo fu proprio la tendenza bismarckiana a creare contrapposizioni per poi risolverle in qualità di mediatore a favorire un’evoluzione della situazione contraria ai desideri del cancelliere. Il quadro europeo conobbe infatti, a partire dai primi anni Novanta, una progressiva militarizzazione e polarizzazione che andò inasprendosi in particolare dopo che lo zar decise di stipulare la Duplice Intesa con la Francia nel 1894 [▶ cap. 15.4]. E ancor più la pace tedesca si incrinò quando, di lì a poco, il governo britannico colse appieno il rischio di un’eccessiva predominanza tedesca sul continente, prendendone le distanze e avvicinandosi per contrasto a Stati tradizionalmente nemici come la Francia e l’Impero russo.

La Germania dopo Bismarck
Nel frattempo, la lunga stagione bismarckiana si era però improvvisamente chiusa nel 1890, quando la Spd era diventata il primo partito del paese e le forze avverse al cancelliere avevano ottenuto la maggioranza. Era di fatto il fallimento delle politiche anticattoliche e antisocialiste che avevano rappresentato il cardine della politica interna di Bismarck. Questi allora si dimise, non immaginando che il nuovo imperatore Guglielmo II osasse davvero sostituirlo. Contrariamente al nonno, Guglielmo II dissentiva tanto dall’intransigente conservatorismo quanto dall’immobilismo coloniale di Bismarck, e colse invece l’occasione per confinare al simbolico ruolo di eroe nazionale lo statista, risentito al punto da criticare pubblicamente la corona e rifiutare i funerali di Stato.

Così, il nuovo governo prese subito le distanze dal passato. Prima abolì le leggi antisocialiste. Poi, anche su pressione degli ambienti industriali e finanziari, dette maggior impulso alla corsa agli armamenti e all’iniziativa coloniale, nell’ambito di una politica aggressiva a livello globale (Weltpolitik) intrisa di un pangermanesimo bellicista che non poteva non entrare in contrasto con l’egemonia britannica sui mari.

Da un lato, strinse infatti un’alleanza difensiva con l’Austria-Ungheria in chiave antizarista (1894), che espose però la Germania al pericolo sempre prevenuto da Bismarck: un’eventuale guerra su due fronti con la Francia e appunto l’Impero russo. Dall’altro lato, avviò nel 1897 un massiccio programma di armamento marino e sostenne diverse campagne militari fuori d’Europa (contro i Boxer in Cina, in aiuto ai boeri del Sudafrica contro i coloni britannici ecc.). Il che costrinse il Regno Unito a procedere a sua volta al rafforzamento della flotta e a formalizzare il suo riavvicinamento alla Francia e all’Impero russo con le due distinte alleanze bilaterali che poi avrebbero nel complesso formato la Triplice Intesa. Crollava così il complicato ma efficace castello diplomatico bismarckiano che aveva di fatto plasmato la geopolitica europea ed extraeuropea sin dai primi anni Settanta. A partire dal 1890, e sempre più entrando nel Novecento, le principali potenze europee si avviarono a passo svelto verso la serie di scontri che le avrebbe condotte alla Grande guerra del 1914-18.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900