La pittura e i mosaici

14.9 La pittura e i mosaici

La pittura monumentale

Le pareti delle chiese romaniche, che oggi appaiono spoglie, erano spesso ricoperte di affreschi, di cui resta solo una piccola parte anche perché nel corso del XIX secolo, sulla base dell’idea erronea che l’architettura romanica fosse severa e priva di colori, molte pitture murali sono state scialbate (cioè imbiancate) o distrutte per riportare alla luce i nudi blocchi di pietra sottostanti. In realtà, è ormai accertato che l’architettura romanica faceva largo uso di decorazioni pittoriche. D’altra parte i vasti ambienti degli edifici, dotati di aperture relativamente piccole, con finestre talvolta strette come feritoie e pochissime vetrate (al massimo un rosone sulla facciata), lasciavano a disposizione dei pittori ampie superfici, sia sulle pareti sia sulle volte a botte. Nell’XI e nel XII secolo la tecnica più usata nella pittura muraria era quella dell’affresco, talvolta combinato con la tempera o con la pittura a secco, cioè stesa sull’intonaco asciutto invece che umido.

Affreschi di Taüll

Fra i cicli meglio conservati spiccano quelli spagnoli, molti dei quali separati oggi dal loro contesto originario, come la decorazione murale proveniente dal catino absidale della Chiesa di San Clemente a Taüll (104), ora conservata nel Museo d’Arte Catalana di Barcellona, uno dei più interessanti per chi studia l’arte romanica. In questi affreschi si nota una certa tendenza alla semplificazione delle forme e all’enfatizzazione della bidimensionalità e del linearismo, giocata anche su sapienti contrasti cromatici, che aveva lo scopo di comunicare al fedele le storie sacre con chiarezza ed efficacia.

Affreschi della Basilica di San Clemente a Roma

In Italia, sono molto significativi gli affreschi realizzati a Roma nella Basilica di San Clemente. Questa chiesa fu costruita nel XII secolo sopra una stratificazione di edifici precedenti. Il primo livello al di sotto della basilica attuale è costituito da una basilica paleocristiana, costruita tra IV e XI secolo, in cui restano, pur se molto deteriorati, frammenti di affreschi. Le Storie dei santi Alessio e Clemente (105), in quattro episodi, sono datate entro l’inizio del XII secolo, quando la chiesa paleocristiana fu interrata per costruire la nuova basilica. Presentano uno stile veloce, spontaneo e vivace, ancora leggibile anche se la superficie pittorica è molto danneggiata e i colori sono quasi scomparsi. Davanti a sfondi con architetture accennate, che dimostrano l’ampia cultura dell’anonimo pittore e ricordano gli sfondi della pittura romana e del III stile pompeiano, i personaggi hanno gesti ed espressioni molto marcati, che rendono la scena facilmente leggibile dall’osservatore. Contribuiscono a un’immediata comprensione anche le scritte in volgare che accompagnano le storie, tra le prime testimonianze della lingua italiana.
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Affreschi di Sant’Angelo in Formis a Caserta 

In Italia, uno dei cicli di pittura monumentale romanica più vasti e famosi si trova a Sant’Angelo in Formis (presso Capua), nella Basilica di San Michele arcangelo, che faceva parte di un monastero benedettino alle dipendenze dell’Abbazia di Montecassino. Costruita a partire dal 1065-1066, la chiesa è una basilica a tre navate (106) senza transetto e con il soffitto a capriate. Fu proprio l’abate Desiderio di Montecassino a promuovere la decorazione pittorica dell’edificio tra il 1072 e il 1086, come dichiarano un’epigrafe all’ingresso e l’immagine dell’abate che compare nell’abside nell’atto di offrire a Cristo il modello della chiesa. Si deve a Desiderio, probabilmente, anche la scelta del programma iconografico. La decorazione pittorica ricopre la parte superiore delle pareti della navata centrale (in tre registri), al di sopra delle colonne, la controfacciata (la parete interna della facciata), le absidi e l’arco trionfale. Nelle navatelle e nelle absidi minori si trovavano le Storie dell’Antico Testamento, oggi in gran parte perdute. Il ricco programma iconografico punta su un messaggio di salvezza, in piena sintonia con la rinascita culturale e religiosa promossa da Montecassino.
L’affresco dell’abside maggiore, il più ampio e monumentale, è diviso in due registri. Nella zona superiore Cristo in maestà siede solennemente su un trono intarsiato e decorato di pietre e gemme, tra i simboli dei quattro evangelisti, che insieme formano il cosiddetto tetramorfo (107). Nella zona inferiore vi sono tre angeli: al centro è raffigurato san Michele arcangelo, che indossa un abito di foggia raffinata e materiale prezioso. A sinistra e a destra delle figure angeliche stanno rispettivamente l’abate Desiderio, responsabile, come si è visto, della commissione degli affreschi, e Benedetto, il fondatore dell’ordine a cui faceva capo il monastero.
Dal punto di vista stilistico il ciclo dipende ancora dalla pittura bizantina, come si riscontra osservando le figure statiche e maestose. Nelle scene più narrative che decorano la navata, però, si nota un tono più libero e vivace, con i personaggi rappresentati in una maniera più naturalistica: questa libertà espressiva conferma l’ipotesi che siano stati pittori italiani e non orientali a lavorare nella chiesa.

I mosaici

Nel XII secolo l'arte del mosaico – ereditata dalla tradizione romana e tardoantica e sperimentata in particolare nell'Italia bizantina in epoca altomedievale – è impiegata soprattutto per la decorazione pavimentale in Francia, Inghilterra, Germania, Spagna e anche in Italia. In genere i pavimenti ornati, che potevano coprire vaste zone delle chiese, completavano il programma iconografico di affreschi e decorazioni scultoree, anche se oggi questo rapporto non è più facilmente ricostruibile per la mancanza di opere conservate in modo completo. Si sa, per esempio, che nell'Abbazia di Montecassino l'abate Desiderio aveva chiamato a lavorare maestri bizantini, che avevano realizzato i mosaici pavimentali e parietali, tutti andati distrutti. Le tecniche impiegate erano varie: potevano riprendere il metodo ellenistico dell'opus Alexandrinum (intarsio di pietre preziose), oppure quelli romani dell'opus tessellatum (a piccole tessere) e dell'opus sectile (intarsio di lastre di marmo), o perfino utilizzare semplici ciottoli.
In Italia è forte l'influenza della tradizione bizantina dei mosaici murali, ed è noto che a Venezia e nella Palermo normanna sono attivi anche mosaicisti provenienti dall'Oriente, che, con le loro botteghe itineranti, si affiancano alle maestranze locali apportando preziosi aggiornamenti tecnici. La lezione di questi maestri, venuti forse da Costantinopoli, permette di istruire mosaicisti locali. Purtroppo in Italia i mosaici di epoca romanica in buono stato di conservazione sono pochi; tra questi vanno ricordati, oltre a quelli della Basilica di San Marco a Venezia, i mosaici del Duomo di Otranto, della Cappella Palatina a Palermo e del Duomo di Cefalù.

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Pavimento musivo della Cattedrale di Otranto

Il pavimento della cattedrale pugliese (108), che spicca per vivacità e varietà delle scene rappresentate, fu commissionato dall'arcivescovo Gionata ed eseguito dal presbitero Pantaleone (forse di origine greca), come indicano le iscrizioni. Si tratta di un vasto mosaico che copre le tre navate e dispiega un complesso ciclo iconografico, con scene bibliche, episodi cavallereschi della leggenda di re Artù, immagini tratte dai bestiari (repertori di animali reali e fantastici), e figurazioni del calendario. Come nelle miniature dell'epoca, sono presenti anche i tondi con i mesi e i segni zodiacali a formare il cosiddetto Albero della vita, seguendo il principio secondo cui ciascun mese simboleggia un lavoro, ovvero la fatica dell'uomo, espiazione del peccato originale.
Lo stile semplificato delle centinaia di figure presenti nel mosaico pavimentale di Otranto si differenzia da quello dei mosaici realizzati nella stessa epoca nella Sicilia normanna, certo frutto di altre maestranze, che tra l'altro fanno largo uso di tessere d'oro.

