15.4 La Terza Repubblica
Istituzioni e politica di un regime instabile
Socialisti e anarchici uscirono dalla Comune sconfitti e privi dei loro leader, mentre il marxismo faticava a diffondersi fra le masse, soprattutto rurali. D’altra parte, anche i monarchici apparivano deboli, divisi com’erano tra filoborbonici (favorevoli alla restaurazione dei Borbone e a un ritorno alla società di antico regime ispirata ai valori della Chiesa) e orleanisti liberali (meno filoclericali e fautori di un re discendente da Luigi Filippo). Al contrario, a uscirne rafforzati furono i repubblicani che, pur frazionati a loro volta fra radicali e moderati, riuscirono a compattarsi nel nome del comune anticlericalismo, della garanzia della proprietà privata, del rispetto dell’ordine pubblico e della difesa della repubblica. Ciò però non impedì una notevole instabilità politica che, in particolare nei primi anni di vita, mise più volte in discussione la sopravvivenza stessa delle istituzioni repubblicane.Una prima minaccia venne, fra il 1873 e il 1875, dalla convergenza degli orleanisti più conservatori sull’uomo indicato dai filoborbonici per ripristinare la monarchia. E ciò costrinse i repubblicani a definire in senso più gradito agli orleanisti moderati l’assetto istituzionale dello Stato pur di salvarne l’impianto repubblicano. Ne venne fuori un equilibrio istituzionale che bilanciava l’ampia partecipazione democratica (suffragio universale maschile, elettività delle camere) con strumenti tesi a evitare degenerazioni eversive (lungo mandato e ampi poteri al presidente).
Una seconda e più grave crisi istituzionale si ebbe nel giugno 1877, quando il presidente Patrice de Mac-Mahon sciolse arbitrariamente le camere a maggioranza repubblicana e fece pressioni sul corpo elettorale mediante la stampa e gli organi periferici dello Stato perché alle successive elezioni vincessero i monarchici. Non vi riuscì: i repubblicani ottennero la maggioranza (ottobre 1877), sventando la restaurazione monarchica auspicata da Mac-Mahon e costringendolo alle dimissioni (1879).
Rigenerare una nazione, preparare la rivincita
Per risollevare l’umore di una popolazione traumatizzata dalla sorprendente quanto netta sconfitta militare contro i tedeschi, sin dai primissimi anni Ottanta la Francia riprese con rinnovato vigore la campagna coloniale in Asia e si iscrisse alla cosiddetta “corsa all’Africa”. Ne ottenne il protettorato sulla Tunisia, strappata alla concorrenza italiana (1881) [▶ cap. 14.6], significativi ampliamenti territoriali in Indocina (1887) e il Madagascar, invaso nel 1883 e riconosciuto protettorato francese anche dai britannici nel 1890 [ 10].Parallelamente si avviò un massiccio programma di riforme teso: ad adeguare l’esercito al vincente modello prussiano; a fare di una pubblica istruzione laica e gratuita lo strumento della modernizzazione e del radicamento dei valori repubblicani; a ricostruire il sistema universitario e di ricerca, in larga parte distrutto in epoca rivoluzionario-napoleonica e alla base della superiorità tecnico-scientifica tedesca. Gli sforzi compiuti non annullarono la natura classista dell’accesso all’istruzione superiore né colmarono il divario con il mondo tedesco. Tuttavia, essi ridussero l’analfabetismo dal 25% di inizio Secondo Impero al 5% dei primi del Novecento, con effetti positivi soprattutto sull’istruzione tecnica e femminile. In più, contribuirono in maniera consistente ai progressi delle scienze incarnati in personaggi come Louis Pasteur [▶ protagonisti] e Marie Curie, che fra fine Ottocento e inizio Novecento formulò assieme al marito Pierre la teoria della radioattività.
