ANALISI D'OPERA - Francesco Borromini, Sant’Ivo alla Sapienza

Analisi D'opera

Francesco Borromini

Sant’Ivo alla Sapienza

  • 1632-1660
  • Roma


Il Palazzo della Sapienza a Roma, presso il quale si trova la Chiesa di Sant'Ivo, è così chiamato perché a partire dalla metà del Quattrocento, e fino al 1935, è stato la sede dell’Università. L’edificio attuale era stato completato dall’erede di Michelangelo, l'architetto Giacomo della Porta (1532-1602). La sua struttura è composta da quattro corpi edilizi che si affacciano mediante loggiati sovrapposti su un cortile dal marcato sviluppo longitudinale, con uno dei lati corti caratterizzato dalla presenza di un'esedra, progettata nel XVI secolo. Su questo lato Borromini inizia a progettare, a partire dal 1632, la Chiesa di Sant'Ivo, su commissione di Urbano VIII.

Descrizione

L'edificio è concepito dal grande architetto come una sorta di cappella di palazzo. Borromini prevede così una prodigiosa facciata concava nella parte inferiore e convessa in quella superiore che sembra animare lo spazio e proiettare la sua energia incontenibile sia verso la cupola sia verso l'interno. Pur essendo di dimensioni relativamente piccole, la Chiesa di Sant'Ivo racchiude più di ogni altro edificio di Borromini l'idea dell'infinito che è forzato a contenersi nell'inevitabile finitezza della forma, una caratteristica fondamentale dell'arte barocca.
La novità maggiore della concezione di Borromini consiste nell'annullamento della gerarchia spaziale fra la parte centrale e le parti accessorie, tipica del Rinascimento, a favore di una piena unitarietà verticale dell'edificio. All'interno le paraste si piegano a segnare il profilo della pianta, sostenendo tutte un'unica trabeazione. Su questa membratura si imposta la volta di copertura, serrata in un tiburio (particolare copertura di alcune cupole).
Questa struttura, che insieme nasconde e svela la cupola, è configurata come un organismo polilobato, su cui si alza una sorta di calotta disposta a gradini: essa ci appare quasi come una scala che sale a sua volta, conclusa dal cosiddetto lanternino (la cima della cupola, simile a un'edicola). La struttura si avvita così letteralmente nello spazio con una terminazione elicoidale, grazie a colonne binate aggettanti: lo spettatore ha la sensazione di un moto ascendente che svanisce nel cielo senza chiusura, proiettato verso la volta celeste di cui sembra fare parte con un possente effetto visivo.
Un fervore mai visto e un dinamismo intrinseco alla forma caratterizzano quest'opera di Borromini, la cui idea di architettura "contamina" il linguaggio classicista con elementi ellenistici e motivi della cultura tardoantica, frammenti preziosi che l'artista ricompone in una visionarietà totalmente moderna e insieme memore delle esperienze milanesi: la cupola non poteva che sembrare radicalmente nuova e insieme troppo "gotica" e impossibile da imitare in un panorama romano in cui il modello dominante era ancora la grande cupola emisferica di San Pietro.

Contesti d’arte - volume 2
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò