Contesti d’arte - volume 2

Il soggiorno a Padova

Dalla fine del 1443 sino agli inizi del 1454 Donatello si trasferisce a Padova: il suo soggiorno riveste un’importanza cruciale per gli sviluppi dell’arte nell’Italia settentrionale e per la diffusione del linguaggio del Rinascimento.

Monumento equestre al Gattamelata 

Nella città veneta egli lavora prima di tutto al Monumento equestre di Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, condottiero dell’esercito veneziano, morto nel gennaio del 1443 (51). II monumento bronzeo, commissionato probabilmente subito dopo la scomparsa del comandante, dovette essere fuso a cera persa a cominciare dal 1447, ma fu installato solo nel 1453, al termine del lungo lavoro di rinettatura: con quest’ultimo termine si intendono le lunghe operazioni di rifinitura del bronzo, ossia la levigazione delle superfici (raspinatura) e la rifinitura dei dettagli (cesellatura). Con questo eccezionale monumento equestre Donatello si pone a confronto con i capolavori dell’antichità: dall’epoca della caduta dell’Impero romano, nessun’altra scultura aveva richiesto un impegno di così alto livello, anche in considerazione delle eccezionali dimensioni. Benché sia evidente il rimando agli esempi superstiti della Roma antica, in primo luogo al Marco Aurelio a cavallo, che Donatello aveva sicuramente visto a Roma, la classicità è reinterpretata secondo la nuova, moderna, arte del Rinascimento. Il cavallo sembra in procinto di muoversi dal suo piedistallo, in un solenne e perpetuo avanzare; il volto dell’uomo, fisso e concentrato, guarda lontano all’orizzonte: non è un ritratto naturalistico, ma una composizione idealizzata ispirata ai modelli dei condottieri romani. Si tratta di un monumento più celebrativo che commemorativo: il basamento infatti, anche se ricorda la forma di una tomba, non contenne mai il corpo del Gattamelata. Il condottiero, uomo unico per coraggio e forza, è così celebrato per le sue azioni e la sua vita, secondo una perfetta realizzazione dello spirito rinascimentale.

CONFRONTI E INFLUENZE

Rispetto al Monumento equestre al Gattamelata, costruito su una geometria più “pulita” e rigorosa evidentemente derivante dal rigore fiorentino del disegno prospettico, la Statua equestre di Marco Aurelio è pervasa da un chiaroscuro vibrante e da un carattere quasi “pittorico” nel trattamento delle superfici. Alla luce che si infrange nelle mille pieghe della veste dell’imperatore, così come nei suoi riccioli e nella sua barba, si contrappongono nel monumento donatelliano le lisce volumetrie dell’armatura, della testa del condottiero e dei muscoli posteriori del cavallo. Sebbene non manchino le notazioni naturalistiche (si notino per esempio le pieghe epidermiche della zampa sollevata del cavallo o i molti particolari dell’equipaggiamento del condottiero), esso ha indubbiamente un carattere più idealizzato, severo ed eroico.

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Le opere per la Basilica di Sant'Antonio 

Subito dopo l’arrivo a Padova, tra il 1444 e il 1447, l’artista realizzò anche un Crocifisso di bronzo per la Basilica di Sant’Antonio (52). Ancora presente, come per il monumento al Gattamelata, è l’ispirazione classica, ma lontani sono i modelli della bellezza ideale: sulla croce è raffigurato un corpo vero e nudo, con i muscoli contratti dallo sforzo, il volto elegante, ma addolorato. Se confrontato con il crocifisso giovanile ( pp. 60-61), appare evidente come la lezione dell'Antico e dell'arte classica abbia insegnato a Donatello a rendere più composto e insieme più eroico il dolore.
Intorno al 1447, l'artista accetta anche una seconda commissione di grandissimo impegno: l'esecuzione dell'altare maggiore sempre per il Santuario di Sant'Antonio, che portò a termine nel 1450. Il complesso bronzeo fu smembrato nel XVI secolo, ma di esso restano le sette statue a grandezza di poco inferiore al vero e i numerosi rilievi. Questi ultimi, considerati uno dei capolavori assoluti dello scultore fiorentino, sono cesellati con estrema cura di ogni minimo particolare e continuano la sperimentazione sullo studio dello spazio e della tridimensionalità già iniziato con il San Giorgio e il drago e il Convito di Erode.
Il complesso originale dell'Altare del Santo  è stato smembrato nel XVI secolo e si hanno poche certezze sulla disposizione dei rilievi, che sono stati ricomposti solo alla fine dell'Ottocento. Quello con la Deposizione di Cristo (53) nel sepolcro doveva occupare la parte centrale del retro dell'altare ed è l'unico non realizzato in bronzo ma in pietra, con le figure però colorate di scuro per accordarsi agli altri rilievi.
In una scena concitatissima che deriva probabilmente da rilievi antichi, un gruppo di uomini sta deponendo nel sepolcro Cristo, avvolto nel sudario. Accompagnano la scena quattro donne dalle espressioni esasperate, che urlano e si strappano i capelli: i personaggi vanno così a riempire, con i loro movimenti divergenti, evidenziati dalle diagonali delle braccia, tutta la parte superiore della composizione, che contrasta fortemente con la monumentalità del sepolcro, in basso, decorato da incrostazioni marmoree.
Un altro del rilievi più interessanti dell' altare illustra un episodio avvenuto a Rimini, il Miracolo della mula  (54). Sant'Antonio fu sfidato dall'eretico Bonovillo che tenne per tre giorni una mula senza mangiare. Al termine del digiuno, l'animale avrebbe dovuto scegliere tra la biada del suo padrone e l'ostia consacrata del santo. La scena, in cui l'animale si inginocchia miracolosamente ai piedi di sant'Antonio che gli sta offrendo l'ostia, tra due ali di folla stupite, presenta un mirabile impianto prospettico suggerito dalle tre immense e solenni arcate sullo sfondo, realizzato sfruttando un rilievo bassissimo e stiacciato: il risultato di profondità spaziale trova l'unico confronto possibile con la Trinità di Masaccio per la Basilica di Santa Maria Novella. La doratura dei dettagli, che crea minuscoli punti di luce sullo sfondo, doveva dar luogo a un magico gioco di bagliori alla luce delle candele e contribuire a ravvivare l'animazione concitata dei personaggi che assistono alla scena. 

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Il ritorno a Firenze

Maddalena 

Tornato a Firenze dopo il 1453, Donatello intagliò in legno policromo e parzialmente dorato la vibrante Maddalena per il Battistero fiorentino: la statua, di radicale novità, suscitò da subito scalpore e ammirazione (55).
Consumata dai digiuni e dall’astinenza, la Maddalena è rappresentata negli anni della vecchiaia, quando, secondo la tradizione narrata dalla Legenda Aurea, vagava senza sosta nelle foreste del Sud della Francia; la donna, un tempo famosa per la sua bellezza, viveva nuda, con i capelli sempre più lunghi che le coprivano il corpo emaciato e sofferente. Nella sua straordinaria raffigurazione, Donatello fa a meno di quasi tutti gli attributi iconografici tradizionali, come il vasetto di unguenti, alla ricerca di un’essenzialità che è sia formale, sia figurativa. L'esile figura è rappresentata in piedi, con la testa leggermente inclinata verso sinistra. Il volto è scavato, gli occhi sono infossati nelle orbite, la magrezza rivela muscoli e tendini a fior di pelle. I lunghissimi capelli, ispidi e incollati al corpo, sono intrecciati intorno ai fianchi come una cintura. Le mani sono quasi giunte, in segno di preghiera, ma non arrivano a toccarsi, come se anche il movimento appena accennato fosse bloccato dallo sforzo. La bocca dischiusa lascia intravedere i denti, lo sguardo è fisso e attonito, quasi allucinato. 
Capolavoro di un naturalismo privo di idealizzazioni, la Maddalena segnò una fase radicalmente nuova nell’arte di Donatello, di cui già si potevano leggere le premesse nel rilievo con la Deposizione: il classicismo è superato e rifiutato in senso espressionistico, ogni bellezza fisica è negata in direzione di un violento patetismo. L’artista ormai anziano rafforza l’effetto naturalistico e la sua Maddalena si fa "anticlassica". In questo senso va anche la scelta del materiale: rispetto al marmo, il legno non permette infatti morbide sfumature, ma è il materiale migliore per rendere la pelle avvizzita e il volto scavato della prostituta redenta.

Il ruolo di Donatello nel primo Rinascimento

In conclusione, possiamo dire che l’autentica svolta del primo Rinascimento, iniziata con Brunelleschi in architettura, è attuata nel campo figurativo grazie all’attività di Donatello e di Masaccio: entrambi mirarono alla costruzione di uno spazio reale e misurabile entro il quale far agire e pensare i loro personaggi. L’eccezionale lunghezza della carriera di Donatello, soprattutto al confronto con la breve esperienza di Masaccio, ne fa forse il più grande artista fiorentino del XV secolo.

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CONFRONTI E INFLUENZE

Popolarmente noto come “lo zuccone”, l’ Abacuc è stato realizzato tra il 1427 e il 1436 e poi collocato in una delle nicchie del terzo ordine del campanile di Giotto (fino a quando non è stato sostituito da una copia e spostato nel Museo dell’Opera del Duomo). Questa scultura ci dimostra come sin dalla sua prima maturità sia insito nel linguaggio di Donatello quel crudo verismo dai tratti decisamente espressionistici che troverà poi la sua massima incarnazione nella Maddalena. Molti sono infatti i punti in comune tra quest’ultima e l’Abacuc. Le pesanti pieghe del manto del profeta generano profonde zone d’ombra e accentuano, per contrasto, l’esilità di un corpo ormai consunto dal tempo. Completamente privo di qualsiasi idealizzazione, il suo volto è scavato e solcato da rughe, mentre la sua pelle, ormai priva di tono, lascia intravedere la struttura del cranio. Gli occhi, infossati in orbite profonde, la bocca sottile, tirata e socchiusa, le braccia magre, ossute, con i tendini in vista, donano alla figura una carica espressiva di rara potenza.

GUIDA ALLO STUDIO
Donatello
  • Uno dei padri fondatori del Rinascimento. Orafo e scultore
  • Rinnova la scultura abbandonando le tradizioni tardogotiche
  • Grande espressività
  • Estremo naturalismo
  • Uso dello “stiacciato” per conferire senso prospettico allo sfondo

Contesti d’arte - volume 2
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò