I Longobardi in Italia

13.2 I Longobardi in Italia

L'arte longobarda e l'eredità tardoantica

L’arte del periodo longobardo testimonia l’incontro tra la cultura germanica e le tradizioni romana e paleocristiana. Il recupero di modelli antichi, sempre filtrato attraverso la sensibilità barbarica, inizia già con Agilulfo (re dei Longobardi dal 591 al 616), unito in matrimonio con la cattolica Teodolinda (589-616), ed è dapprima visibile soprattutto in produzioni "minori"; si rafforza poi nella prima metà dell’VIII secolo con la rinascenza liutprandea (dal nome del re Liutprando, 712-744) e i successivi re longobardi.

Lamina di Agilulfo 

Il frontale di elmo di ferro, originariamente ricurvo, conosciuto come Lamina di Agilulfo (6), è databile fra il 590 e il 615. Rivestito di rame sbalzato, cesellato e dorato, mostra un re seduto in trono affiancato da due militi armati, due vittorie alate in movimento, due coppie di offerenti e due alte torri, tutti disposti in modo rigidamente simmetrico. La raffigurazione riprende gesti e iconografie imperiali, ma la solenne frontalità dei rilievi dell’Arco di Costantino a Roma lascia il posto a una ruvida espressività. Le inesattezze nelle iscrizioni (Victuria invece di Victoria) evidenziano difficoltà nell’uso del latino.

Legatura dell'Evangeliario di Teodolinda 

All’influenza della regina Teodolinda si deve la conversione del popolo longobardo al Cattolicesimo. Sono frutto di una sua donazione molti oggetti che fanno parte del Tesoro del Duomo di Monza, tra cui una coperta in oro di un Evangeliario (libro contenente i testi dei quattro Vangeli) offertale nel 603 da papa Gregorio Magno ed eseguita a Roma (7). La superficie è ripartita armoniosamente in quattro aree da una croce gemmata ed è arricchita da cammei (pietre stratificate incise per formare un disegno bicolore) di gusto classico; ma ci sono anche gemme colorate, tra cui granati rossi, e smalti di fattura longobarda: l’opera è emblematica del difficile ma proficuo dialogo fra le due tradizioni artistiche.

Altare del duca Ratchis 

A Cividale del Friuli, centro dell’importante Patriarcato di Aquileia, è conservato l’Altare del duca Ratchis (8), databile fra il 737 e il 744 e dunque appartenente al periodo liutprandeo. Esso è formato da quattro lastre di pietra scolpite a bassorilievo (la quinta, che costituiva il piano superiore orizzontale, è andata perduta).
La lastra con la Visitazione (9), cioè la scena dell’incontro fra Maria e la cugina Elisabetta, incinte rispettivamente di Cristo e di san Giovanni Battista, è occupata dalle figure delle due donne che si abbracciano. L’intensità del gesto e del sentimento è sottolineata dall’allungamento abnorme degli arti superiori più che dai volti, fissi e poco caratterizzati. Il rilievo bassissimo e l’infittirsi degli elementi architettonici e vegetali sul fondo (per cui si parla di horror vacui, "paura del vuoto") rivelano come lo scultore si sia confrontato con i risultati dell’oreficeria barbarica.

Chiesa di Santa Sofia 

A Benevento si trova l’edificio più complesso del territorio longobardo, la Chiesa di Santa Sofia, annessa al palazzo del duca Arechi II (758-788), che la fece costruire attorno al 760. Alla pianta elaborata e originale (10), che ricorda la forma di una stella, corrisponde una varietà di coperture, con volte quadrate, triangolari e trapezoidali e una cupola al centro. Le colonne di spoglio con capitelli corinzi sono indizio di ammirazione per l’antichità, mentre l’intitolazione della chiesa è un riferimento esplicito alla celebre Chiesa di Costantinopoli, forse più in segno di emulazione che di omaggio (11).
GUIDA ALLO STUDIO
L’arte longobarda
  • Fusione delle tradizioni barbarica e classica
  • Iconografia imperiale
  • Utilizzo di cammei e gemme colorate nelle decorazioni
  • Rilievi bassissimi in scultura
  • Piante complesse e originali in architettura

Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico