14.1 Il problema di vincere

Per riprendere il filo…

Grazie all’alleanza con la Francia, nel 1859 il Regno di Sardegna aveva vinto la guerra contro l’Impero asburgico e ottenuto la Lombardia. Nel frattempo, le insurrezioni scoppiate nei ducati e nei territori papali dell’Italia centrale avevano portato alla loro annessione allo Stato sabaudo. Infine, nell’estate del 1860 Garibaldi aveva cavalcato le istante emancipazioniste e autonomiste siciliane per estendere l’unificazione al Mezzogiorno, mentre il regime borbonico implodeva e i moderati guidati da Cavour riuscivano a riprendere il controllo del processo di unificazione e a convincere il Generale a non proseguire per Roma.

14.1 Il problema di vincere

Il fragile mosaico dell’Italia postunitaria
Esito imprevisto di forze diverse, il Regno d’Italia nato nel 1861 era una creatura assai precaria.

Sul piano economico, il paese aveva ereditato forze e debolezze dei sistemi produttivi preunitari [▶ cap. 13.1]: l’agricoltura meccanizzata e le industrie della Pianura Padana, la mezzadria toscana, la pastorizia tradizionale della fascia adriatica e le colture per lo più estensive, a bassa produttività e innovazione del Centrosud [ 1].

A ciò si aggiungeva la limitata e mal distribuita rete stradale e ferroviaria, la strutturale carenza di materie prime e fonti energetiche, un sistema creditizio debole e frammentato e le pessime condizioni igienico-sanitarie della popolazione.

 >> pagina 432 
All’Italia mancavano però anche istruzione e coesione. Da una parte gli analfabeti erano oltre il 75% (e più ancora fra le donne e i meridionali) [ 2], gli italofoni circa il 10% e ancor meno gli scolarizzati. Dall’altra, l’entusiasmo per i plebisciti e le imprese garibaldine [▶ capp. 13.3 e 13.4] era stato forte ma effimero, e molti avevano accettato l’unificazione per opportunismo o nella speranza di riforme sociali e maggiori autonomie. Pertanto, con l’eccezione dei ceti medio-alti sensibili al discorso patriottico, il grosso della popolazione non si sentiva italiana, considerava “patria” la propria zona d’origine, ignorava cosa ci fosse oltre e non riusciva a capire chi parlasse un dialetto diverso.
Certo, le masse erano poco nazionalizzate in quasi tutti gli Stati-nazione e l’Italia era molto arretrata solo rispetto ai paesi più evoluti (nel Regno Unito gli analfabeti erano il 30-50% e il reddito procapite quasi il doppio). Tuttavia, la sua inattesa nascita aveva scompaginato gli assetti politico-economici dentro e fuori la penisola. Perciò, essa aveva urgente bisogno di solidità, di definire i profili normativo-istituzionali del nuovo Stato, di inserirsi nel quadro delle relazioni internazionali, di modernizzarsi e di risolvere i nodi legati al Veneto ancora asburgico e al Lazio rimasto al papa.
Il quadro politico
Si trattava di sfide davvero molto difficili per una classe politica ora articolata in due fazioni prive delle strutture organizzative dei veri e propri partiti, dai profili ideologici vaghi, socialmente simili fra loro e composte ognuna da uomini spesso aggregati su base regionale, o attorno ad alcune figure influenti come il blocco piemontese attorno a Rattazzi o la “consorteria” tosco-emiliano-piemontese.
Da una parte c’era la Sinistra, sostenuta dalla borghesia agraria meridionale e dai ceti medi abbastanza ricchi da votare: un insieme di ex repubblicani (Agostino Depretis, Giovanni Nicotera, Francesco Crispi) passati a un liberalismo progressista, che chiedeva il rapido completamento dell’unificazione ma ne accettava ormai l’esito monarchico. Dall’altra c’era la Destra al governo, che si autocelebrava come “storica” per il ruolo nel Risorgimento nazionale: una maggioranza moderata e liberista nata dal connubio del 1852 [▶ cap. 13.2] come espressione della nobiltà e dei settori più attivi della borghesia agraria centrosettentrionale, più prudente sulla “questione romana” e guidata dal fiorentino Bettino Ricasoli (1809-80) dopo l’improvvisa morte di Cavour nel giugno 1861.

14.2 Un regno, tanti nemici

I delusi: repubblicani, federalisti e garibaldini
Poiché “necessità dei tempi” e comune diffidenza verso i ceti inferiori portavano spesso la Sinistra a votare le proposte governative, l’opposizione più temibile era costituita dai delusi del Risorgimento: Mazzini, che rifiutava di accettare la monarchia, Cattaneo, che invocava il federalismo e Garibaldi, che voleva usare la sua popolarità per annettere Veneto e Lazio.
Proprio per frenare l’avventurismo garibaldino (spalleggiato dal re), il governo prima smobilitò frettolosamente l’Esercito meridionale e poi, nell’agosto del 1862, non esitò ad attaccare il Generale sull’Aspromonte mentre guidava una spedizione per Roma [ 3]. D’altro canto, fedele al pensiero di Cavour [▶ FONTI, p. 434], l’esecutivo aveva già avviato le trattative che, nel 1864, avrebbero portato al graduale ritiro delle truppe francesi a difesa del papa in cambio della rinuncia italiana al Lazio, simbolicamente accompagnata dallo spostamento della capitale da Torino a Firenze.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900