17.7 L’evoluzione del pensiero politico nel Seicento

17.7 L’evoluzione del pensiero politico nel Seicento

Dallo stato di natura allo Stato delle leggi

Oltre alla straordinaria fioritura delle scienze naturali, il Seicento conobbe importanti sviluppi nello studio del diritto e della politica. A fronte di una società ancora in larga parte contadina – non va dimenticato che l’agricoltura rimaneva la base dell’economia – si stavano sviluppando nuove forze che, pur avendo in molti casi interessi contrastanti, avevano anche la capacità di unirsi per scopi comuni. L’ascesa delle classi mercantili e borghesi, in particolare, dava luogo a una nuova richiesta di partecipazione, attraverso la quale tali gruppi cercavano di dare una dimensione politica alla loro affermazione economica e sociale. Le elaborazioni teoriche intorno al problema dello Stato e della sovranità, iniziate già nel Cinquecento, si trovarono così ad affrontare sotto una nuova luce temi dibattuti da secoli: le basi del diritto, il fondamento e la legittimità del potere, le modalità del suo esercizio.

Partendo dal presupposto di un’identità fra natura e ragione, cioè sostenendo che il diritto naturale (▶ giusnaturalismo) è di per sé razionale, il giurista olandese Ugo Grozio (Huig van de Groot, 1583-1645 [ 12]) escluse che lo Stato potesse avere origine da un principio religioso. In altre parole, Grozio pose i fondamenti dello Stato su un piano totalmente razionale, ridimensionando le radici teologiche del potere: il diritto naturale, cui lo Stato si deve conformare, è paragonabile a principi matematici immutabili. Anche in questo ambito veniva dunque affermata una forma di separazione tra religione e ragione, già suggerita in campo scientifico e filosofico da Cartesio.

Legate all’idea di diritto di natura universale codificata da Grozio erano le nascenti dottrine contrattualiste. Il nucleo di questa nuova concezione politica riguardava il passaggio dallo stato di natura alla vita associata: gli uomini stipulano un patto fondato sul riconoscimento dei propri diritti e doveri, ma anche e soprattutto sulla delega di poteri al monarca. La volontà di quest’ultimo non è quindi illimitata, ma al contrario sottoposta a una lunga serie di vincoli e regole.

La dottrina giusnaturalista, infatti, considerava il patto vincolante tanto per i sudditi quanto per il re: i sudditi non potevano negare l’obbedienza al monarca, ma in caso di una degenerazione della sovranità in tirannia si poteva intraprendere una giusta forma di ribellione.

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Un’interpretazione diversa fu data dal filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679), che nel suo Leviatano (1651) [ 13] partì dalla convinzione che l’uomo fosse istintivamente ostile ai suoi simili (homo homini lupus, “l’uomo è un lupo per gli altri uomini”), privo di morale e portato solo a perseguire i suoi scopi personali. Lo stato di natura, secondo Hobbes, era una guerra di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes), che rendeva necessaria la totale rinuncia dei diritti individuali a vantaggio di un potere assoluto, l’unico in grado di garantire il rispetto delle leggi attraverso l’uso della forza.

Queste elaborazioni teoriche animavano i dibattiti filosofici ma avevano anche ricadute pratiche: le varie tesi infatti erano impiegate nei diversi contesti per sostenere o contrastare le trasformazioni politiche in corso. Non è un caso, per esempio, che l’Inghilterra della guerra civile e della lotta alle pretese assolutiste della corona sia stato il paese in cui le teorie contrattualiste trovarono l’espressione più avanzata. Nel 1690, in particolare, apparvero i Due trattati sul governo del filosofo John Locke (1632-1704), il quale sosteneva che:

  • il fine ultimo dello Stato è il bene della società, cioè dei sudditi;
  • la monarchia è il mezzo per realizzarlo;
  • non esistono poteri al di sopra della legge che il corpo dei sudditi si è data, per cui ogni tentativo di sovvertire l’ordine di governo da essa indicata è da respingere, fino alla legittima destituzione del sovrano.

La definitiva negazione del concetto di potere regio come “diritto divino” e la subordinazione del sovrano alla legge fornivano le basi teoriche allo Stato inglese uscito dalla Gloriosa rivoluzione, primo esempio di quella che verrà più tardi chiamata monarchia costituzionale.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715