La pittura su tavola

La pittura su tavola, più soggetta al rischio di andare perduta rispetto alle decorazioni scultoree e agli arredi, ha subito, come la pittura monumentale, gravi perdite: si calcola che quello che è arrivato fino a noi rappresenti meno dell'uno per cento di quanto fu effettivamente dipinto. È dunque difficile giudicare da ciò che è rimasto. Molto spesso, inoltre, le tavole sono state ridipinte nel corso dei secoli, e solo le tecniche di indagine più moderne hanno permesso di scoprire che cosa si trova sotto raffigurazioni di epoche successive. La scarsità di documentazione impedisce di conoscere l'identità dei pittori, di cui si è tramandato solo qualche nome.
Per quanto riguarda l'Italia, esistono numerose tavole opera di artisti anonimi, ai quali vengono attribuiti nomi fittizi: un esempio è il grande Crocifisso conservato agli Uffizi (109), il cui autore è conosciuto come Maestro della Croce 432, dal numero d'inventario attribuito all'opera dal museo fiorentino. La tavola è esemplare di una produzione che in Toscana, Liguria, Lazio, Umbria dovette essere feconda, dal momento che si conoscono opere simili firmate da Maestro Guglielmo, attivo a Sarzana nel 1138, e da Alberto Sotio, attivo a Spoleto nel 1187. Queste grandi tavole erano in genere dipinte su legno, oppure su fogli di cuoio o pergamena incollati poi sull'anima di legno sagomata a forma di croce. Il loro grande formato si giustifica con il fatto che esse erano in genere appese sopra l'altare maggiore di una chiesa, ben in evidenza per i fedeli, oppure erano poste sopra l'iconostasi o sul muro del tramezzo, come mostra un affresco trecentesco di Giotto ad Assisi ( p. 433).
La Croce 432 è un esempio di Christus triumphans, cioè di Cristo trionfante, che esprime l'idea della vittoria sulla morte ed è metafora del trionfo della Chiesa: il corpo è rigidamente frontale e il volto, sereno, ha lo sguardo fisso, come quello di un'icona bizantina. Una maggiore espressività connota invece le scene della Passione di Cristo dipinte sul fondo oro della croce. Alcuni studiosi avanzano l'ipotesi che questo anonimo pittore, forse fiorentino, si fosse aggiornato sullo stile dei mosaicisti bizantini attivi nella Cappella Palatina di Palermo.
La tradizione dei crocifissi su tavola avrà ampio sviluppo nella pittura del secolo successivo, che vedrà il passaggio dal tipo del Christus triumphans a quello del Christus patiens, con il volto sofferente e più espressivo e la posa del corpo più articolata ( pp. 434-435).

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La miniatura

Oggi si ritiene che il ruolo di artisti-guida nella pittura spettasse ai miniatori e non ai frescanti, perché all'epoca la miniatura era la forma più perfezionata di pittura. Forse non è un caso che siano ignoti i nomi degli autori degli affreschi, mentre spesso si sono tramandati i nomi dei miniatori. Va però ricordato che chi realizzava le illustrazioni nei codici miniati, ai margini dello scritto o inframmezzate alle parole, poteva essere la stessa persona che aveva redatto il codice a mano e doveva quindi trovare naturale apporre da qualche parte il proprio nome a mo' di firma, o addirittura autoraffigurarsi – come accade già nelle miniature carolinge e ottoniane – nell'atto di trascrivere il codice o di dipingere.
Lo stile delle miniature varia a seconda dello scriptorium, quasi sempre legato a un monastero. Tra i principali centri di riproduzione e illustrazione di testi antichi, profani e scientifici, musicali, liturgici o di carattere sacro, si ricordano, per l'Italia, l'Abbazia di Nonantola (Modena), la Certosa di Calci (Pisa), l'Abbazia di Sant'Antimo (Montalcino) e quella di Cava de' Tirreni (Salerno). Ma il più celebre è di certo lo scriptorium dell'Abbazia di Montecassino, i cui 70 000 volumi e le migliaia di altri documenti si sono salvati dal bombardamento del febbraio 1944 perché erano stati spostati, qualche mese prima, a Roma e a Spoleto. Uno dei manoscritti più interessanti, dell'XI secolo, illustra il testo enciclopedico dell'erudito carolingio Rabano Mauro (110), vissuto tra l'VIII e il IX secolo, con gustosi disegni colorati che descrivono la vita quotidiana e il «sapere dell'Universo».
Un caso a parte è rappresentato dagli Exultet: grandi rotoli di pergamena che si utilizzavano per scopi liturgici e recavano i testi e le relative immagini degli inni, delle preghiere e delle letture per la Veglia pasquale (exultet, in latino "esulti!", è appunto l'inizio del primo inno che vi viene cantato). I primi esempi di queste opere risalgono alla seconda metà del X secolo. Sui rotoli erano trascritti i testi liturgici ed erano realizzate, capovolte rispetto alla scrittura, le immagini che ne illustravano i momenti fondamentali. La disposizione era funzionale all'uso: mentre il sacerdote leggeva o cantava l'inno, i fedeli, che solitamente non sapevano né leggere né scrivere, e che comunque non conoscevano il latino, seguivano il rito osservando le immagini che via via si srotolavano. Cosi come le grandi pareti affrescate, le miniature degli Exultet avevano il compito fondamentale di istruire gli analfabeti, secondo quanto prescrivevano le parole di papa Gregorio Magno (590-604), per il quale la pittura era una specie di «Bibbia degli illetterati».
L'Exultet più famoso è quello del Duomo di Bari (111), datato intorno al 1030. Inframmezzandosi con la scrittura, le immagini si dispongono ai lati, entro due fasce decorate con motivi vegetali e geometrici in cui vi sono santi della tradizione orientale, e al centro, dove si trovano illustrazioni dai colori brillanti in cui la vivace tradizione italiana si fonde con l'eleganza della pittura bizantina.
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GUIDA ALLO STUDIO

La scultura, la pittura e i mosaici

I saperi fondamentali 

  • La scultura romanica è strettamente legata all’architettura e torna a rivestire un ruolo di prestigio nella decorazione di portali, protiri e pulpiti, trasmettendo messaggi di insegnamento cristiano. 
  • I rilievi decorativi ricoprono interamente le superfici e questa tendenza, chiamata horror vacui (“paura del vuoto”) è evidente in particolare nella CHIESA ABBAZIALE DI SANTA MARIA DI RIPOLL, in Spagna. 
  • I rilievi rappresentano scene della spiritualità e della vita religiosa (Vangeli, storie di santi), come le opere di WILIGELMO nel DUOMO DI MODENA, ma anche motivi geometrici e temi profani (ciclo dei mesi, attività umane), come gli altorilievi di ANTELAMI nel BATTISTERO DI PARMA
  • La decorazione pittorica a tempera, a secco e ad affresco, riveste le ampie superfici delle architetture romaniche, ma è oggi per lo più perduta. Per la sua funzione educativa, è definita «Bibbia degli illetterati» ed è caratterizzata da semplificazione delle forme, bidimensionalità e linearismo. Una testimonianza pittorica significativa si trova nella BASILICA DI SAN MICHELE ARCANGELO di Sant’Angelo in Formis. 
  • Il mosaico, spesso realizzato da maestranze bizantine, è impiegato per il rivestimento dei pavimenti, delle pareti, delle volte e delle cupole. 
  • Sono giunte fino a noi poche testimonianze di pittura su tavola e sono prevalentemente legate alla tipologia della Croce dipinta, in cui Cristo è rappresentato vivo (Christus triumphans). 
  • La miniatura è molto diffusa e trova la sua massima espressione negli Exultet, grandi rotoli di pergamena che contengono inni e letture con illustrazioni capovolte per risultare visibili ai fedeli che partecipano alla veglia pasquale.

Le domande guida 
  • Quali sono i principali arredi scolpiti nel Romanico?
  • Che cos’è l’horror vacui?
  • Quali sono i soggetti raffigurati da Wiligelmo nelle lastre della Genesi?
  • Quali sono le tecniche pittoriche più diffuse nel Romanico?
  • Quali sono le caratteristiche dell’iconografia del Cristo trionfante?
  • Qual è lo scopo principale delle arti figurative romaniche?

Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico