17.1 La fortuna delle Province Unite

Per riprendere il filo…

Il regno di Elisabetta I Tudor in Inghilterra era stato segnato da una serie di processi tradizionalmente interpretati in chiave positiva dalla storiografia: l’incremento delle attività produttive, l’espansione commerciale marittima, lo sviluppo di un notevole spirito patriottico, un grande fermento culturale. La sovrana aveva però dovuto affrontare anche gravi problemi interni: i contrasti fra il potere centrale e il parlamento rimasero frequenti, così come le tensioni religiose legate alla paura diffusa di una restaurazione cattolica. 

Un ruolo importante in tal senso era stato giocato dalla Spagna di Filippo II, sempre pronto a interferire nella vita politica inglese, ma anche costretto a fronteggiare una difficile situazione finanziaria dovuta al peso della macchina bellica. Proprio nel contesto della crisi della monarchia iberica, le cui conseguenze riguardarono anche i territori dominati, emerse una delle realtà più dinamiche del continente europeo: le Province Unite calviniste, che si distinguevano per la loro intraprendenza commerciale e per lo sviluppo di nuove forme di organizzazione politica.

17.1 La fortuna delle Province Unite

Le istituzioni della nuova repubblica

All’inizio del XVII secolo, un ruolo sempre più centrale nel panorama europeo venne acquisito dalle Province Unite, che nel 1609 si liberarono dal controllo della Spagna (anche se l’indipendenza sarebbe stata confermata solo nel 1648 con la Pace di Vestfalia [ cap. 16.3]). La clamorosa vittoria sulla potenza spagnola era stata ottenuta, dopo decenni di lotta, da un paese piccolo ma tenace e convinto dei propri valori, che era riuscito a darsi un’organizzazione particolare. I Paesi Bassi protestanti avevano infatti dato vita alla Repubblica delle Sette Province Unite, con una struttura confederale. Ciascun territorio manteneva un proprio parlamento (Stati provinciali), con forti autonomie legislative e amministrative, e mandava dei rappresentanti agli Stati generali, un organo con sede all’Aja con compiti limitati di politica estera, economico-commerciale e militare. Le province nominavano un governatore, lo statolder (stathouder, letteralmente “luogotenente” [ 1]). Tale carica era elettiva, anche se venne quasi sempre coperta da membri della casata degli Orange Nassau, che infatti premettero a lungo per renderla ereditaria. Lo statolder incarnava una tendenza accentratrice e monarchica, a volte combattuta apertamente dalle province e dagli stessi Stati generali.

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Esisteva dunque un dualismo tra poteri provinciali e federali, come non mancavano contrasti tra differenti strati sociali e tra province più e meno ricche. Un ruolo preponderante era infatti giocato dall’Olanda, che da sola sosteneva metà dell’intero peso delle imposte federali e aveva un numero maggiore di rappresentanti agli Stati generali. La repubblica dovette affrontare contrasti interni anche gravi sul piano sia sociale che istituzionale, ma riuscì comunque a trovare forme di equilibrio che le permisero di resistere senza sfaldarsi.

Economia, società e cultura

Una delle conseguenze della nuova libertà fu la forte espansione economica del paese. Le sue città fiorirono, prima fra tutte la capitale olandese Amsterdam, che a metà secolo arrivò a contare circa 150 000 abitanti e soppiantò Anversa come centro dei mercati internazionali. La dinamica società ▶ neerlandese fu capace di smantellare le vecchie strutture corporative che regolavano le attività produttive per introdurre nuove e più efficaci forme di organizzazione del lavoro manifatturiero. Un sistema di istruzione diffuso a larghe fasce della popolazione rendeva possibile la condivisione di informazioni, competenze e conoscenze e creava un terreno fertile per l’iniziativa imprenditoriale.

Alla crescita delle manifatture, in particolare panni di lana leggeri e a prezzi concorrenziali, si associò una forte espansione nel campo del commercio marittimo. Infatti la flotta mercantile olandese divenne la più grande d’Europa; le sue navi, maneggevoli e capienti, trafficavano di tutto: stoffe, vetro, carta, canapa, lino, luppolo e soprattutto il pescato del Mare del Nord (aringhe, merluzzi e balene). Mete privilegiate erano i porti del Baltico e del Mediterraneo, ma gli olandesi riuscirono ad approfittare della crisi spagnola e portoghese per estendere – a danno di questi ultimi – il proprio controllo nei territori d’oltremare.

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La vivacità economica si accompagnava a un grande fermento culturale. Basti pensare al grande sviluppo della pittura, destinata non più solo agli edifici ecclesiastici o alle grandi case nobiliari, ma anche e soprattutto ai salotti della nuova committenza borghese: ai grandi soggetti sacri e profani si sostituirono le immagini di funzionari e ricchi mercanti, che volevano vedere rappresentato il loro mondo e celebrato il loro nuovo stato sociale [ 2].

Inoltre, in nome della libertà personale la maggioranza di fede calvinista si era mostrata capace di tollerare altre religioni, compresa quella ebraica. Individui e gruppi di diverse confessioni, vittime di repressioni nei loro paesi, trovarono così rifugio in quelle terre, portando in dote le loro capacità professionali. Fra loro c’erano numerosi operatori commerciali, ma anche artigiani e letterati, che trovarono nuove occasioni di confronto e sperimentarono la possibilità di sviluppare la loro creatività in condizioni decisamente più favorevoli sul piano politico. Un ruolo importante fu infatti giocato dalle istituzioni, che garantivano una libertà di pensiero e di parola altrove sconosciuta, di cui approfittarono molti autori per stampare opere che in molti altri paesi del continente sarebbero state destinate alla censura o alla condanna   [▶ fenomeni, p. 530] 

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  fenomeni

Il paese della tolleranza

Religione e pragmatismo

Nel Seicento, il “secolo d’oro” delle Province Unite, l’atmosfera che si respirava nella repubblica era di un’apertura straordinaria, soprattutto nelle città e in particolare ad Amsterdam. Alla vivacità dei traffici commerciali si accompagnavano una notevole curiosità culturale e l’interesse per le notizie provenienti da tutto il mondo, che originarono un diffuso mercato della stampa con la circolazione di volumi e opuscoli e delle prime “gazzette”, fogli periodici in cui si raccontavano le più importanti novità.

Tratto tipico della società olandese del tempo era inoltre una certa tolleranza nei confronti delle diverse confessioni religiose. L’adesione al calvinismo si era ampiamente diffusa prima fra gli artigiani, poi fra mercanti e uomini d’affari, i ceti dinamici propensi a ricercare nel successo personale il segno della grazia divina. Ciò, però, non aveva generato evidenti fenomeni di fanatismo né dato vita a persecuzioni delle altre fedi. A metà del secolo, in un’epoca di gravi conflitti religiosi, un terzo della popolazione di Amsterdam proveniva dai cattolici Paesi Bassi spagnoli, per non parlare dei numerosi immigrati che giungevano da tutta Europa con il loro bagaglio di usi e costumi diversi. Ciò era possibile perché le scelte religiose, nella società olandese del tempo, si accompagnavano a un forte pragmatismo, per cui per esempio mercanti e banchieri continuavano a concludere lucrosi affari persino con gli spagnoli, con cui la repubblica era formalmente in stato di guerra.

Una libertà relativa

La capacità di integrazione e l’affermazione di principi di tolleranza religiosa avevano comunque dei limiti. La fede cattolica, identificata come espressione di un potere repressivo (quello spagnolo), non godeva infatti di piena libertà. Lo stesso calvinismo non fu esente da dissidi e polemiche interne: i sostenitori della sua interpretazione più intransigente imposero la persecuzione e il bando dei più moderati.

Anche figure sgradite all’establishment religioso della città poterono comunque continuare a esprimere il proprio pensiero. Lo dimostra il caso del filosofo Baruch Spinoza (1632-77) che venne cacciato dalla comunità ebraica perché la sua analisi filosofica razionale negava la verità assoluta della Bibbia, riconoscendole un valore etico ma non scientifico. Egli poté continuare la sua opera, arrivando a concepire un sistema filosofico in cui Dio coincideva con la Natura. Le violente reazioni alle sue posizioni, tuttavia, gli consigliarono di smettere di pubblicare le sue opere. L’idea della libertà di pensiero e di parola come elemento di vantaggio per l’intera società, contenuta nei suoi scritti, era ancora lontana da una compiuta affermazione.

17.2 L’Inghilterra e l’eredità di Elisabetta

Giacomo I Stuart re d’Inghilterra

Elisabetta I morì nel 1603 senza eredi, mettendo fine alla dinastia Tudor. Le regole imposte dalla linea di successione aprirono la strada verso il trono a Giacomo VI Stuart, re di Scozia, figlio della cattolica Maria Stuart, giustiziata nel 1587 per accuse di tradimento, e discendente di Margherita Tudor, sorella di Enrico VIII. Il re, che come sovrano inglese assunse il nome di Giacomo I (1603-25), si trovò a governare un vasto territorio, che comprendeva circa 6 milioni di abitanti. Nonostante avessero lo stesso sovrano, Scozia e Inghilterra rimasero separate dal punto di vista istituzionale: Edimburgo conservò il suo parlamento, mentre Londra era il centro propulsore della parte più dinamica del paese, guidandone la vita politica, economica e culturale.

Giacomo non riuscì a godere del consenso dei sudditi inglesi. Fu molto generoso verso collaboratori di poco talento e grande cupidigia, dimostrò grande rigidità in materia fiscale e molte sue scelte derivarono dal convincimento che le pratiche stregonesche potessero influire negativamente sul suo regno. Pagò inoltre i pettegolezzi sulle sue inclinazioni omosessuali, alimentati anche dalla circolazione clandestina di componimenti satirici volti a screditare la sua persona. Le maggiori tensioni però derivarono dalla questione religiosa. Infatti il sovrano, cresciuto come protestante, fu sospettato di coltivare in segreto la religione cattolica (il cosiddetto “criptocattolicesimo”) e, per scrollarsi di dosso ogni ombra, inasprì le politiche repressive contro i nemici della confessione anglicana. Già nei primi anni del suo regno fu sventata la “Congiura delle polveri” (1605), un attentato dinamitardo organizzato da estremisti cattolici con l’intento di far esplodere il parlamento [ 3].

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I limiti all’azione del re

La corona inglese non poteva contare sui fattori di consolidamento del potere centrale che avevano segnato il tentativo di riassetto di altre monarchie europee. Mancava un esercito permanente, le burocrazie territoriali erano deboli ed era quasi impossibile imporre nuove tasse senza il consenso della Camera dei Lord e della Camera dei Comuni, che insieme costituivano il parlamento. Quest’ultimo andava progressivamente perdendo il suo ruolo di assemblea provvisoria, convocata solo in circostanze particolari, per acquisire invece il carattere di un organo legislativo permanente che pretendeva di affiancare il monarca nel governo del paese.

La guerra combattuta contro la Spagna [ cap. 15.4] aveva provocato gravi difficoltà finanziarie, perciò Giacomo si trovò a dover riparare alle falle di un sistema che vedeva entrate modeste a fronte di uscite cospicue. La dinastia Tudor aveva venduto molte terre della corona facendo diminuire fortemente gli introiti di origine demaniale, mentre le rendite fiscali provenienti dal commercio erano in crescita, vista l’espansione delle rotte marittime, ma non erano sufficienti e non si poteva gravarle ulteriormente per non perdere competitività. Una delle vie percorribili per aumentare il ▶ gettito era la tassazione delle rendite fondiarie, ma in parlamento i proprietari terrieri erano ben rappresentati e riuscirono a opporsi quasi sempre a provvedimenti in tal senso, votando solo per aiuti straordinari legati a emergenze militari.

La popolazione crebbe enormemente nel giro di pochi anni. Il paese passò da 4 a 5 milioni di abitanti e Londra addirittura raddoppiò i suoi 200 000 abitanti. Le attività produttive non progredirono con lo stesso ritmo, anche a causa della concorrenza dei Paesi Bassi che riuscivano a smerciare i loro manufatti con grande facilità. Inoltre le tensioni politiche che attraversavano il continente europeo e lo scoppio della Guerra dei Trent’anni sottrassero alla manifattura britannica alcuni mercati importanti, conducendo il paese verso una congiuntura economica negativa che, nel giro di poco tempo, avrebbe contribuito all’inasprimento dello scontro politico.

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17.3 I conflitti tra corona e parlamento

La politica accentratrice del nuovo sovrano

Con la morte di Giacomo Stuart salì al trono il figlio, Carlo I (1625-49) [ 4]. Il nuovo re era un convinto sostenitore dell’ascendenza divina del potere monarchico e, in virtù di questo, difese le sue prerogative di detentore del potere centrale contro i limiti imposti dal parlamento, dimostratisi fatali per i progetti di ristrutturazione finanziaria coltivati dal padre.

La cronica mancanza di risorse nelle casse dello Stato divenne un grave fardello per la corona, che non aveva strumenti per imporre le sue decisioni e poteva ricorrere solo limitatamente all’uso della forza, visto che uomini e armi avevano un costo elevato. In una dinamica di potere segnata da equilibri molto precari, il sovrano cercò di ricorrere a espedienti molteplici per ricavare quanto più denaro possibile:

  • la vendita di cariche e titoli nobiliari;
  • la concessione a investitori privati di alcuni monopoli sulle attività produttive e sul commercio, in cambio di sostegno economico;
  • il rafforzamento del sistema delle multe a carico di chi infrangeva le leggi.

Nei suoi primi anni di regno Carlo fu condizionato dal duca di Buckingham, già favorito del padre, il quale lo spinse a condurre una politica estera aggressiva. Il sovrano, intenzionato a conquistarsi il consenso dei calvinisti intransigenti e dell’intero fronte anticattolico, dichiarò guerra alla Spagna. Ottenne concessioni straordinarie dalla Camera dei Comuni e cercò di sfruttare al meglio le risorse a disposizione per intercettare i carichi di metalli preziosi provenienti dal Nuovo Mondo. La strategia però si rivelò fallimentare e fu necessario un cambiamento di fronte: il nemico fu individuato nella Francia, che si cercò di indebolire appoggiando – senza successo – gli ugonotti assediati a La Rochelle dal cardinale Richelieu [ cap. 16.2].

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Fallito anche questo tentativo, il parlamento approfittò della debolezza della corona per imporre la Petition of Right (1628), una carta dei diritti con la quale venivano stabilite ulteriori limitazioni al potere centrale riguardo a punti essenziali: le imposte, la richiesta di prestiti, il ricorso all’arresto e alla legge marziale, le interferenze con la proprietà privata, l’obbligo dei sudditi di dare alloggio ai soldati.

L’ennesima umiliazione subita spinse Carlo a interrompere l’attività delle camere nel marzo del 1629 e a proseguire nel governo del paese in autonomia. Per 11 anni si avvalse dell’aiuto del Consiglio della corona e di tribunali come la Camera stellata. Le risorse finanziarie furono reperite grazie alla vendita dei titoli nobiliari, all’imposizione di ▶ prestiti forzosi, all’aumento dei dazi doganali, ma soprattutto allo sfruttamento della Ship money, una delle poche tasse che per legge il re poteva imporre senza il consenso parlamentare. L’imposta era applicabile in tempo di guerra a carico degli abitanti delle aree costiere, ma Carlo decise di estenderla anche ai territori interni e in periodo di pace. La mossa scatenò accese rimostranze, che contribuirono ad arroventare ancora di più il clima politico.

Religione e politica

Come abbiamo visto, dal punto di vista dottrinale e gerarchico la Chiesa anglicana era rimasta vicina al cattolicesimo, fatto che creava continui timori tra i riformati, a maggior ragione ora che i nuovi regnanti erano sospettati di simpatie filocattoliche. In particolare i calvinisti più intransigenti, detti puritani, premevano per ripulire il culto della Chiesa d’Inghilterra da ogni legame con i rituali romani, riducendo o eliminando l’autorità dei vescovi per conferire maggiore autonomia alle singole congregazioni nella scelta dei loro ministri. Più che su un sistema teologico-dottrinale, il movimento puritano consolidò la sua identità attraverso la definizione di modelli di comportamento, arrivando ad acquisire una connotazione politica fondata sulla critica allo sfarzo delle corti e alla supremazia del monarca sulla vita religiosa [ 5].

Il puritanesimo raccolse consensi fra la ▶ gentry, la piccola nobiltà terriera locale, e diede voce a diverse istanze autonomistiche che nascevano al suo interno. Fra queste il presbiterianesimo, riconosciuto come Chiesa ufficiale in Scozia, che puntava ad assegnare la guida religiosa delle comunità locali ad anziani (“presbiteri”) eletti dai fedeli raccolti in assemblea. Tale atteggiamento però era in netto contrasto con il controllo esercitato dal re sulla Chiesa d’Inghilterra e creava attriti anche politici con la corona. Le richieste di riforma religiosa rimasero comunque inascoltate e nel corso del primo ventennio del XVII secolo diversi puritani cominciarono ad abbandonare l’idea di realizzare le loro aspirazioni in patria e spostarono la loro attenzione verso le Province Unite e l’America settentrionale. Come vedremo, già nel 1620 alcuni si imbarcarono da Plymouth sulla prima nave, denominata Mayflower, per stabilirsi in Massachusetts.

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Infine, il cattolicesimo rappresentava una minoranza fortemente osteggiata e discriminata anche politicamente in Gran Bretagna, mentre in Irlanda, dove era praticato dalla maggioranza della popolazione, era il collante che univa nobili e popolo contro la dominazione inglese.

Le opposizioni alla politica del re

I contrasti fra il monarca e i puritani divennero sempre più accesi. Le correnti più radicali arrivarono persino a mettere in discussione l’idea di potere monarchico, sostenendo che un governo terreno ispirato ai dettami divini potesse fare a meno tanto dei vescovi quanto dei re. Carlo cercò di reagire scegliendo come obiettivo prioritario quello di preservare l’unità religiosa imponendo l’anglicanesimo anche alla Scozia presbiteriana e all’Irlanda cattolica. Tale scelta fu sostenuta dall’arcivescovo di Canterbury William Laud (1573-1645), il quale assunse un atteggiamento intransigente scegliendo vescovi contrari alla teoria calvinista della predestinazione, rimettendo in vigore liturgie tipiche del cattolicesimo e utilizzando i tribunali ecclesiastici per reprimere il dissenso.

Il processo di rafforzamento del potere monarchico inglese non fu, tuttavia, paragonabile a quello di altre realtà europee come la Francia e la Spagna. Gli oppositori interni erano forti e non privi di iniziativa, oltre che dotati di adeguati strumenti giuridici per affermare le loro pretese. La Scozia presbiteriana non si arrese di fronte alle riforme introdotte da Laud e diede inizio a una rivolta (1638). Rendendosi conto che non c’erano margini per una conciliazione, il re cambiò atteggiamento e nell’aprile del 1640 convocò nuovamente il parlamento, ma l’operazione non sortì gli effetti sperati perché le opposizioni si mostrarono ancora più ostili. L’assemblea fu sciolta dopo poche settimane (perciò fu detta “Parlamento breve”), lasciando l’intero paese in una situazione critica e, almeno in apparenza, lontana da una qualsiasi soluzione: oltre al problema politico l’esercito non riusciva a domare i ribelli scozzesi e i banchieri londinesi si rifiutarono di elargire nuovi prestiti per sostenere le spese militari.

I successi del parlamento

Il 3 novembre dello stesso 1640 Carlo ricorse nuovamente alle camere, dando inizio al cosiddetto “Lungo parlamento”, destinato a durare 13 anni, sia pur con qualche interruzione e con estromissioni forzose di membri dissidenti. L’opposizione più energica al monarca venne dalla Camera dei Comuni, capace di far leva anche sul malcontento popolare, nonché di influenzare le stesse posizioni dei Lord, per ottenere importanti risultati: 

  • l’arcivescovo Laud fu imprigionato nel 1640 per tradimento e quattro anni più tardi giustiziato;
  • furono chiusi i tribunali posti sotto il controllo del monarca, come la Camera stellata;
  • la ship money fu dichiarata illegittima, insieme ad altre tasse imposte nel periodo precedente;
  • il potere dei vescovi fu ulteriormente limitato.

Inoltre, il parlamento si riservò il diritto di decidere collegialmente la data del proprio scioglimento, sottraendo di fatto al re questa prerogativa.

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A questo punto ogni conciliazione sembrava impossibile, visto che i membri del parlamento intendevano sfruttare fino in fondo le loro prerogative, arrivando a sottrarre a Carlo persino il controllo delle forze armate. Nel lungo duello fra il sovrano e le camere un ruolo importante fu giocato dalla stampa, che si affiancò all’opera dei predicatori puritani aizzando gli animi dei sudditi con toni accesi e diffamatori volti a screditare la corte [ 6].

La guerra in Irlanda

Già dall’epoca dei Tudor, e ancor più sotto gli Stuart, era in atto una colonizzazione britannica dell’Irlanda nel tentativo di scardinare le antiche strutture di potere locale. I privilegi accordati ai nuovi arrivati dalla Scozia e dall’Inghilterra, divenuti in breve tempo titolari del diritto di sfruttamento di terre che fino a poco prima erano appartenute ai nativi, suscitarono un forte malcontento. Nel 1641, sotto la spinta della gentry, gli irlandesi passarono all’azione: dopo mesi segnati da agitazioni e violenze, con l’appoggio del clero locale venne formata una “Confederazione cattolica” che conquistò di fatto il controllo del paese. La religione era stato l’elemento capace di coagulare le varie componenti della società, sia quella ▶ gaelica che quella discendente dei primi invasori normanni, finalmente definite sotto un’unica identità nazionaleschierata contro il minaccioso potere della corona di Carlo I.

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Carlo appariva ormai schiacciato nella morsa delle rimostranze incrociate dei “tre regni” (Inghilterra, Scozia, Irlanda), che andavano acquisendo pian piano caratteri nazionali nell’incrocio di fattori economici, religiosi, culturali, linguistici. A metà del 1642 il re inviò in Irlanda un esercito di 20 000 uomini, con l’appoggio di forze scozzesi arrivate con il consenso del parlamento di Edimburgo, momentaneamente alleatosi con il re in funzione anticattolica e per sostenere i suoi coloni. L’intervento militare non bastò a evitare la nascita di un’Irlanda confederata che si diede un governo provvisorio, affidato a un’assemblea generale composta da nobili, vescovi e rappresentanti dei ceti possidenti. Gli scontri tra gli insorti irlandesi e le forze britanniche si protrassero, con fortune alterne, fino al 1653, ed ebbero – come si vedrà – importanti riflessi sui destini della monarchia.

17.4 La guerra civile

Le forze in campo

La rivolta irlandese fece deflagrare i conflitti politici latenti nel regno inglese, tanto che nel 1642 poteva ritenersi ormai iniziata una vera guerra civile: da un lato combattevano i “cavalieri” del re Carlo Stuart, così denominati per la loro estrazione prevalentemente nobiliare, e dall’altro le “teste rotonde” (roundheads), milizie a servizio delle opposizioni parlamentari, identificate dal caratteristico taglio di capelli [ 7]. Al di là dell’aspetto militare, non è semplice identificare la composizione socio-politica dei due schieramenti perché non si trattò di alleanze omogenee e le differenze fra i vari contesti locali, urbani e rurali furono notevoli. Ciò nonostante, gli storici individuano schematicamente due grossi fronti:

  • sostenitori del re, composti da una minoranza filocattolica e dai notabili delle contee del Nord e dell’Ovest, caratterizzate da un’economia tradizionalista e statica, basata sulla rendita fondiaria;
  • difensori dei diritti del parlamento, favorevoli a un anglicanesimo radicale, appoggiati dalle contee del Sud e dell’Est e dai gruppi sociali più intraprendenti sul piano produttivo e commerciale.

Le spaccature si resero visibili anche nelle colonie nordamericane, spesso animate da simili motivazioni socio-economiche e religiose.

Cromwell e il New Model Army

I primi scontri furono favorevoli alla corona, ma le sorti del conflitto cambiarono con l’entrata in scena di Oliver Cromwell (1599-1658), un gentiluomo di campagna dell’Est, già membro del parlamento nel 1628 e nel 1640. Animato da un profondo fervore puritano, Cromwell era dotato di grande inclinazione per la strategia militare e riorganizzò l’esercito (il cosiddetto New Model Army) secondo principi nuovi soprattutto nella distribuzione delle cariche di responsabilità: mettendo da parte i diritti acquisiti per nascita diede priorità al talento e al merito conquistato sul campo. Un ruolo fondamentale nella nuova macchina bellica fu giocato proprio dal sentimento religioso, che in alcuni frangenti fu decisivo nell’ispirare l’azione di soldati disciplinati e vincenti perché convinti di combattere per una causa giusta.

Fra giugno e luglio 1645 le forze parlamentari ottennero importanti vittorie a Naseby e Langport, costringendo Carlo ad abbandonare i suoi propositi di controllo del paese [ 8]. Un anno più tardi dovettero cedere anche gli scozzesi, scesi in campo in appoggio al sovrano, che rimase di fatto senza possibilità di manovra. La gravità della situazione però non lo indusse ad arrendersi: tentò infatti di stringere accordi con fazioni e componenti del fronte nemico per cercare di spaccarlo. Non riuscì nel suo intento e rimase in una posizione di estrema debolezza.

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La difficile riorganizzazione dello Stato

I brillanti risultati ottenuti sul campo conferirono a Cromwell un crescente prestigio, che gli consentì di procedere a una riorganizzazione dell’intero sistema istituzionale inglese. Il fronte vincitore aveva però posizioni politiche e religiose disomogenee, perché la presenza di molti moderati convinti di dover conservare la monarchia era controbilanciata da forze radicali sempre più nutrite, poco disposte ad abbandonare gli slanci eversivi maturati durante la guerra civile. Fra il 1645 e il 1647 aveva assunto una fisionomia più definita il movimento dei Levellers (“livellatori”), composto da soldati, artigiani e contadini che si battevano per la sovranità popolare (con suffragio universale maschile, a eccezione di mendicanti e servi), per la cancellazione dei privilegi e la redistribuzione dei beni, per la separazione fra autorità secolari e religiose [▶ fenomeni, p. 538]. Ancora più estreme erano le posizioni dei Diggers (“zappatori”), che in segno di protesta cominciarono a lavorare le terre dei proprietari dichiarando nulli i titoli di possesso e chiesero di rendere elettive le cariche pubbliche.

Lo stesso parlamento era attraversato da posizioni forti e divergenti. La corrente presbiteriana premeva per l’abolizione dell’episcopato, intendendo riorganizzare la Chiesa anglicana secondo un sistema di consigli rigidamente gerarchizzati e unificati dalla professione della fede calvinista. I cosiddetti “indipendenti” invece sostenevano la necessità di attuare una politica di tolleranza nei confronti di varie confessioni religiose, fatta eccezione per quella cattolica.

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La centralità dell’esercito

Cromwell, schierato con gli indipendenti, si trovò paradossalmente a dover fronteggiare i fautori di quelle posizioni politico-religiose radicali che erano state forza propulsiva durante la guerra civile e che erano attecchite all’interno del suo stesso esercito. La gestione dell’armata fu difficile, soprattutto quando divenne chiaro che il parlamento – in maggioranza presbiteriano – era intenzionato a congedare i soldati o a mandarli a combattere contro i ribelli irlandesi. Nelle reazioni a questi progetti di dismissione emerse tutta l’intraprendenza del corpo militare. Per rivendicare i loro diritti, i vari reparti nominarono degli “agitatori”, incaricati anche di discutere con i vertici questioni cruciali, come la corresponsione delle paghe arretrate. Nel giugno del 1647 l’esercito occupò Londra riuscendo anche a porre il re sotto sequestro.

Pochi mesi più tardi, a ottobre, si svolse a Putney una serie dibattiti tra esponenti del New Model Army che sancì di fatto il ruolo preminente svolto dall’esercito sul piano politico. L’obiettivo era arrivare a una posizione organica, ma il nodo irrisolto rimase proprio quello del suffragio universale maschile, considerato troppo pericoloso per la stabilità delle gerarchie sociali esistenti.

  fenomeni

I Levellers

In Inghilterra il termine Levellers era già stato usato per i contestatori che, per difendere l’uso degli spazi comuni, abbattevano le recinzioni (enclosures) dei campi costruite dai latifondisti. Nell’estate del 1646 due uomini politici già noti per le loro pubblicazioni di ispirazione radicale, Richard Overton e William Walwyn, diedero inizio a un nuovo movimento con un documento intitolato Remonstrance of Many Thousand Citizens of England (“Rimostranza di molte migliaia di cittadini inglesi”). In esso si rivendicava l’uguaglianza di fronte alla legge di tutti gli individui e si accusavano, senza mezzi termini, il parlamento di usurpare la volontà popolare e i governanti e gli amministratori di essere insensibili nei confronti delle sofferenze dei poveri e degli affamati.

Lo stesso Cromwell, che aveva in pratica esautorato il re, si mostrò allarmato di fronte all’avanzamento di queste istanze estremiste, ritenendo che l’intera gerarchia sociale su cui si reggeva l’Inghilterra fosse messa pericolosamente in discussione, insieme ai privilegi nobiliari e al diritto di proprietà.

Le sue ansie erano fondate, visto che i livellatori – oltre a fare un massiccio uso della stampa per diffondere le loro idee – riuscirono a raccogliere un gran numero di adesioni alle loro rimostranze e petizioni, con un metodo assimilabile alle odierne raccolte di firme. Appartenevano in gran parte ai Levellers anche gli “agitatori” (agitators), gli esponenti più estremisti del New Model Army.

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Il parlamento e il processo al re

Carlo I Stuart riuscì a sottrarsi a suoi carcerieri grazie all’aiuto degli scozzesi e cercò di provocare una ripresa della guerra civile, ma le forze a sua disposizione si dimostrarono non all’altezza, andando incontro a una veloce sconfitta. Cromwell escluse alcuni moderati dal parlamento, per limitare la loro influenza. Il parlamento rimase quindi nelle mani di gruppi radicali, che affidarono a un’Alta commissione di giustizia il compito di imbastire un processo contro il re: per la prima volta in Europa un sovrano legittimo era sottoposto al giudizio di un tribunale regolarmente costituito con l’accusa di aver tradito i suoi sudditi e violato le leggi del suo regno [▶ FONTI]. Carlo fu condannato a morte e giustiziato il 30 gennaio del 1649.

Le reazioni all’evento furono contrastanti: sulla figura del re la stampa si divise fra toni celebrativi e denigratori, ricalcando in sostanza i contenuti propagandati da predicatori e oratori favorevoli o contrari. Ampi strati della popolazione urbana e rurale però cominciarono a considerarlo un martire che aveva affrontato il patibolo con dignità ed eroismo. Di fronte al consumarsi di un gesto tanto rivoluzionario quanto la condanna a morte di un sovrano, la società inglese conservò per gli anni successivi le profonde spaccature emerse con la guerra civile, oscillando fra irriverenza e attaccamento alla tradizione monarchica

17.5 ll protettorato di Cromwell

Il Commonwealth e il massacro degli insorti d’Irlanda

Fra febbraio e maggio del 1649 il sistema istituzionale inglese subì profondi cambiamenti: il Consiglio privato della corona fu sostituito da un Consiglio di Stato in mano ai militari, la Camera dei Lord fu soppressa così come la monarchia e nacque il ▶ Commonwealth, ovvero la Repubblica unita di Inghilterra, Scozia e Irlanda. Tuttavia le tensioni erano ben lontane dall’esaurirsi e i nodi più intricati da sciogliere rimanevano i conflitti fra moderati e correnti radicali, prima fra tutte quella dei Levellers. Cromwell cercò di gestire la transizione con un’abile politica metamorfica, fondata sul controllo di gruppi estremisti che lui stesso aveva alimentato e sfruttato, usandoli contro i moderati. Nell’apparente contraddittorietà della sua azione egli perseguì obiettivi precisi, come la salvaguardia della proprietà privata e l’affermazione della tolleranza religiosa.

Nel frattempo Carlo II Stuart, figlio del re giustiziato, era stato riconosciuto come nuovo titolare della corona in Scozia e in Irlanda, ma la fiera opposizione del parlamento inglese lo costrinse a rifugiarsi in esilio in Olanda. La piega estremista assunta dagli avvenimenti in Inghilterra spaventò i parlamenti irlandese e scozzese, che si schierarono con Carlo II contro la neonata repubblica. Nel pieno del conflitto politico-istituzionale, un ruolo cruciale fu giocato ancora una volta dall’esercito inglese, sempre attraversato da posizioni eversive che mettevano in pericolo qualsiasi forma di potere costituito. Ci furono diversi tentativi di ammutinamento, il più rilevante dei quali ebbe luogo a Burford – vicino a Oxford – nel maggio del 1649 e venne stroncato da una sanguinosa repressione.

Nei mesi successivi, Cromwell si mise di nuovo a capo delle armate inglesi per combattere contro gli insorti d’Irlanda, da lui reputati come pericolosi barbari. Lo scontro si trasformò in un massacro e il paese fu ridotto alla fame. Più di mezzo milione di cattolici irlandesi perse la vita (su una popolazione di circa 1 400 000 persone) e molte famiglie furono deportate o si videro confiscare le terre a beneficio dei coloni protestanti [ 9]. Anche sul fronte scozzese la campagna fu veloce e trionfale.

Tuttavia non bastò la forza delle armi a realizzare il suo progetto di coesione territoriale. Alle isole britanniche continuò a mancare l’omogeneità politico-religiosa necessaria alla formazione di uno Stato realmente unito. Lo stesso Galles – integrato alla corona ai tempi di Enrico VIII e sottoposto a un processo di uniformazione linguistico-culturale – conservava un profondo attaccamento alle sue tradizioni. L’accentramento perseguito con l’uso della forza finì per rafforzare la percezione del potere inglese come elemento estraneo alle dinamiche identitarie che si andavano consolidando, marcando le differenze più che i punti in comune.

FONTI

Il processo a Carlo I Stuart

L’ultima seduta del processo contro il re d’Inghilterra si svolse a Westminster il 27 gennaio del 1649. Quelle proposte di seguito sono alcune delle parole pronunciate dal presidente del tribunale e registrate nei verbali: il sovrano è accusato, insieme ai suoi sostenitori, di aver infranto le leggi del paese e di essersi arrogato il diritto di interpretarle, minando in tal modo le prerogative del parlamento, suprema corte di giustizia del paese.

Vi siete sempre vantato, e l’avete testimoniato dappertutto con i vostri discorsi, di non essere in alcun modo soggetto alle leggi e ch’esse non erano affatto sopra di voi. La Corte fa benissimo a stimare, signore, e voglio sperare che lo reputino anche tutti coloro di questa nazione che hanno il senso e il giudizio sani, che le leggi sono sopra di voi e che avreste dovuto governare conformemente alle leggi. Avreste dovuto farlo, signore, e so bene che pretendete di averlo fatto. Ma, signore, il grande dissidio è stato il sapere chi sono coloro che devono essere gli interpreti delle nostre leggi: se dobbiate essere voi e il vostro partito1, che è fuori delle Corti di giustizia2, a dover attribuire il potere di interpretarle, oppure se non sia ben più ragionevole e molto più giusto che le Corti di giustizia ne rimangano le interpreti, anzi, se tale non sia il diritto della sovrana e più alta Corte di giustizia che è il Parlamento d’Inghilterra, il quale non ne è soltanto il supremo interprete, ma anche il solo ad avere il diritto e il potere di farle. […]

L’affare, signore, al quale siamo ora intenti […] è stato ed è ancora presentemente d’esaminarvi e giudicarvi per tali grandi offese che avete commesso. Siete imputato, signore, d’essere un tiranno, un traditore, un assassino e il nemico pubblico dello Stato d’Inghilterra.


G. Garavaglia, Società e rivoluzione in Inghilterra. 1640-1689, Loescher, Torino 1978

Dalla repubblica alla dittatura

Sul fronte interno, il nuovo ordinamento dello Stato inglese faticò a trovare una dimensione definita. Il parlamento fu sciolto nel 1653 e fu sostituito da un’assemblea di 144 membri selezionati dai capi dell’esercito. Le correnti radicali rimanevano fortissime e ben rappresentate, mettendo a repentaglio la stabilità politica. L’apparente insanabilità dei contrasti tra le fazioni rese necessaria la stesura di una carta costituzionale che riconobbe a Oliver Cromwell il ruolo di Lord protettore del Commonwealth di Inghilterra, Scozia e Irlanda. A lui era riservato il compito di scegliere i membri del Consiglio di Stato e le sue preferenze andarono prevalentemente agli esponenti degli apparati militari. Le istituzioni repubblicane diventavano così un semplice strumento nelle mani di Cromwell [ 10].

Il potere centrale produsse tutti gli sforzi possibili per occupare lo spazio pubblico: la circolazione di scritti a stampa fu sottoposta a un rigido controllo e cominciò una capillare attività repressiva nei confronti della proliferazione di nuove sette religiose.

Ciò nonostante, le opposizioni non si placarono e fu soprattutto la gentry a manifestare la sua insofferenza per una pressione fiscale che soffocava le attività produttive. Infatti il sistema messo in piedi dopo la condanna a morte di Carlo assegnava una totale centralità alla guerra e il sostegno alle attività belliche derivava principalmente dalle imposte fondiarie e dalla tassazione dei beni di prima necessità.

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Espansionismo mercantile e colonialismo

In politica estera, Cromwell cercò di dare un forte impulso ai commerci, vera colonna portante del bilancio inglese. Nel settembre del 1651 il governo inglese promulgò l’Atto di Navigazione (Navigation Act), stabilendo regole rigide sulla circolazione dei prodotti. L’Inghilterra si riservava infatti l’esclusiva sugli scambi con le proprie colonie nordamericane, mentre suoi i porti privilegiarono il contatto diretto con altri empori escludendo le imbarcazioni che esercitavano forme di commercio di intermediazione. La decisione penalizzava soprattutto le Province Unite, che reagirono cercando di salvaguardare i loro interessi. In diverse occasioni lo scontro con l’Inghilterra fu condotto a viso aperto (tre guerre navali ebbero luogo negli anni 1652-54, 1665-67, 1672-74), ma le sorti arrisero quasi sempre alle forze britanniche. La flotta olandese, fino ad allora la più intraprendente e potente, dovette cedere il primato sui mari, segnando l’inizio di una parabola discendente.

Nel 1655 Cromwell entrò in guerra contro la Spagna, cercando di approfittare della debolezza di un paese già fiaccato dalla Guerra dei Trent’anni e dalla persistente concorrenza francese. Gli inglesi strapparono agli spagnoli il porto di Dunkerque sulla Manica e la Giamaica, che negli anni successivi sarebbe diventata uno snodo cruciale del commercio degli schiavi. I trattati commerciali stipulati con i paesi baltici furono, in sostanza, il suggello di una politica espansionistica che assunse tratti decisamente aggressivi.

17.6 La restaurazione Stuart e la Gloriosa rivoluzione

La fine del processo rivoluzionario 

Oliver Cromwell morì il 3 settembre del 1658, lasciando in eredità un’organizzazione politica priva di affidabili strutture istituzionali e troppo dipendente dalle sue capacità personali di comando, tanto che il figlio Richard tentò di succedergli, ma senza successo. Ancora una volta fu l’esercito a prendere il controllo dei destini del paese, con l’appoggio dei ceti possidenti interessati a ritrovare una forma di stabilità, anche per difendersi dal pericolo di interferenze di potenze straniere. Nel 1660, i reduci del Lungo parlamento si rassegnarono a richiamare il legittimo erede al trono, Carlo II Stuart (1660-85), che si impegnò a governare in collaborazione con i membri dell’assemblea [ 11]. Giungeva in tal modo a una parziale conclusione una fase di profondi cambiamenti, identificata dalla storiografia come “rivoluzione inglese” per i suoi risvolti eversivi verso l’istituzione monarchica.

Il ritorno al trono della dinastia regnante non deve però far pensare a un processo effimero. Le perturbazioni di questi decenni ebbero effetti durevoli sul paese perché furono alimentate da motivazioni molteplici, di carattere economico, politico e religioso. Sul piano delle istituzioni, da allora la monarchia fu costretta a confrontarsi con un parlamento che aveva acquisito una centralità duratura nella gestione della vita pubblica; esemplare a tale proposito fu la promulgazione dello Habeas Corpus Act (1679), una legge che garantiva l’inviolabilità della persona contro l’arbitrio dei tribunali [▶ FONTI]. L’universo religioso rimase variegato e segnato dalla convivenza fra Chiesa di Stato e minoranze confessionali. Sul piano sociale, l’intero corpo dei sudditi si trovò coinvolto in uno scambio di informazioni che si avvalse di giornali, libelli e altri materiali a stampa. Gruppi e individui vennero indotti a prendere posizione tra le diverse correnti in gioco, sviluppando nuove forme di partecipazione politica.

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Il ritorno della questione religiosa

Durante il primo decennio di regno, Carlo II poté contare su entrate più consistenti, derivanti anche dall’incremento delle attività commerciali e dei consumi. Sul piano politico invece la situazione non era altrettanto favorevole: il sovrano non aveva figli e successore designato era il fratello Giacomo, divenuto fervente cattolico e perciò inviso alle gerarchie protestanti. Nel 1679 venne presentata in parlamento una legge (Exclusion Bill) per escludere la possibilità che un cattolico salisse al trono, ma il re si difese sciogliendo l’assemblea prima dell’approvazione, cosa che fece anche negli anni successivi ogni volta che venne ripresentata.

Gli schieramenti politici

In una società dinamica e frammentata come quella inglese, le posizioni politiche in cui si identificavano i vari gruppi erano composite, tuttavia riguardo all’atteggiamento nei confronti del sovrano si polarizzarono due grandi schieramenti, i cui nomi entrarono nell’uso comune: 

  • tories, difensori della proprietà fondiaria, fautori del legittimismo monarchico e del protestantesimo ma aperti a un cauto dialogo con il cattolicesimo;
  • whigs, propugnatori dei diritti del parlamento, della tolleranza religiosa, degli interessi marittimi e coloniali e rappresentanti di un ampio fronte protestante, che andava ben oltre i limiti della Chiesa anglicana.
La Gloriosa rivoluzione

Negli anni Ottanta, l’influenza di Giacomo a corte si fece sempre più forte e si accompagnò a una decisa azione di rafforzamento del potere monarchico. Alla morte del fratello salì al trono con il nome di Giacomo II (1685-88); nello stesso anno gli nacque un figlio maschio, alimentando fra gli anglicani le paure di una restaurazione permanente di marca filopapale. Il parlamento era impossibilitato a opporsi e il sistema giudiziario, asservito ai bisogni della corona, coadiuvava l’opera di repressione del dissenso politico. Un ruolo centrale fu ancora una volta giocato dall’esercito, che venne rinfoltito e affidato al controllo di comandanti fedeli al re.

Queste politiche assolutistiche suscitarono una risoluta reazione nello schieramento dei whigs, cui si associarono ben presto anche i tories, superando le reciproche divergenze in nome del mantenimento degli arricchimenti ottenuti negli anni della guerra civile con l’acquisto delle terre espropriate. In una situazione di diffuso malcontento, essi chiesero aiuto allo statolder generale delle Province Unite, Guglielmo III d’Orange, che aveva sposato Maria Stuart, prima figlia di Giacomo II. Animato da ambizioni di potere e dotato di una salda fede protestante, Guglielmo decise di rompere gli indugi e nel novembre del 1688 organizzò una spedizione militare che costrinse rapidamente Giacomo a riparare in Francia. La presa del potere non fu però immediata e passò attraverso una fase di risistemazione normativa del potere monarchico. Prima dell’investitura regale il parlamento fece approvare a Guglielmo e a Maria un “documento dei diritti” (Bill of Rights, 1689) che limitava in maniera netta gli spazi di azione della corona sul piano legislativo, fiscale, giudiziario e militare [▶ FONTI, p. 546]. Si affermavano anche principi di tolleranza religiosa per coloro che non aderivano al rito anglicano, escludendo però ancora i cattolici.

Con quella che venne definita “Gloriosa rivoluzione”, perché avvenuta senza spargimenti di sangue, l’assemblea riconquistò la sua centralità nel controllo della vita del paese e pose un argine istituzionale all’ascesa dell’assolutismo, destinato ad avere effetti durevoli nei secoli successivi.

FONTI

Lo Habeas Corpus Act

La legge (Act) era in realtà la codifica di un principio presente nell’ordinamento inglese fin dal XII secolo, poi ribadito nella Magna Charta (1215) e nella Petition of Right (1628). La formula latina Habeas Corpus ad subjiciendum significa letteralmente “che tu abbia il corpo da portare in giudizio”. La norma, infatti, consentiva la presenza materiale dell’imputato davanti al giudice e tutelava contro le carcerazioni illegali o arbitrarie che, al tempo, potevano essere applicate dai molti organi locali con potere giudiziario, per i motivi più vari. Su richiesta dell’imputato o di un suo rappresentante, tali provvedimenti avrebbero dovuto d’ora in avanti essere approvati da un giudice imparziale, entro precisi limiti di tempo e sotto la minaccia di forti pene per i trasgressori. La presenza obbligatoria dell’imputato, inoltre, lo proteggeva anche contro eventuali violenze, visto che il giudice poteva constatarne personalmente lo stato di salute.

Poiché da parte di sceriffi, carcerieri e altri funzionari alla cui custodia sono affidati sudditi del re per fatti criminosi o supposti tali, vengono praticati grandi ritardi nell’eseguire rescritti1 di Habeas Corpus ad essi diretti, […] contrariamente al loro dovere e alle leggi ben note del paese, per la qual cosa molti sudditi del re sono stati e anche in futuro potranno essere a lungo trattenuti in prigione, in casi nei quali essi hanno diritto alla libertà provvisoria dietro cauzione2 […]; per impedire ciò, e per la più spedita liberazione di tutte le persone imprigionate per uno di questi fatti criminosi o supposti tali, sia sancito per legge [...] che ogni qualvolta una o più persone porteranno un Habeas Corpus indirizzato a uno sceriffo, carceriere, agente o a chiunque altro, nell’interesse di una persona in loro custodia, […] il detto funzionario […] entro tre giorni dalla consegna del rescritto […] (a meno che l’incarceramento predetto non sia per tradimento o fellonia3  […]), dietro pagamento o offerta delle spese di trasporto del prigioniero […] deve dare esecuzione a tale rescritto, e portare o far portare il corpo della parte [persona] così incarcerata o detenuta davanti al Lord Cancelliere o al Lord Guardasigilli d’Inghilterra allora in carica, oppure davanti ai giudici o baroni del tribunale che avrà emanato il detto rescritto […]; e allora [il funzionario] deve ugualmente specificare le ragioni della detenzione o carcerazione […].

E sia inoltre sancito per legge […] che se qualche funzionario […] trascurerà di eseguire gli adempimenti predetti, […] per la prima infrazione dovranno4 versare al prigioniero o alla parte danneggiata la somma di cento sterline; e per la seconda infrazione la somma di duecento sterline, e per questo fatto saranno e sono resi incapaci di coprire ed esercitare il predetto loro ufficio. […]

E per impedire ingiuste vessazioni per mezzo di ripetuti imprigionamenti per lo stesso delitto, sia sancito per legge [...] che nessuna persona che sia stata liberata o rilasciata a seguito di un Habeas Corpus, in nessun momento successivo potrà essere nuovamente imprigionata o detenuta per lo stesso delitto […].


R. Romeo, G. Talamo (a cura di), Documenti storici. II: L’età moderna, Loescher, Torino 1966

Storie. Il passato nel presente - volume 1
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