Alessandro Magno e l’arte come strumento politico
Alessandro, figlio del re macedone Filippo II, denominato Magno per i suoi molti trionfi, sale al trono nel 336 a.C., all’indomani della battaglia di Cheronea (338 a.C.) – con la quale le póleis greche hanno perso la loro libertà – e porta avanti il progetto di espansione del regno di Macedonia avviato dal padre, dando vita a uno degli imperi più vasti della Storia. Alessandro affronta popoli diversi, secondo una strategia che individua nella rapidità di azione la formula del suo successo: in soli tredici anni – dal 336 al 323 a.C. – le sue conquiste si estendono dalla Grecia all’India, comprendendo l’Egitto, la Mesopotamia e i vasti territori dell’impero persiano. Sarà solo l’opposizione dell’esercito, stremato, a bloccare l’ulteriore avanzata; appena un anno dopo, Alessandro muore a Babilonia all’età di 33 anni. Tali vicende comportano, come è facile immaginare, un cambiamento profondo nel mondo antico: gli scambi economici e culturali coprono distanze mai raggiunte prima e si creano legami e contatti tra civiltà diverse.
L’organizzazione politica del regno di Macedonia non prevedeva l’esistenza di organi di controllo; il sovrano, in quanto capo supremo, deteneva il potere assoluto, da qui la necessità di comunicare un’immagine forte e autoritaria dell’imperatore, funzionale alla gestione di un territorio tanto vasto ed eterogeneo. Alessandro è il primo sovrano del mondo antico a utilizzare con consapevolezza le potenzialità comunicative del linguaggio figurativo e a dedicare particolare attenzione all’elaborazione e diffusione della propria immagine pubblica. Attraverso la committenza di ritratti celebrativi (realizzati dai due artisti di corte, Lisippo per la scultura, Apelle per la pittura) si mostra ai suoi sudditi come un uomo di eccezionali qualità, assumendo gli atteggiamenti e gli attributi tipici della divinità. Si tratta di una concezione di derivazione orientale che si afferma, in particolare, in seguito al contatto con quelle civiltà e quelle culture che tradizionalmente attribuivano ai regnanti una natura divina.
Il fenomeno è particolarmente significativo perché testimonia, da un lato, le diverse contaminazioni che confluiscono nella definizione del linguaggio ellenistico, dall’altro il nuovo ruolo attribuito all’arte in generale, e al ritratto in particolare.