3.4 L’invenzione delle “crociate”

3.4 L’invenzione delle “crociate”

La guerra “giusta”

Abbiamo visto come, nell’XI secolo, la Chiesa, attraversata da conflitti e istanze di riforma, avvertisse la necessità di incanalare la latente violenza sociale ed elaborasse perciò una complessa dottrina sulla legittimità della guerra, applicando infine il concetto di “guerra giusta” alle campagne contro gli infedeli  [▶ cap. 2.7].

Episodi come la distruzione del Sepolcro di Gerusalemme, nel 1009, avevano suscitato grande sdegno nel mondo cristiano e avevano contribuito a connotare sul piano della fede incursioni militari originate da interessi materiali. A partire dal 1060 i riferimenti a un’etica della “guerra santa” si moltiplicarono. Nella penisola iberica le imprese militari condotte dai Regni di León e d’Aragona a danno dei domini musulmani furono giustificate dalle autorità religiose come la necessaria riconquista di territori originariamente cristiani: nel 1063 papa Alessandro II concesse ai cavalieri impegnati in Spagna la revoca delle penitenze e la remissione dei peccati; nel 1074 Gregorio VII annunciò una “ricompensa eterna” per chi combatteva gli infedeli, e nel 1089 Urbano II raccomandò la colonizzazione della città di Tarragona, a sud di Barcellona, come atto penitenziale.

Lo stesso processo accadde nell’ambito della conquista normanna della Sicilia islamica, tra il 1061 e il 1091. Ruggero d’Altavilla, che ne completò la conquista, fu investito dal pontefice Urbano II dell’autorità di ▶ legato apostolico, con facoltà di nominare i titolari delle sedi vescovili e il diritto di vestire l’abito ecclesiastico: una decisione di grandissimo valore politico e ideologico, che legittimava il nuovo potere normanno a contribuire in modo decisivo alla cristianizzazione dell’isola e che faceva della conquista una parte integrante dell’offensiva cristiana nel Mediterraneo contro i poteri musulmani.

L’appello di Urbano II

 Alla fine dell’XI secolo il conflitto con l’islam maturato alle frontiere dell’Europa cristiana, in Spagna e in Sicilia, si spostò verso i territori siriani e palestinesi. Al termine del Concilio di Clermont, in Francia, nel novembre 1095, papa Urbano II pronunciò infatti un famoso sermone [▶ FONTI] invitando i cavalieri cristiani a cessare le ostilità reciproche per muovere guerra contro gli infedeli. L’appello è tradizionalmente considerato come l’avvio delle “crociate”, un insieme di imprese militari svolte sotto il segno della croce che avrebbero a più riprese opposto gli eserciti cristiani provenienti dal cuore dell’Europa ai domini musulmani mediorientali.

L’appello di Urbano II aveva in primo luogo lo scopo di rafforzare l’egemonia politica e spirituale del papato in Europa. In secondo luogo, una guerra in Oriente poteva convogliare verso l’esterno della cristianità forze che rendevano instabile il quadro politico per ragioni demografiche, sociali ed economiche, trasformando un’aristocrazia militare corrotta e riottosa in una militia devota. Bisogna anche ricordare la richiesta degli ambasciatori bizantini, che durante il Concilio di Piacenza del 1095 avevano invocato l’aiuto degli occidentali contro l’avanzata dei turchi Selgiuchidi. Vi era infine l’obiettivo della riconquista di Gerusalemme. In realtà la città era caduta in mano musulmana ben 460 anni prima e le condizioni reali del pellegrinaggio in Palestina non erano mutate rispetto al passato: era mutata invece la conoscenza dell’Oriente, grazie a commerci, pellegrinaggi, servizi militari mercenari e corrispondenze diplomatiche. Inoltre, Gerusalemme non era una città qualsiasi, ma la metafora della città di Dio, il luogo spirituale per eccellenza della cristianità, e Urbano, cluniacense proveniente dai ranghi dell’aristocrazia, era sensibilissimo a questo richiamo ideale.

