L’emozione della lettura - volume C

ALLA SCOPERTA DEI TESTI nota tragica quando Enea tenta invano di abbracciare l ombra del padre (Tre volte cercò di gettargli le braccia al collo, tre volte / l Ombra, invano abbracciata, gli sfuggì dalle mani / simile ai venti leggeri o ad un alato sogno, vv. 850-852). I Campi Elisi e la dottrina della metempsicosi Il dolore per la negazione del contatto fisico lascia il posto alla descrizione dei Campi Elisi, lo spazio dell aldilà destinato alle anime dei giusti (vv. 853-862): agli occhi pieni di meraviglia di Enea, infatti, si apre una selva / solitaria, fruscianti virgulti e il fiume Lete / che bagna quel paese di pace (vv. 853-855). Le rive del fiume Lete sono popolate dalle anime dei defunti che attendono di berne l acqua per dimenticare le colpe commesse nella vita conclusa e intraprendere così il ciclo di reincarnazione. Enea si chiede, allora, ammirato: Che desiderio / insensato di vita possono avere, infelici? (vv. 872-873), verso che più di molti altri esprime il dolente sentimento di infelicità e pessimismo di Enea e di Virgilio stesso. Il successivo discorso di Anchise (vv. 875-898), che ha tutto il sapore di un ammaestramento filosofico, risente di una tradizione di pensiero fondata secondo la tradizione dal personaggio mitico di Orfeo e ripresa dal filosofo Pitagora (VI secolo a.C.). Alla base vi è l'idea della reincarnazione dell anima promossa dalla dottrina della metempsicosi. Secondo tale concezione le anime sono create, pure, da un energia divina e acquistano solo in seguito il peso del corpo, considerato negativamente come un fardello. Estremamente poetico e rarefatto è il lessico che Anchise impiega per definire quella sorta di anima universale e originaria, da cui provengono le singole anime (una mente diffusa per le membra del mondo, v. 878; un energia di fuoco, / una celeste origine, vv. 883-884). Il tono si fa più realistico quando vengono spiegati i danni dovuti all immissione delle anime nei corpi (vv. 884-889), tali che anche dopo la morte le anime sono condannate a espiare le pene per le colpe commesse, secondo un criterio di giustizia cosmica (sospese per aria / sono investite dai soffi del vento; altre lavano / in fondo a un acqua impetuosa, o bruciano nel fuoco, / la colpa che infettò. Ognuna soffre il destino / che le compete, vv. 895-899). Un testamento spirituale e politico Poste le premesse religiose, Anchise ha premura di mostrare a Enea le anime che dopo mille anni di purificazione sono pronte a riacquistare un corpo e a tornare sulla terra, stimolate da un dio che le conduce a bere l acqua del fiume Lete, capace di donare l oblio (vv. 899-916). Il fine del discorso non è più solo religioso, ma anche politico, come annuncia lo stesso Anchise (Ascolta, ti dirò la gloria futura / della stirpe di Dardano, ti mostrerò i nipoti / che ci darà l Italia: grandi anime fatali / destinate a portare un giorno il nostro nome, vv. 913-916). Si affaccia così, nei versi successivi (vv. 950-973), il motivo encomiastico, a cui si accompagna il fine politico dell Eneide, tesa a celebrare il ruolo pacificatore svolto dall imperatore Augusto. Le vicende familiari di Anchise ed Enea si legano, infatti, a quelle pubbliche attraverso i discendenti illustri della gens Iulia, tra cui figurano appunto Cesare e Ottaviano. La vera gloria è quella ottenuta per la grandezza della famiglia e dello Stato, ammonisce Anchise, che incalza con l autorevolezza che compete solo a un padre e che i Romani avvertivano con tanto rispetto, come pochi altri popoli (E tu esiti ancora a accrescere di tanto / la nostra forza, temi di fermarti in Italia?, vv. 972-973). Ormai rapito in una dimensione religiosa connotata da un fortissimo afflato politico, Enea ascolta dal padre un ultimo messaggio, che in alcuni tra i versi più famosi dell Eneide scolpisce i doveri dell uomo romano nella storia: ma tu, Romano, ricorda di governare i popoli / con ferme leggi (queste saranno le tue arti), / imporre la tua pace al mondo, perdonare / agli sconfitti, ai deboli e domare i superbi! (vv. 1030-1033). La specificità della civiltà romana è così individuata nella scienza del diritto, la giurisprudenza, che la distingueva dai Greci e dagli altri popoli dell antichità, nella vocazione al dominio e alla clemenza, senza la quale è impossibile instaurare una pace duratura. Viene perciò esaltata la missione civilizzatrice di Roma, capitale di un impero universale esteso fino all India e voluto dal Fato. A esso l Eneide vuole presentarsi come poema nazionale , autentico monumento letterario delle glorie di una intera civiltà. 337

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Epica