protagonisti
Louis Pasteur
L’aumento della scolarizzazione e la crescente democratizzazione del sapere furono inoltre
Louis Pasteur (1822-95) è considerato il padre della microbiologia e uno dei principali artefici dei moderni metodi di sterilizzazione e vaccinazione, oltre che l’inventore del comune contagocce (detto “pipetta Pasteur”). Mosso dal preciso intento di risolvere i più rilevanti problemi dell’agricoltura, dell’allevamento e dell’industria agraria, negli anni Cinquanta Pasteur studiò la fermentazione della birra, del vino e dell’aceto, dimostrando la falsità della “generazione spontanea” (la teoria predominante secondo cui la vita poteva nascere da elementi naturali inanimati come l’aria in quanto dotati di flussi vitali) in favore della biogenesi (teoria che vuole ogni essere vivente provenire da un essere vivente preesistente) e mettendo a punto il procedimento poi noto come “pastorizzazione”: il riscaldamento del vino oltre i 50 °C in assenza di ossigeno uccideva i microrganismi responsabili del suo rapido inacidimento e ne consentiva così la conservazione e il commercio a lunga distanza senza l’addizione di altro alcol. Sebbene fosse concepito per la produzione del vino e poi della birra (per la pastorizzazione del latte si dovette attendere il 1886, quando fu proposta dal chimico tedesco Franz von Soxhlet), il procedimento di Pasteur rappresentava un enorme passo in avanti anche per la medicina e la chirurgia, che ne derivarono il concetto di sepsi (la reazione di un organismo in risposta a un’infezione causata da microrganismi patogeni) e di conseguenza migliori strategie di asepsi (ossia le procedure per evitare la sepsi).
Molto legato a Napoleone III, nel 1865 Pasteur fu coinvolto da Haussmann nella commissione per lo studio del colera, la più grave piaga della Parigi del tempo. I risultati furono però modesti e lo scienziato – che nel frattempo aveva ottenuto la direzione degli studi scientifici presso l’École normale supérieure – tornò a dedicarsi con maggior successo ad altre patologie. Prima trovò il rimedio alla pebrina, una malattia che colpiva periodicamente l’allevamento dei bachi da seta. Poi, traendo spunto dall’errore di un collaboratore nel preparare un esperimento, si accorse che l’inoculazione di un microrganismo patogeno attenuato dal contatto con l’ossigeno immunizzava i soggetti dalla malattia che esso causava: era l’inizio delle tecniche di vaccinazione, che egli applicò prima alla patologia nota come “colera dei polli”, poi all’antrace che colpiva le greggi e infine alla rabbia. Il vaccino antirabbico valse a Pasteur fama mondiale, mentre la Terza Repubblica ne faceva un simbolo della grandezza nazionale intitolandogli un istituto di ricerca scientifica (1888), celebrandone trionfalmente il settantesimo compleanno nel 1892 e infine riservandogli grandiosi funerali di Stato e una sepoltura nella cattedrale di Notre-Dame al momento della morte, nel 1895.
La crisi boulangista
Gli sforzi profusi dal governo e dall’intellettualità francese più impegnata non impedirono tuttavia il montare di un diffuso antiparlamentarismo nell’opinione pubblica, sempre più insofferente nei confronti dell’alternarsi degli esecutivi, dei loro legami spesso poco trasparenti con gli ambienti dell’alta finanza e del ritardo nel dare soddisfazione al crescente ▶ revanchismo antitedesco, conseguenza dell’umiliazione subita nel 1870.Dagli anni Novanta alla Belle époque
Negli anni Novanta, infatti, la Francia conobbe una progressiva riclassificazione delle forze politiche e un loro riallineamento in quattro insiemi:- a sinistra si registrò lo sviluppo del socialismo, dell’anarchismo e quello di un sindacalismo autonomo dai partiti, con la fondazione della Fédération des Bourses du travail nel 1892 e della Confédération générale du travail nel 1895;
- nel mondo cattolico si andarono via via distinguendo, da un lato, una linea intransigentemente ▶ ultramontana con tratti di ▶ antisemitismo religioso, dall’altro le prime iniziative di un cattolicesimo sociale, che cercava risposte alternative a quelle dei socialisti e dei liberali ai problemi posti dalla società industriale;
- a destra il patriottismo assunse sempre più i caratteri aggressivi di un nazionalismo antiparlamentare, autoritario e razzista, rappresentato in particolare dall’evoluzione ideologica della Lega dei Patrioti, un’associazione fondata nel 1882 per promuovere l’amor patrio fra i giovani e passata prima al boulangismo e poi a uno ▶ sciovinismo bellicista e intollerante in particolare nei confronti degli ebrei;
- il variegato campo repubblicano, ricompattato dalla crisi boulangista e contrapposto agli estremismi di destra e sinistra.
Intolleranza, xenofobia e razzismo: l’affare Dreyfus e le sue conseguenze
Alle tensioni legate alla questione operaia s’intrecciavano quelle connesse all’intolleranza religiosa, alla ▶ xenofobia e al razzismo. Al mai sopito revanchismo si andarono infatti accompagnando forme di aperta ostilità nei confronti di diverse categorie di persone.In primo luogo, ne furono vittime i lavoratori stranieri, il cui numero crebbe progressivamente con l’aumento dell’immigrazione di tecnici e uomini d’affari dal Regno Unito e dalla Germania, e di manodopera dequalificata dall’Italia e dalla Spagna. A essere sempre più spesso vittime di violenze furono soprattutto gli operai e i braccianti giunti attraverso i tradizionali circuiti migratori stagionali e transfrontalieri, perché accusati di sottrarre lavoro ai locali e di boicottare le iniziative sindacali pur di non perdere la loro misera paga. E l’accanimento nei loro confronti aumentava man mano che la situazione economica del paese peggiorava. In secondo luogo, oggetto di aspri attacchi furono gli uomini di Chiesa, tratteggiati come nemici della nazione e ostacolo al suo progresso, spesso mutuando i classici stereotipi dell’antisemitismo come l’inaffidabile doppiezza della loro fedeltà (al papa e alla Francia), la brama di denaro e il rifiuto della modernità.
In Francia esso causò la ridefinizione e la crescita dei movimenti nazionalisti, con la nascita dell’Action française nel 1899 e la sua successiva adesione alla linea antiparlamentare, antidemocratica, antisemita e filomonarchica di Charles Maurras. Il crescente seguito del binomio monarchico-nazionalista e le simpatie che esso raccoglieva in parte dalle forze cattoliche spaventarono i moderati, che tornarono a temere per la sopravvivenza delle istituzioni repubblicane. Perciò, essi non solo formarono un governo assieme ai radicali e ai socialisti nel comune intento di arginare le destre ma, sin dai primi del Novecento, reagirono: attuarono politiche decisamente anticlericali, come la sostituzione del concordato napoleonico con la legge del 1905 che separava Stato e Chiesa; epurarono i vertici delle forze armate dai più ferventi simpatizzanti nazionalisti; introdussero importanti riforme in campo sociale, come il riposo settimanale e la riduzione dell’orario di lavoro.
Nel resto d’Europa, dove come vedremo il pericoloso intreccio fra nazionalismo e antisemitismo era altrettanto diffuso, l’eco del dibattito sul caso Dreyfus produsse iniziative destinate ad avere importanti conseguenze nel XX secolo, in particolare la pubblicazione de Lo Stato ebraico del giornalista ebreo-ungherese Theodor Herzl e la conseguente nascita di un movimento politico teso a costituire uno Stato ebraico nella “promessa” Palestina: il sionismo [▶ fenomeni, p. 488].
FONTI
Il J’accuse
Il 13 gennaio 1898 lo scrittore Émile Zola, fervente repubblicano e noto “dreyfusardo”, pubblicò sul giornale L’Aurore una lettera aperta al presidente della repubblica intitolata J’accuse (“Io accuso”). Imputava ai vertici militari di aver perseguito ingiustamente Dreyfus, cavalcando l’antisemitismo e l’antigermanesimo che pervadevano la società francese, e di essersi poi trincerati dietro la ragion di Stato e l’onore dell’esercito per non rivedere il verdetto una volta che le prove addotte si erano dimostrate false e il vero colpevole era stato individuato. L’articolo costò a Zola una condanna per vilipendio delle forze armate, ma contribuì a riaprire il caso e a sollecitare una riflessione sull’intolleranza che sempre più connotava il clericalismo e il nazionalismo francesi.
Sig. Presidente,
[…] il Comandante du Paty de Clam1 entra in scena non appena il primo sospetto cade su Dreyfus. Da allora è lui che ha inventato il caso Dreyfus, l’affare è diventato il suo affare, si fa forte nel confondere le tracce e nel condurlo all’inevitabile conclusione. C’è il ministro della guerra, il generale Mercier, la cui intelligenza sembra mediocre; c’è il capo dello Stato Maggiore, il generale de Boisdeffre, che sembra aver ceduto alla sua passione clericale, ed il sottocapo dello Stato Maggiore, il generale Gonse, la cui coscienza si è adattata a molte cose. Ma in fondo non c’è che il comandante du Paty de Clam che li guida tutti, li ipnotizza perché si occupa anche di spiritismo, di occultismo e conversa con gli spiriti. Non si potrebbero concepire le esperienze a cui egli ha sottoposto l’infelice Dreyfus, le trappole in cui ha voluto farlo cadere, le indagini pazze, le mostruose congetture, tutta una demenza da tortura. Ah! Questo primo affare è un incubo per chi lo conosce nei suoi veri dettagli! Il comandante du Paty de Clam arresta Dreyfus e lo mette nelle segrete. Corre dalla signora Dreyfus, la terrorizza dicendole che se parla il marito è perduto. Nel frattempo, l’infelice si strappava la carne, gridava la sua innocenza. E l’istruttoria è stata fatta come in una cronaca del XV secolo, nel mistero, complicata da feroci espedienti, basata su una sola prova indiziaria, questo stupido elenco2 che non era solo un volgare imbroglio, ma la più impudente delle frodi poiché i “famosi segreti” consegnati erano tutti senza valore. Se insisto è perché il nodo è qui, […] lo spaventoso rifiuto di giustizia di cui la Francia è malata.
Essi3 agitano la Francia, si nascondono dietro la sua legittima emozione, chiudono le bocche agitando i cuori, pervertendo gli spiriti. Io non conosco un crimine civico più grande. Dunque, sig. Presidente, i fatti dimostrano come un errore giudiziario possa essere stato commesso; […] come Dreyfus [sia] una vittima delle straordinarie congetture del comandante Paty de Calm, dell’ambiente clericale in cui esse s’inseriscono, della caccia agli «sporchi ebrei» che disonora la nostra epoca. […] Quando una società arriva a questo punto, essa cade nella decomposizione. […]
L’economia francese fra “grande depressione” e lenta industrializzazione
Segnato da continue tensioni e da una forte instabilità politica, il primo trentennio di vita della Terza Repubblica vide l’economia francese crescere, ma meno dei suoi principali concorrenti. Ciò si verificò sia per cause interne, sia per gli effetti particolarmente gravi della riduzione della spinta espansiva registrata dall’economia mondiale a partire dai primi anni Settanta.Né a risollevare l’industria e il commercio estero francesi valse il ripristino delle tariffe protezioniste nel 1881 e il loro progressivo inasprimento nel 1885 e nel 1892: non tanto perché una quarantina di partner commerciali continuarono a beneficiare della clausola della nazione più favorita, bensì soprattutto per la stessa struttura industriale del paese, che restava per lo più caratterizzata dalla molteplicità delle botteghe artigiane e piccole società. I processi di concentrazione erano infatti limitati a pochi settori (tessile, estrazione mineraria, metallurgia, chimica). Le banche preferivano investire all’estero o in altri ambiti, piuttosto che in rischiose imprese industriali. Infine, la localizzazione delle fabbriche e i costi dei loro prodotti restavano fortemente condizionati dalla disponibilità di materie prime e risorse energetiche, importate in larga parte per l’insufficienza di quelle nazionali.
Fra il 1880 e il 1900, tuttavia, non mancarono singoli casi di grande successo. Nacquero e si affermarono marchi come Renault, Schneider, Michelin e Peugeot. Alcuni settori crebbero molto, come la chimica. Altri – come l’edilizia e le ferrovie – conobbero un vero e proprio boom, anche grazie agli investimenti pubblici per risolvere i problemi socio-sanitari legati all’inurbamento (la popolazione cittadina era passata dal 24,4% del 1846 al 44,2% del 1911), per garantire all’esercito una pronta mobilitazione e per favorire la crescita dell’industria siderurgico-metallurgica mediante le ordinazioni di armi e materiali ferroviari. Nel complesso, però, la Francia vide ridursi dal 7,8% al 6,8% la sua quota sulla produzione industriale mondiale, e soprattutto finì per perdere terreno rispetto alla concorrenza tedesca (passata dall’8,5% al 13,2%).
fenomeni
Lo Stato ebraico e il sionismo
Impegnati a emanciparsi dalla condizione di minorità giuridica loro imposta in molti paesi, a fine XIX secolo gli ebrei dovettero fronteggiare una nuova ondata di ostilità, in cui confluivano elementi diversi: il tradizionale antigiudaismo religioso, i timori suscitati dalle ipotesi sulla degenerazione delle razze “pure” a contatto con quelle “inferiori”, l’ossessione per l’omogeneità nazionale, le teorie cospirative e le frustrazioni sociali e politiche peculiari di ogni singolo contesto. L’ebreo incarnava sempre più il perfetto capro espiatorio, se non proprio il “nemico interno”: cosmopolita non integrabile nella comunità nazionale, individualista, libero dai vincoli morali di matrice cristiana e tanto legato alle proprie tradizioni da rifiutare la modernità. Alcuni intellettuali ebrei iniziarono perciò a ritenere come unico posto sicuro un proprio Stato, da costituirsi preferibilmente nei luoghi originari del loro popolo: i territori ottomani della Palestina e di Gerusalemme, biblicamente chiamata Sion, dal nome dell’altura su cui la città era sorta.
Già negli anni Ottanta, la Palestina era stata meta di una prima ondata migratoria, composta per lo più di ebrei in fuga dalle violente discriminazioni subite nell’Impero russo. Nello stesso periodo, in varie parti dell’Europa soprattutto orientale gruppi chiamati “Amanti di Sion” avevano iniziato a promuovere il progetto del nuovo Stato e attività tese a contrastare l’assimilazione degli ebrei nei paesi ospiti: tramandare usi e costumi, insegnare loro la lingua ebraica e costruire socialità tutte interne alla comunità.
Tuttavia, fu il caso Dreyfus a dare slancio a questa riflessione. Dopo aver assistito al processo, l’ebreo ungherese Theodor Herzl pubblicò infatti Lo Stato ebraico (1896): un pamphlet che lasciava aperta la possibilità di una ricollocazione degli ebrei in Argentina (ricca di terre vergini) o in Uganda (offerta dal governo britannico), ma che poneva comunque ormai come urgente il «tentativo di una soluzione moderna della questione ebraica». Il libro ebbe un’eco enorme, anche se non bastò ad assicurarsi l’appoggio di ebrei molto influenti come i banchieri Rothschild, cui pure originariamente si rivolgeva quali possibili leader del movimento.
L’anno successivo Herzl fondò l’Organizzazione sionista e ne tenne il primo congresso a Basilea, fissandone come obiettivo la creazione di uno Stato a maggioranza ebraica in Palestina e individuandone gli strumenti nella promozione dell’immigrazione, nel rafforzamento dell’identità ebraica negli ebrei in diaspora e nella ricerca del sostegno di Stati amici.
L’Organizzazione, detta “il parlamento del popolo ebraico”, teneva periodici congressi fra i delegati votati dagli iscritti (donne incluse) e si mostrò da subito capace di dotarsi dei mezzi necessari ai suoi scopi. Prima costituì una banca popolare per raccogliere fondi e far credito ai coloni trasferiti in Palestina (la Jewish Colonial Trust Limited ). Poi fondò il Jewish Nation Fund per l’acquisto di terre nei territori che il governo ottomano seguitava a rifiutarsi di concedere agli ebrei nonostante le tante udienze ottenute da Herzl presso i principali capi di Stato europei. Infine, creò la Commissione sionista e diverse società tese allo studio e al miglioramento delle condizioni socio-economiche degli ebrei trasferiti nella “Terra promessa”.
Gli sforzi del movimento sortirono però effetti solo dopo la Grande guerra del 1914-18, suscitando nel frattempo violente polemiche e la diffidenza di quegli ebrei residenti in Europa che temevano di veder compromesso il loro tentativo di integrazione nelle società ospiti. Eppure, la nascita dello Stato di Israele nel 1948 avrebbe reso profetiche le parole di Herzl all’indomani del Congresso di Basilea quando, per spiegare l’evento, disse: «A Basilea ho fondato lo Stato ebraico. Se lo dicessi ad alta voce oggi sarei universalmente deriso. Ma in cinque anni forse, e di certo in cinquanta, tutti se ne accorgeranno».
Gli inizi della sfavillante Belle époque e le sue ombre
Anche quando all’inizio del Novecento la situazione politica si stabilizzò e l’economia crebbe, la Terza Repubblica non riuscì a concretizzare molti dei suoi obiettivi e principi fondanti.Restavano forti le differenze fra le ancora poche grandi città e le campagne. Le prime risultavano sempre più congestionate dal massiccio inurbamento contadino, mentre il grosso della popolazione risiedeva in piccoli insediamenti rurali privi di servizi e appena sfiorati dalla modernizzazione.
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900