Contesti d’arte - volume 2

Il tributo 

L’episodio più celebre della decorazione è a buon diritto II tributo (34), concordemente attribuito a Masaccio. L’immagine, che ha scarsi precedenti nell’iconografia cristiana, illustra puntualmente il Vangelo di Matteo (XVII, 24-27) che narra di un gabelliere dell’Impero romano, che richiese a Gesù e agli apostoli un tributo per accedere alla città di Cafarnao. Dato che gli apostoli non possedevano denari, Gesù inviò Pietro sulle rive del lago di Tiberiade, dove un pesce serbava in bocca i denari necessari. Probabilmente l’episodio vuole alludere anche a una clamorosa vicenda della politica economica fiorentina di quegli anni: l’istituzione nel 1427, dopo un lungo dibattito, a cui prese parte anche Felice Brancacci, di una tassa sui beni dei cittadini denominata Catasto. Così come Cristo riconoscendo l’autorità del gabelliere accetta di pagare la gabella per entrare in città, i fiorentini sono idealmente invitati a pagare le tasse allo Stato.
Masaccio suddivide la narrazione in tre momenti ben distinti tra loro: al centro la richiesta del tributo e l’immediata indicazione di Gesù a Pietro su come procurarsi il denaro; sulla sinistra la scena indimenticabile di Pietro che, accovacciato sulla riva del lago, è occupato a estrarre la moneta dalla bocca del pesce; la consegna del denaro all’esattore sulla destra. La scena è impostata secondo una rigorosa prospettiva lineare (35). Oltre che un’unificazione spaziale che fonde insieme i tre momenti della storia, è presente anche una precisa unificazione luminosa: la luce della scena proviene da destra (dove si trova effettivamente la finestra della cappella) e determina la coerente inclinazione delle ombre che si allungano sul terreno, con un effetto di grande realismo. I colori brillanti sono stati riscoperti grazie al restauro conclusosi nel 1990, che ha permesso di ripulire le pareti annerite da un incendio nel 1771.

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La guarigione dello storpio e La resurrezione di Tabita

Di fronte al Tributo si dispiega la vasta scena dipinta da Masolino con La guarigione dello storpio e La resurrezione di Tabita (36), due episodi distinti accaduti in luoghi diversi – a Gerusalemme il primo e a Joppe (l’odierna Giaffa) il secondo – riferiti negli Atti degli Apostoli, che il pittore ambienta sinteticamente in un unico luogo. Lo sfondo della raffigurazione coincide con una piazza fiorentina del tempo ed è ricchissimo di gustosi particolari descrittivi: i vasi sui davanzali delle finestre, il bucato steso, le due scimmie legate che si vedono sui cornicioni, i personaggi che rincasano o passeggiano tranquillamente.

La distribuzione dei beni e La morte di Anania 

La narrazione prosegue nel registro inferiore, sulla parete di fondo a destra della finestra, con La distribuzione dei beni e La morte di Anania (37). La composizione della scena, le larghe campiture cromatiche delle vesti e degli splendidi caseggiati, l’indimenticabile veduta di paesaggio in lontananza sono tra i capolavori di Masaccio. La storia sintetizza un brano di notevole drammaticità, cui allude il corpo di Anania ai piedi di san Pietro. Anania e la moglie Saffira vendettero un podere e offrirono agli apostoli parte del ricavato, dicendo però che si trattava dell’intera somma. San Pietro rimproverò il vecchio con parole terribili non tanto per aver mentito agli apostoli, bensì allo Spirito Santo, e quindi a Dio, che tramite loro parlava e operava. Subito dopo aver udito queste parole Anania cadde a terra morto. Accanto alla scena centrale, gli apostoli ridistribuiscono il denaro offerto dai primi membri della comunità cristiana.
Il restauro ha consentito di appurare che il rispettoso intervento "critico" condotto da Filippino Lippi ha riguardato anche questa scena; esso consistette nel rifacimento di tutta la figura di san Giovanni all’estrema destra con l’esclusione della testa, e le mani di Anania. Il particolare è interessante perché sembrerebbe indurre a credere che l’intervento di Filippino fosse, oltre che di completamento delle parti non dipinte, anche di ripristino di quelle danneggiate o scomparse per motivi a noi sconosciuti.

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San Pietro che risana con la propria ombra 

Anche la scena con San Pietro che risana con la propria ombra, nello spazio a sinistra della finestra, è riconosciuta come masaccesca (38). Non si può fare a meno di definire come "moderna" la visione del paesaggio urbano delineata da Masaccio che, liberatosi per la prima volta da qualunque legame simbolico, traduce con identica chiarezza prospettica il palazzo gentilizio con i conci perfettamente squadrati, le case del popolo e la basilica in marmo bianco sullo sfondo, della cui facciata s’intravede una bellissima colonna con capitello corinzio. Non sono mancati i tentativi di identificare i personaggi presenti in questa scena, che al pari di tutti quelli raffigurati nei dipinti di Masaccio appaiono essere dei veri ritratti.

Le integrazioni di Filippino Lippi

La scena successiva, dipinta integralmente da Filippino Lippi, è San Paolo visita san Pietro in carcere (39), secondo quanto narrato nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (1228/1230-1298).

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La resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra 

Il vasto rettangolo che Include le due scene costituisce probabilmente al tempo stesso il brano più conosciuto e più problematico dell’intera decorazione. La raffigurazione è desunta dal testo della Legenda Aurea (XLIV, La cattedra di san Pietro) e narra la resurrezione miracolosa del figlio di Teofilo, prefetto di Antiochia, che era morto da quattordici anni, operata da san Pietro, liberato appositamente dal carcere su intercessione di san Paolo. L’episodio occupa due terzi della scena, mentre l’estremità destra accoglie la solenne e mistica raffigurazione di San Pietro in cattedra (40). Già i cronisti antichi attribuivano a Filippino Lippi il completamento della scena: l’ipotesi più probabile resta quella secondo cui la scena era rimasta incompiuta per la partenza di Masaccio alla volta di Roma nella primavera del 1428 circa, dove sarebbe morto precocemente di lì a poco.
Fra i molti personaggi ritratti nella scena è stata proposta l’identificazione di alcuni protagonisti della vita politico-religiosa del tempo, ma anche degli stessi artefici della decorazione. Il rigore prospettico della casa di Teofilo e della loggia sotto la quale è seduto san Pietro, le figure stupende dei carmelitani (41) e molti altri particolari fanno di questo dipinto uno degli esemplari paradigmatici della pittura italiana del primo Rinascimento.
La narrazione si conclude con La liberazione di san Pietro dal carcere sul pilastro destro dell'arco d'ingresso e con la grande scena che riunisce i due episodi della Disputa di san Paolo con Simon Mago e La crocifissione di san Pietro, opera di Filippino Lippi. In realtà il ciclo originario terminava con la scena della Crocifissione di san Pietro affrescata sulla parete dell'altare, andata distrutta, ma della quale sono stati recuperati nel 1984 due piccoli, luminosissimi particolari, attribuiti plausibilmente a Masaccio. Due piccoli tondi con due teste di giovani (42-43), recuperati invece negli sguanci del finestrone gotico, sembrerebbero spettare a Masolino a ulteriore conferma del rapporto collaborativo stretto e paritario che dovette caratterizzare il lavoro di Masolino e Masaccio all'interno della cappella. 
GUIDA ALLO STUDIO
Masaccio
  • Iniziatore della pittura rinascimentale
  • Innovatore in campo pittorico
  • Colori vivaci
  • Volumetria e plasticità delle figure
  • Applicazione rigorosa delle regole prospettiche
  • Rifiuto degli eccessi decorativi
  • Collabora con Masolino nella decorazione della Cappella Brancacci

Contesti d’arte - volume 2
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò