L’emozione della lettura - volume C

ALLA SCOPERTA DEI TESTI LA VOCE DEI MODERNI Didone all opera e il melodramma di Metastasio Nel Carnevale del 1724 al teatro San Bartolomeo di Napoli veniva rappresentata l opera Didone abbandonata, lavoro che avrebbe determinato il successo di Pietro Metastasio, uno dei più grandi autori di testi per opera lirica, i cosiddetti libretti. Nato a Roma nel 1698 da famiglia umile, Pietro Trapassi tale era il suo cognome prima che venisse grecizzato da un accademico si era fatto notare sin da bambino per la capacità di improvvisare versi su svariati temi, al punto da conquistare il favore dei letterati dell epoca che decisero di patrocinarne gli studi. Dopo aver tentato la via dell avvocatura, i contatti con il mondo teatrale napoletano e il suo straordinario talento poetico lo condussero alla fama proprio con la rivisitazione teatrale del mito di Didone. La storia è decisamente diversa e più articolata di quella virgiliana: una grande novità è nel ruolo di Iarba, presentato come re dei Mori e assurto a personaggio e rivale d amore di Enea. Mentre quest ultimo sin dall inizio è divorato dal tormento interiore proprio di chi sa che deve abbandonare la donna amata, il gioco degli amori incrociati vede anche Selene, sorella di Didone, innamorata segretamente di Enea, che però non la ricambia, mentre di lei è innamorato Araspe, confidente di Iarba. Nel secondo atto un Enea freddo e calcolatore suggerisce a Didone, seppure a malincuore, di sposare Iarba, pur di non avere contro di sé tutta l Africa una volta che egli sarà partito. In una scena paradossale Iarba viene fatto chiamare da Didone, che gli porge la mano destra in presenza dello stesso Enea, ora inve- ce incapace di domare il sentimento d amore. L eroe troiano se ne va furibondo, mentre Didone confida a Iarba di preferirgli proprio Enea. Il contrasto tra i due uomini è risolto da un duello, che vede Iarba sconfitto. Deciso a vendicarsi, il re dei Mori appicca un incendio per distruggere Cartagine, mentre Enea è ormai partito alla volta dell Italia. Didone, ancora innamorata del troiano, rifiuta l ennesima proposta di matrimonio di Iarba, ridotto a miti consigli, e preferisce darsi la morte gettandosi tra le fiamme che avvolgono il palazzo reale. Rispetto alla tragicità epica dell Eneide, la Didone abbandonata settecentesca sconta una maggiore freddezza, come dimostrano le parole conclusive di Didone che si avvia alla morte nell ultima scena del terzo atto. La drammaticità della scelta del suicidio nel poema virgiliano ha lasciato il posto a un dissidio alquanto vago e superficiale tra il fuggire, il rimanere e il darsi la morte. A decretare il successo dell opera è piuttosto la straordinaria cantabilità dei versi, unita alla scenografia esotica e sfarzosa, secondo il gusto settecentesco. 1355 1360 1365 1370 Ah che dissi, infelice! A qual eccesso mi trasse il mio furore. Oh dio cresce l orrore! Ovunque io miro mi vien la morte e lo spavento in faccia: trema la reggia e di cader minaccia. Selene, Osmida, ah tutti, tutti cedeste alla mia sorte infida, non v è chi mi soccorra o chi m uccida. Vado Ma dove? Oh dio! Resto Ma poi, che fo! Dunque morir dovrò senza trovar pietà? E v è tanta viltà nel petto mio? No no. Si mora. E l infedele Enea abbia nel mio destino un augurio funesto al suo cammino. Precipiti Cartago, arda la reggia e sia il cenere di lei la tomba mia. P. Metastasio, Didone abbandonata, a cura di A. Frattali, ETS, Pisa 2014 Jacopo Amigoni, Pietro Metastasio, la soprano Teresa Castellini, Farinelli e Jacopo Amigoni, 1751 ca. 1358. e di cader minaccia: e rischia di cadere. 1359. Osmida: confidente di Didone. 1363. fo: faccio. 1367. si mora: si muoia. 1370. Cartago: Cartagine. 1371-1372. e sia tomba mia: le ceneri della reggia siano la mia tomba. 331

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Epica