T6 - La maga Circe

T6

La maga Circe

  • Tratto da Odissea, libro X, vv. 210-243, 275-347, 393-399, 487-495

Scampato al ciclope Polifemo, Odisseo approda all’isola di Eolo, che gli fa dono di un otre contenente tutti i venti contrari alla sua navigazione verso Itaca. Spinti dalla curiosità e dal pensiero di trovare grandi ricchezze, tuttavia, i compagni lo aprono, scatenando un uragano. In seguito, con i pochi superstiti alla strage causata dai Lestrigoni, giganti antropofagi (libro X), Odisseo approda su una nuova isola, apparentemente disabitata. Dopo due giorni e due notti trascorsi sul litorale in preda a un grande scoramento, insieme ai compagni dell’unica nave che gli è rimasta, decide di avventurarsi all’interno, avendo notato un filo di fumo provenire da un bosco di querce. I dodici uomini, guidati da Euriloco, designati a sorte per la missione esplorativa, avvistano nella selva un palazzo che si rivelerà essere abitato dalla maga Circe.

210 «Nella vallata trovarono le case di Circe costruite

con pietre squadrate, in un luogo protetto:

c’erano intorno lupi montani e leoni

che ella aveva stregato, dandogli filtri maligni.

Essi non assalirono gli uomini, ma

215 agitando le lunghe code si alzarono.

Come quando i cani scodinzolano al padrone che torna

da un pranzo, perché porta ogni volta dei buoni bocconi;

così i lupi dalle forti unghie e i leoni scodinzolavano

ad essi: temettero, quando videro le orribili fiere.

220 Si fermarono davanti alle porte della dea dai bei riccioli,

sentivano Circe che dentro con voce bella cantava,

intenta a un ordito grande, immortale, come le dee

sanno farli, sottili e pieni di grazia e di luce.

E cominciò fra essi a parlare Polite, capo dei forti,

225 che mi era tra i compagni il più caro e fidato:

“O cari, qui dentro, intenta a un grande ordito,

canta in modo perfetto – ne risuona tutta la casa –

una dea o una donna: su presto, gridiamo”.

Disse così, ed essi con grida chiamarono.

230 Lei subito uscita aprì le porte lucenti

e li invitò: la seguirono tutti senza sospetto.

Indietro restò Euriloco: pensò che fosse una trappola.

Li guidò e fece sedere sulle sedie e sui troni:

formaggio, farina d’orzo e pallido miele mischiò

235 ad essi col vino di Pramno; funesti farmaci

mischiò nel cibo, perché obliassero del tutto la patria.

Dopoché glielo diede e lo bevvero, li toccò subito

con una bacchetta e li rinserrò nei porcili.

Dei porci essi avevano il corpo: voci e setole

240 e aspetto. Ma come in passato la mente era salda.

Così essi furono chiusi, piangenti, e Circe

gli gettò da mangiare le ghiande di leccio, di quercia

e corniolo, che mangiano sempre i maiali stesi sulla terra».

 >> pagina 223 

Odisseo apprende da Euriloco, rimasto fuori dalla dimora di Circe perché aveva intuito il pericolo, che i compagni probabilmente sono stati uccisi da Circe. Predisposto al peggio, si dirige così verso la dimora della maga; durante il tragitto viene istruito da Ermes, che lo mette in guardia contro i sortilegi di Circe e gli fornisce un antidoto ai suoi filtri.

275 «Ma quando stavo per giungere, traversando i sacri valloni,

alla grande dimora di Circe esperta di filtri,

ecco Ermete dall’aurea verga farmisi incontro,

mentre andavo verso la casa, simile a un giovane

di primo pelo, la cui giovinezza è leggiadra.

280 Mi strinse la mano, mi rivolse la parola, mi disse:

“Dove vai ancora, infelice, solo per queste cime,

ignaro della contrada? Sono chiusi i tuoi compagni,

da Circe, come maiali che vivono in fitti recessi.

Vieni qui a liberarli? Neanche tu tornerai,

285 io penso, ma lì resterai come gli altri anche tu.

Ma su, ti scioglierò e salverò dai pericoli.

Ecco, va’ nelle case di Circe con questo benefico

farmaco, che può allontanarti dal capo il giorno mortale.

Tutte le astuzie funeste di Circe ti svelerò.

290 Farà per te un beverone, getterà nel cibo dei farmaci,

ma neppure così ti potrà stregare: lo impedirà

il benefico farmaco che ti darò, e ti svelerò ogni cosa.

Quando Circe ti colpirà con una lunghissima verga,

tu allora, tratta l’aguzza spada lungo la coscia,

295 assali Circe, come fossi bramoso di ucciderla;

lei impaurita ti inviterà a coricarti;

tu non rifiutare, né allora né dopo, il letto della dea,

perché i compagni ti liberi e aiuti anche te.

Ma imponile di giurare il gran giuramento dei beati,

300 che non ti ordirà nessun altro malanno:

che appena nudo non ti faccia vile e impotente”.

Detto così l’Arghifonte mi porse il farmaco,

dalla terra strappandolo, e me ne mostrò la natura.

Nella radice era nero e il fiore era simile al latte.

305 Gli dèi lo chiamano moly e per uomini mortali

è duro strapparlo: gli dèi però possono tutto.

Poi Ermete andò via, sull’alto Olimpo,

per l’isola boscosa. Ed io mi diressi alla casa

di Circe: andavo e il mio cuore era molto agitato.

310 Mi fermai davanti alle porte della dea dai bei riccioli;

fermatomi lì, gridai: la dea sentì la mia voce

e subito uscita aprì le porte lucenti.

Mi invitò: la seguii col cuore angosciato.

Mi guidò e fece sedere su un trono con borchie d’argento,

315 bello, lavorato: c’era sotto uno sgabello pei piedi.

In un vaso d’oro mi preparò un beverone, perché lo bevessi:

un farmaco ci mise dentro, meditando sventure nell’animo.

Poi me lo diede e lo bevvi, ma non mi stregò;

mi colpì con la verga, mi rivolse la parola, mi disse:

320 “Va’ ora al porcile, stenditi con gli altri compagni”.

Disse così; io, tratta l’aguzza lama lungo la coscia,

assalii Circe, come fossi bramoso d’ucciderla.

Lei con un urlo corse, m’afferrò le ginocchia

e piangendo mi rivolse alate parole:

325 “Chi sei, di che stirpe? dove hai città e genitori?

Mi stupisce che bevuti i miei farmaci non fosti stregato.

Nessun altro sopportò questi farmaci,

chi li bevve, appena varcarono il recinto dei denti:

una mente che vince gli inganni hai nel petto.

330 Certo Odisseo tu sei, il multiforme, che sempre

l’Arghifonte dall’aurea verga mi diceva sarebbe arrivato,

venendo da Troia con la nera nave veloce,

Ma orsù, riponi la lama nel fodero, e tutti e due

saliamo sul letto, perché congiunti

335 nel letto e in amore ci si possa l’un l’altro fidare”.

Disse così, ed io rispondendole dissi:

“Circe, come puoi chiedermi d’essere mite con te,

che nella casa m’hai fatto maiali i compagni,

e qui tenendomi adeschi anche me, insidiosa,

340 a venire nel talamo sopra il tuo letto,

perché, appena nudo, mi faccia vile e impotente?

Sul tuo letto io non voglio salire,

se non acconsenti a giurarmi, o dea, il gran giuramento

che non mediti un’altra azione cattiva a mio danno”.

345 Dissi così, e lei giurò subito come volevo.

E dopo che ebbe giurato e finito quel giuramento,

allora io salii sul bellissimo letto di Circe».

 >> pagina 225 

Dopo i piaceri dell’amore, Circe offre all’ospite cibo e bevande, ma osserva che l’eroe non riesce a mangiare, preoccupato per la sorte dei compagni. Mossa a compassione, la dea esce dalla sala e spalma ciascun maiale di un nuovo farmaco.

«Dal loro corpo le setole caddero, fatte nascere prima

dal filtro funesto che ad essi offrì Circe possente:

395 subito divennero uomini, più giovani di come erano prima,

e molto più belli e più grandi a vedersi.

Mi riconobbero e ciascuno mi diede la mano.

A tutti venne voglia di pianto, intorno ne echeggiava

altamente la casa: la dea si commosse anche lei».

Odisseo e i compagni, su invito di Circe, si trattengono sull’isola ancora per un anno. Ristorati da pasti abbondanti e vini pregiati, godono di una magnifica ospitalità che fa loro dimenticare le sofferenze subite e l’impellenza del ritorno in patria. L’eroe, inoltre, è intrigato dal fascino della maga, che gli offre una vita all’insegna dell’amore e dei piaceri, finché un giorno i compagni non gli ricordano il dovere del ritorno. Circe lascia partire Odisseo senza ostacolarlo e gli dà istruzioni sulla successiva tappa del loro viaggio: il regno dei morti.

«Dissi così, e subito essa rispose, chiara fra le dee:

“Divino figlio di Laerte, Odisseo pieno di astuzie,

non restare più in casa mia, contro voglia.

490 Ma prima occorre facciate un altro viaggio e andiate

alle case di Ade e della tremenda Persefone,

per chiedere all’anima del tebano Tiresia,

il cieco indovino, di cui sono saldi i precordi:

a lui solo Persefone diede, anche da morto,

495 la facoltà di essere savio; gli altri sono ombre vaganti”».


Omero, Odissea, libro X, vv. 210-243, 275-347, 393-399, 487-495, trad. di G.A. Privitera, Mondadori, Milano 2015

 >> pagina 226 

a TU per TU con il testo

Lupi e leoni che scodinzolano come cagnolini all’ingresso di un palazzo mentre si leva un piacevole canto femminile dall’interno: una scena come questa basta a rendere il senso di mistero e paura legato alla presenza di una maga. La deviazione rispetto alla norma è, infatti, una costante nella rappresentazione di fenomeni legati all’universo della magia, oggi come nel racconto di Odisseo. Che fare davanti a un palazzo in cui animali feroci si comportano in questo modo? Come agire con una donna intrigante come Circe?

Il sottile pericolo insito in questa deformazione dell’ordine naturale delle cose è probabilmente il primo motivo del fascino che la magia esercita sui compagni di Odisseo, ma anche sui lettori di Omero. D’altra parte, nel mito greco il meraviglioso è sempre legato al mondo femminile: consapevole del suo potere sugli uomini, Circe non è solo una maga, ma l’esempio più affascinante della donna sensuale che troveremo infinite volte nelle narrazioni della letteratura occidentale. Anche di questo Omero sa essere precursore: il legame tra magia e sensualità resta ancora attuale.

Analisi

La situazione iniziale del libro X del poema sembra tratta da un moderno romanzo d’avventura, in cui lo sbarco su una terra sconosciuta è spesso il preludio di una serie imprevedibile di peripezie. La necessità di inviare qualcuno in avanscoperta all’interno di un’isola, che sembrava disabitata e invece ha lasciato intravedere un filo di fumo da un bosco, mette in subbuglio Odisseo e i compagni, già provati da troppe sciagure. Il gruppo sorteggiato, guidato da Euriloco, infatti, giunto nei pressi della casa di Circe, osserva smarrito la magia esercitata sui lupi e i leoni addomesticati (vv. 210-219) e si lascia attrarre all’interno del palazzo dal dolce canto della dea (vv. 220-231).

Solo il saggio Euriloco si tiene lontano, mentre i compagni accettano la pozione di formaggio, farina d’orzo e miele mischiata dalla donna e accompagnata da un forte vino rosso: la trasformazione in maiali è immediata, grazie al tocco con una sorta di bacchetta magica (Dei porci essi avevano il corpo: voci e setole / e aspetto. Ma come in passato la mente era salda, vv. 239-240). L’effetto della magia è ancora più crudele per il fatto che essi conservano razionalità e sensibilità umane, il che li rende coscienti dello stato di abbrutimento cui sono stati sottoposti.

Appresa la notizia della scomparsa dei compagni, Odisseo non si tira indietro di fronte al pericolo e si avventura da solo, armato di spada e arco, verso la dimora di Circe. Contro le bacchette magiche e i filtri della maga, però, non sono sufficienti le virtù umane: l’aiuto decisivo, che salva Odisseo dalla trasformazione in maiale, gli viene infatti dal dio Ermes, messaggero tra il mondo divino e quello umano, che lo incontra sulla strada e gli consegna l’erba moly, il solo antidoto in grado di neutralizzare gli effetti della pozione di Circe (vv. 275-306).

Quando la dea gli somministra l’intruglio magico e constata la sua inefficacia sull’eroe, presa da forte ammirazione (Chi sei, di che stirpe? dove hai città e genitori? / Mi stupisce che bevuti i miei farmaci non fosti stregato, vv. 325-326), si getta in ginocchio e rivela di conoscere già l’identità dell’ospite, Odisseo, reduce dalla guerra di Troia (vv. 330-332), secondo le previsioni che le aveva fatto proprio Ermes.

 >> pagina 227 

Può risultare curioso che la prima richiesta avanzata da Circe a Odisseo sia di salire sul letto e godere insieme i piaceri dell’amore (Ma orsù, riponi la lama nel fodero, e tutti e due / saliamo sul letto, perché congiunti / nel letto e in amore ci si possa l’un l’altro fidare, vv. 333-335). È un tratto che rimanda all’identità della dea, personaggio folklorico rappresentante la maga innamorata, ma anche la donna fatale, dotata di un’altissima carica sensuale e di un’irresistibile capacità seduttiva.

Nell’offrirsi in questo modo Circe non fa che ricorrere ai suoi poteri, di maga e di donna, ignorando forse la prudenza estrema dell’eroe, che chiede un giuramento solenne, per sincerarsi che non abbia a temere alcun pericolo nell’unirsi a lei (Sul tuo letto io non voglio salire, / se non acconsenti a giurarmi, o dea, il gran giuramento / che non mediti un’altra azione cattiva a mio danno, vv. 342-344). La dea sa dimostrarsi, però, anche un’amabile padrona di casa, che provvede alla trasformazione dei compagni di Odisseo in uomini (vv. 393-399) e offre generosa ospitalità all’intero gruppo, alimentando in loro l’oblio della patria e la tentazione del non ritorno: in tal modo, può rientrare nei canoni previsti dalla mentalità greca, legata a un’immagine mansueta e subalterna della donna. La sua metamorfosi è, in quest’ottica, significativa poiché simboleggia la vittoria dell’ordine sociale e della civiltà tradizionale sulla trasgressione e sull’irrazionalità.

Rispetto a Calipso, altra figura di seduttrice, Circe mostra, inoltre, una maggiore comprensione dei doveri dell’uomo che ama, al quale facilita la ripresa del nostos (“ritorno”), senza ostacolarne la partenza. Il suo amore non è affatto possessivo, anzi sfuma in un rapporto relativamente più freddo e razionale; verso la fine del libro X (vv. 487-495), la scena del mancato addio, ricca di informazioni pratiche sul viaggio di Odisseo nell’aldilà e priva di note sentimentali o di accessi di gelosia, sembra confermarlo.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Che cosa mette in allarme i compagni di Odisseo appena giunti al palazzo di Circe?

Qual è, invece, il motivo che li attrae all’interno?

  •     Il desiderio di cibo.
  •     La paura.
  •     Il canto della donna.
  •     Il comportamento insolito degli animali.


2. In che cosa consiste l’intruglio preparato da Circe?


3. Indica quale delle seguenti affermazioni è vera.

  •     Ermes si raccomanda che Odisseo non assecondi le lusinghe amorose della dea.
  •     Ermes consiglia all’eroe di non ingerire la bevanda di Circe.
  •     Odisseo si unisce a Circe non prima di averle strappato un giuramento a difesa della propria incolumità.
  •     Odisseo ottiene prima la trasformazione dei compagni in uomini e poi si unisce alla dea.

ANALIZZARE E INTERPRETARE

4. A livello narrativo, in che modo Omero crea l’attesa dell’elemento meraviglioso e magico? Individua tutti i riferimenti alla paura di Odisseo e dei compagni nell’avvicinarsi al palazzo di Circe.


5. Quali dettagli nella descrizione del palazzo di Circe sono funzionali a rimarcarne la magnificenza e la sontuosità? Completa la seguente tabella individuando nel brano le caratteristiche e gli epiteti attribuiti a ciascun elemento.


case di Circe  
porte  
valloni  
dimora  
trono  
vaso  
letto  

6. Individua gli epiteti riferiti a Circe. In quale atto è colta all’inizio del brano? Sulla base dei riferimenti forniti, secondo te, come viene rappresentata la maga?


7. Nella trasformazione dei compagni di Odisseo in maiali, e viceversa, c’è un aspetto che contribuisce ad attribuire a Circe tratti di umana compassione. Quale?


8. Secondo te, che significato assume la trasformazione dei compagni di Odisseo in maiali? A quale area semantica è associato questo animale? Esponi le tue considerazioni.


9. L’episodio di Circe ripropone il tema del rischio del non ritorno nel viaggio verso Itaca. La maga, infatti, riesce con le sue malie a trattenere presso di sé Odisseo e i compagni per un anno intero. Come reagisce Circe al desiderio di Odisseo di partire? Che differenza noti rispetto alla reazione di Calipso, quando gli dèi le ingiunsero di lasciar partire l’eroe?

 >> pagina 228 

COMPETENZE LINGUISTICHE

10. Lessico. Il brano omerico ci introduce al mondo della magia nella civiltà greca. Sul piano lessicale è interessante, però, constatare che il termine mago non fa parte del lessico di Omero: Circe non è mai chiamata “maga”. La parola, infatti, ha origine persiana e sarebbe entrata nella lingua greca solo nel V secolo a.C.: originariamente indicava il sacerdote e l’interprete di sogni presso i Medi e i Persiani, ma presto passò a significare genericamente stregoni e incantatori. I re Magi, provenienti per l’appunto da un lontano e imprecisato Oriente, che portarono in dono a Gesù bambino oro, incenso e mirra, erano sacerdoti e astronomi. Conosci altre parole italiane utili a definire persone, cose o concetti legati a fenomeni di alterazione magica della natura? Con l’aiuto del vocabolario, ricostruiscine l’etimologia.


11. Subordinazione e coordinazione. Il che al v. 344 (se non acconsenti a giurarmi, o dea, il gran giuramento / che non mediti un’altra azione cattiva a mio danno) ha valore di

  •     congiunzione causale.
  •     pronome relativo.
  •     congiunzione finale.
  •     congiunzione dichiarativa.

PRODURRE

12. Scrivere per descrivere. Il palazzo di Circe è presentato da Omero come una dimora sontuosa e magnifica: tu come lo immagini? Scrivi una breve descrizione (massimo 15 righe), inserendo i seguenti termini: salone, lucido, fiaccole, argento, colonne.

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

GEOGRAFIA

Dalla maga Circe prende il nome il promontorio del Circeo: fai una ricerca sulle caratteristiche geografiche di questo territorio, che, oltre a essere abitato da millenni, ha subìto nel corso dei secoli enormi trasformazioni (come la bonifica delle paludi Pontine durante il fascismo) ed è sede di un parco che ne tutela la ricca biodiversità.

 >> pagina 229 

LA VOCE DEI MODERNI

Le donne dell’Odissea secondo Claudio Magris

Claudio Magris, nato a Trieste nel 1939, è uno dei più grandi scrittori italiani contemporanei. Studioso di letteratura in lingua tedesca, soprattutto austriaca, ha acquisito notorietà internazionale con Danubio (1986), il resoconto di un viaggio dalle sorgenti del fiume in Germania fino alla foce nel mar Nero. Non si tratta solo di un quaderno di viaggio, ma anche di un itinerario di conoscenza dell’anima dei luoghi visitati, il cuore dell’Europa centrale, e degli autori del passato che vi hanno vissuto. In queste pagine, tratte da Itaca e oltre (1982), invece, l’autore restituisce ricordi vividi della sua adolescenza, nutrita di molte letture, tra cui quella dell’Odissea.


L’adolescenza è la stagione della teoria, inesorabile e rigida perché in essa confluisce, con una tirannica necessità di ordine, tutta l’indicibile e tesa nostalgia della vita. Verso la fine del liceo uno dei problemi che impegnavano i nostri dialoghi platonici1 e, nelle vacanze, i nostri epistolari2 sistematici era la classificazione dei sentimenti amorosi, dei modi in cui si presenta e viene vissuta la fascinazione dell’amore. Le categorie di Eros3 sono due o sono tre? Le diverse scuole filosofiche coinvolte nella disputa concordavano nel distinguere la categoria dell’appetitio4, dell’attrazione meramente sensuale ancorché5 assai forte, dalla categoria denominata perditio6, il perduto abbandono alla figura amata e l’oblio oceanico di tutto il resto, simile a quello che prende Tristano e Isolda7. Qualche dottor sottile8 ne instaurava una terza, l’affectio9, l’amore-amicizia fondato sull’unione di attrazione fisica e affinità intellettuale priva tuttavia di incanto tristanico10; altri ammettevano l’esistenza empirica11 dell’affectio e riconoscevano perfino che essa costituiva la maggior parte dei legami concreti, ma le negavano la dignità di categoria autonoma e la consideravano una zona intermedia, un compromesso accidentale12 fra le altre due.

L’Odissea forniva i prototipi13 di queste classi: Circe era l’appetitio, Calipso la perditio, Penelope l’affectio. Nausicaa resta un problema tuttora insoluto; secondo alcuni era la pura potenzialità indeterminata, un fiorire che può ancora diventare tutto, Circe, Calipso o Penelope. Altri – ma appena parecchi anni dopo – inclinavano a istituire sul suo modello una quarta classe, quella del vagheggiamento, ma la formulavano già in un’età meridiana della vita14, nella quale si indulge15 a scoprire altre e nuove categorie dell’amore, ma si è troppo lontani dal liceo per trovare loro quei bei nomi latini, che allora le universalizzavano16 con totalitaria innocenza.


C. Magris, Itaca e oltre, Garzanti, Milano 1982

L’emozione della lettura - volume C
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Epica