L’appello alla crociata si inseriva nel più ampio programma che riguardava l’organizzazione ecclesiastica, il primato pontificio, la lotta contro la simonia, il nicolaismo e le investiture laiche: i nodi della riforma della Chiesa, riformulati ora in modo propagandistico attraverso l’enfasi posta sui temi della penitenza, dell’imitazione della vita di Cristo, della guerra, del pellegrinaggio. La conquista della Terrasanta si configurava così come una guerra santa penitenziale, che garantiva cioè la remissione dei peccati per chi avesse partecipato all’impresa adottando il simbolo della croce.

FONTI

Il sermone di Urbano II a Clermont

Del discorso tenuto dal papa al Concilio di Clermont non ci sono resoconti ufficiali; anni più tardi, dopo il successo della spedizione, tre testimoni oculari – Fulcherio di Chartres, Roberto il Monaco e Guiberto di Nogent – lo trascrissero, ciascuno plasmando, retrospettivamente, la propria cronaca. Fulcherio, che giunse a Gerusalemme pochi mesi dopo la conquista della città, scrisse la versione forse più incisiva e acuta, tanto che divenne un modello di sermone “da crociata”. Eccone alcuni passaggi.

Poiché, o figli di Dio, a Lui avete promesso di osservare tra voi la pace e di custodire fedelmente i diritti della Chiesa con maggior decisione di quanto siate soliti, dovete ora impegnare la forza della vostra onestà […] in un altro servizio a vantaggio di Dio e vostro. È necessario infatti che vi affrettiate a soccorrere i vostri fratelli orientali, che hanno bisogno del vostro aiuto e lo hanno spesso richiesto. Infatti, i Turchi, gente che viene dalla Persia e che ormai ha moltiplicato le guerre occupando le terre cristiane sino ai confini della Romània1 uccidendo molti e rendendoli schiavi, rovinando le chiese, devastando il regno di Dio, sono giunti fino al Mediterraneo […]. Se rimarrete inerti e li lascerete agire ancora per un poco, ancor di più avanzeranno e opprimeranno il popolo di Dio. Per la qual cosa insistentemente vi esorto […] affinché voi persuadiate […], tutti, di qualunque ordine (cavalieri e fanti, ricchi e poveri), affinché accorrano subito in aiuto ai cristiani per spazzare dalle nostre terre quella stirpe malvagia. Per tutti quelli che partiranno, se incontreranno la morte in viaggio o durante la traversata o in battaglia contro gli infedeli, vi sarà l’immediata remissione dei peccati: ciò io accordo ai partenti per l’autorità che Dio mi concede.

[…] Si affrettino alla battaglia contro gli infedeli, che avrebbe già dovuto incominciare ed esser portata felicemente a termine, coloro che prima erano soliti combattere illecitamente contro altri cristiani le loro guerre private! Diventino cavalieri di Cristo, quelli che fino a ieri sono stati briganti! Combattano contro i barbari, e stavolta a buon diritto, coloro che prima combattevano contro i fratelli e i consanguinei! Conseguano un premio eterno, coloro che sono stati mercenari per pochi soldi! Quelli che si stancavano danneggiandosi anima e corpo, s’impegnino ora per la salute di entrambi! Coloro che sono qui tristi e poveri, là saranno infatti lieti e ricchi; quelli che sono qui avversari del Signore, là Gli saranno amici. Né indugino a muoversi: ma, passato quest’inverno, cedano in fitto2 i propri beni per procurarsi il necessario al viaggio e si mettano risolutamente in cammino al seguito di Dio.


Fulcherio di Chartres, Historia Iherosolymitana, in Recueil des Historiens des Croisades. Historiens Occidentaux, III, Parigi 1866; traduzione di F. Cardini (adattata)

I primi eserciti crociati

In risposta all’appello papale, il reclutamento di forze militari per la spedizione in Oriente fu formidabile. L’emulazione, il ruolo attivo delle corti signorili, la prospettiva di un profitto materiale (terre e bottini), inscindibile da quello spirituale del perdono dei peccati e della ricerca della salvezza, il passaparola favorito da una predicazione itinerante impregnata di spirito apocalittico e visionario quale quella di Pietro d’Amiens detto l’Eremita, trovarono terreno fertile in società già predisposte ad accettare il concetto di violenza meritoria e senza colpa proposto da Roma.

Una prima ondata di crociati, divisa in vari tronconi al comando di Pietro l’Eremita e del suo seguito, si radunò nel 1096 in alcune località della Lorena e della Renania, giungendo a Costantinopoli in estate, dopo aver seminato paura e preoccupazione fra le comunità ebraiche tedesche e, al momento del passaggio nei Balcani, anche fra le autorità bizantine: in preda all’indisciplina e alla confusione tra i vari comandi, questi primi gruppi di soldati attuarono infatti una sistematica strategia di saccheggio. Questo comportamento fu la causa stessa della distruzione dei primi eserciti crociati: uno fu annientato presso Nicea dai Selgiuchidi, un altro dagli ungheresi, in risposta alle ripetute violenze dei crociati.

Le varie schiere che composero la seconda ondata di truppe crociate giunsero a fine 1096 a Costantinopoli, attraverso i Balcani e l’Italia [ 8]. Al comando, questa volta, c’erano alcuni aristocratici di medio e alto rango, fra cui Ugo di Vermandois, fratello del re francese Filippo I, Goffredo di Buglione duca della Bassa Lorena, Raimondo conte di Tolosa, Roberto duca di Normandia, Stefano conte di Blois, Roberto II conte di Fiandra, Tancredi d’Altavilla e il figlio di Roberto il Guiscardo, Boemondo.

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Le prime fasi della guerra

Pur senza un comando unificato o una coerente strategia politico-militare, nei primi due anni gli eserciti occidentali consolidarono le proprie posizioni e avanzarono fino alla conquista di Antiochia. Il lungo assedio della città durò dall’ottobre 1097 al giugno 1098 e costituì un punto di svolta della crociata, sia perché si inserì nel conflitto tra Selgiuchidi e Fatimidi egiziani (frustrando i piani turchi di ristabilire la propria autorità sulla regione e permettendo ai Fatimidi di conquistare Gerusalemme nel settembre 1098), sia perché la conquista di Antiochia ebbe pesanti ripercussioni sui rapporti fra eserciti occidentali e Impero bizantino.

Le armate imperiali, infatti, si ritirarono al sopraggiungere di un grande esercito turco in aiuto della città, ritenendo oramai sfumata l’occasione e desiderando preservare le forze per difendere l’Anatolia da un possibile attacco. I capi militari occidentali, che avevano giurato all’imperatore bizantino di combattere per la riconquista dei suoi territori, si sentirono traditi. Riuscirono comunque a concludere l’assedio, prendendo Antiochia, e successivamente sbaragliarono anche le forze turche venute in soccorso.

Le condizioni gravissime in cui si trovarono i crociati alimentarono inoltre, nella loro psicologia, una potente visione mistica e trascendente degli eventi che stavano accadendo: le visioni, i miracoli, l’uso delle reliquie permisero di imporre una rigida disciplina alla massa di pellegrini e soldati e segnarono la seconda fase della campagna.

La presa di Gerusalemme

Boemondo, dopo duri contrasti, rivendicò per sé il controllo di Antiochia, costringendo in pratica Raimondo di Tolosa e altri capi crociati, tra cui Goffredo di Buglione, a proseguire la spedizione verso Gerusalemme con truppe ridotte. I Fatimidi egiziani intavolarono trattative per scongiurare il pericolo di un attacco, e probabilmente gli occidentali avrebbero accettato un accordo che concedesse loro parte della Palestina e il controllo di Gerusalemme, ma gli egiziani erano disposti solo a concedere l’ingresso nella Città Santa ai pellegrini disarmati. L’offerta fu ritenuta inaccettabile e l’esercito cristiano proseguì la sua marcia.

Nel giugno 1099 i soldati che avevano lasciato Antiochia giunsero sotto le mura di Gerusalemme. Il 13 luglio i contingenti di Raimondo di TolosaGoffredo di BuglioneTancredi d’Altavilla e dei duchi di Normandia e Fiandra lanciarono l’assalto finale, durato due giorni: il 15 il contingente normanno-lorenese riuscì a spezzare le difese, mentre sul lato meridionale i provenzali inseguirono la guarnigione sino alla cittadella, che poco dopo si arrese. I vincitori si abbandonarono a un massacro che fu devastante sia sul piano materiale sia su quello simbolico [▶ FONTI]. Gli ebrei furono bruciati nella loro sinagoga, i prigionieri musulmani furono trucidati a sangue freddo nella moschea di al-Aqsa; cataste di cadaveri di uomini, donne e bambini ingombravano le strade e furono bruciate fuori delle mura della città in enormi pire, su cui trovarono la morte anche coloro che, sopravvissuti, erano stati obbligati a trasportarle: fu «una raggelante eco premonitrice di più moderne pratiche di genocidio», ha scritto lo storico delle crociate Christopher Tyerman.

La spedizione non terminò con la conquista della Città Santa. Nei giorni successivi, in un clima di contrasti tra fazioni, Goffredo di Buglione fu eletto reggente  (advocatusdi Gerusalemme, e il normanno Arnolfo patriarca. Le divisioni fra i capi cristiani furono temporaneamente ricomposte quando dovettero affrontare un esercito egiziano presso l’importante piazzaforte di Ascalona, il 12 agosto. La vittoria sulle truppe fatimidi fu ricca di bottino, ma nuovi attriti tra i comandanti impedirono la presa della città, che continuò ancora per un cinquantennio a costituire una pericolosa spina nel fianco per il nuovo Stato crociato. La battaglia di Ascalona concluse la campagna iniziata due anni prima a Costantinopoli, senza che il suo ideatore, Urbano II, potesse essere informato del suo successo (morì infatti il 29 luglio del 1099).

Per consuetudine si individuano otto crociate rivolte alla conquista della Terrasanta [▶ fenomeni, p. 108] , sebbene, tra il XIII e il XIV secolo, l’istituto della crociata abbia allargato i suoi orizzonti comprendendo azioni militari contro eretici, pagani sulle coste baltiche, avversari politici del papato. L’idea di crociata sopravvisse a lungo: per esempio, la Lega santa che sconfisse i turchi a Lepanto nel 1571 fu approvata con una bolla di crociata da papa Pio V.

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FONTI

L’assedio di Gerusalemme

Saccheggi e stragi, che pure erano la norma in ogni guerra, impressionarono anche i più incalliti veterani. Le loro testimonianze ricordano che la zona dei massacri, il monte del Tempio (al-Haram al-Sharif, sito della moschea di al-Aqsa e del santuario della Cupola della Roccia, che i cristiani identificavano con il tempio di Salomone), “ribolliva di sangue”, e il cronista Raimondo di Aguilers descrisse cavalieri cristiani dinanzi alla moschea di al-Aqsa immersi nel sangue fino alle ginocchia.


Lì dunque vi fu tale strage, che i nostri avanzavano nel sangue sino alle caviglie […]. Riuniti in quel luogo [il tempio di Salomone], resistettero strenuamente ai nostri per tutto il giorno, finché il loro sangue non ruscellò per tutto il tempio.


Gesta Francorum et aliorum Hierosolimitanorum, in R. Hill, R.A.B. Mynors (a cura di), Oxford Medieval Texts, Londra 1962


I Saraceni vivi trascinavano i morti dinanzi alle porte, e ne facevano mucchi come fossero case. Nessuno aveva mai udito o visto tanta strage di pagani: le cataste dei loro cadaveri erano ammassate come a formare delle torri, e nessuno conosce il loro numero, se non Dio.


Gesta Francorum et aliorum Hierosolimitanorum, cit.


Si vedevano per le strade e le piazze della città ammassi di teste, mani e piedi mozzati. Si procedeva tra i cadaveri di uomini e cavalli. Ma quel che abbiamo detto sino a questo momento è ancora poco. Giungiamo così al tempio di Salomone […]. Nel tempio e nel portico di Salomone si cavalcava con il sangue alle ginocchia, e sino al morso dei cavalli. Questo fu naturalmente per grazia di un giusto giudizio, come se il luogo stesso, che aveva dovuto sopportare tanto a lungo le loro parole blasfeme, avesse cavato loro il sangue.


Le “Liber” di Raymond d’Aguilers, in J.H. Hill, L.L. Hill (a cura di), Documents relatifs à l’histoire des croisades, XII, Parigi 1977

Storie. Il passato nel presente - volume 1
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Dal 1000 al 1715