T6 - Pioggia senza fine (R. Bradbury)

Il tema: Mondi immaginari

T6

Ray Bradbury

Pioggia senza fine

  • Titolo originale The Long Rain, 1951
  • Lingua originale inglese
  • racconto fantascientifico
L’autore

Ray Bradbury nasce nel 1920 a Waukegan da una modesta famiglia dell’Illinois, negli Stati Uniti. Trasferitosi in California, dopo il diploma della scuola superiore, Bradbury, che non può permettersi di pagare l’università, studia da autodidatta chiudendosi per ore nelle biblioteche pubbliche. Inizia presto a interessarsi al mondo della fantascienza che, insieme all’horror e al poliziesco, diventerà il marchio di fabbrica della sua vasta produzione letteraria. Le sue opere tuttavia non costituiscono vie di fuga per “evadere” dal mondo reale, ma si interrogano con profondità sulla natura umana e sul difficile rapporto tra società e sviluppo tecnologico. Con Cronache marziane (1950), una raccolta di 28 racconti dedicati alla colonizzazione del “pianeta rosso”, Bradbury guadagna il primo successo internazionale. La sua opera più nota in assoluto è però Fahrenheit 451 (1953), romanzo ambientato in un futuro distopico in cui i libri vengono distrutti perché considerati sovversivi e pericolosi per l’ordine sociale. Dopo una carriera letteraria durata oltre settant’anni, in cui si è occupato anche di cinema e di teatro, Bradbury muore a Los Angeles nel 2012.

Quattro uomini sono dispersi su Venere in seguito a un incidente durante l’atterraggio della loro astronave. Sul pianeta cade una pioggia perenne, che favorisce la crescita continua di una vegetazione rigogliosa. Gli astronauti cercano disperatamente di raggiungere una Cupola Solare, unico riparo sicuro per gli esseri umani. Quando il racconto si apre, è già passato un mese dal naufragio ed essi vagano ancora senza risultati.

La pioggia continuava. Era una pioggia perenne, una pioggia dura e fumante, una
pioggia ch’era sudore; un prorompere, un irrompere, un precipitare d’acque, una
sferza1 sugli occhi, una trazione subdola2 alle caviglie sommerse; una pioggia da
inondare ogni altra pioggia, insieme col ricordo di tutte le altre piogge. Pioveva a

5      tonnellate una pioggia tambureggiante, che decapitava la giungla, tagliava gli alberi
come una enorme cesoia, tosava i prati e scavava gallerie nella terra e dissolveva i
cespugli. Rattrappiva le mani degli uomini in mani grinzose3 di scimmie; pioveva
una pioggia vitrea, una pioggia che non aveva mai fine.
«È ancora molto lontano, tenente?».

10    «Non lo so. Forse un miglio, o dieci, o anche mille».

«Non lo sapete di sicuro?».

«Come posso saperlo di sicuro?».

«Non mi piace questa pioggia. Se almeno sapessimo quanto ancora distiamo
dalla Cupola Solare, mi sentirei meglio».

15    «Un’ora o due di qua».

«Lo credete davvero, tenente?».

«Ma certo».

«O mentite per tenerci su il morale».

«Sì, mento per tenervi su il morale! Piantala!».

20    I due uomini erano seduti uno accanto all’altro nella pioggia. Alle loro spalle
sedevano due altri uomini, inzuppati, sfiniti, disfatti come gesso che si venisse
sciogliendo.
Il tenente levò gli occhi al cielo. Aveva una faccia che una volta era stata abbronzata,
ma ora la pioggia l’aveva dilavata fino a sbiadirla, a sbiancarla, e la pioggia gli

25    aveva annacquato il colore degli occhi, che erano bianchi, bianchi come i denti e
i capelli. Era tutto bianco. Anche la sua uniforme cominciava a diventare bianca, e
forse un po’ verde di muffe.
Il tenente si palpò la pioggia sulle gote.
«Quanti milioni di anni sono passati dall’ultima volta che ha spiovuto su Venere?»,

30    disse l’uomo che gli sedeva accanto.

«Non dire scemenze», rispose uno dei due alle loro spalle.

«Su Venere non spiove mai. Continua a piovere sempre, ininterrottamente, senza
fine. Mi trovo qui da dieci anni ormai, e non ho mai visto un minuto, nemmeno un
secondo, che non piovesse».

[…]

35    Attraversarono il fiume e nell’attraversarlo pensarono alla Cupola Solare, che li
attendeva, chi sa dove, più innanzi, tutta lucente sotto la pioggia della giungla. Una
costruzione gialla, rotonda e luminosa come il sole. Una casa alta cinque metri
e con un diametro di trentacinque, entro la quale c’era tepore, pace, cibo caldo,
liberazione dalla pioggia. E nel centro della Cupola, naturalmente, c’era un sole.

40    Una piccola sfera galleggiante di fuoco giallo, che si muoveva lenta nel vuoto sulla
sommità dell’edificio e che si poteva guardare da dove si stava seduti, a fumare, o a
leggere un libro, o a bere una buona cioccolata calda innaffiata di crema vegetale.
Ce lo avrebbero trovato, il sole giallo, grosso proprio come il sole che si vede dalla
Terra, un buon sole caldo e continuo, e il mondo piovoso di Venere sarebbe stato

45    dimenticato fino a quando fossero rimasti nella Cupola in dolce ozio.

[…]

«Fermi un istante!», disse ad un tratto il tenente. «M’è parso di vedere qualcosa
davanti a noi».

«La Cupola?».

«Non ne sono sicuro. La pioggia s’è infittita di nuovo e non si vede più nulla».

50    Simmons cominciò a correre:

«La Cupola! La Cupola del Sole!».

«Torna qui, Simmons!».

«La Cupola del Sole!».

Simmons scomparve nella pioggia. Gli altri si dettero a correre sulle sue tracce.

55    Lo trovarono in una piccola radura, e si fermarono di colpo e lo guardarono,
insieme con quello che aveva scoperto.
L’astronave.
Giaceva dove l’avevano lasciata. Chissà come avevano percorso un immenso circolo
ed ora si trovavano di nuovo là donde erano partiti. Tra i rottami dell’astronave,

60    verdi muffe spuntavano dalle bocche dei due uomini morti. E mentre il gruppetto
guardava allibito, quelle fungaie verdi presero a fiorire, i petali si sfogliarono sotto
la pioggia, i funghi morivano sotto i loro occhi.
«Come abbiamo fatto a perdere così facilmente la strada?».
«Si deve avvicinare qualche tempesta magnetica. Che ha fatto impazzire le nostre

65    bussole. Non vedo altra spiegazione».

«Deve essere così».

«E ora che si fa?».

«Si riprende la marcia».

«Gran Dio, non ci siamo avvicinati d’un passo alla Cupola!».

70    «Cerchiamo di prendere le cose con calma, Simmons!».

«Le cose con calma! Con calma! Ma questa pioggia mi fa sragionare!».

«Abbiamo viveri ancora per due giorni, se stiamo attenti».

La pioggia saltellava, danzava sulle loro epidermidi, sulle uniformi inzuppate,
grondava dai nasi e dalle orecchie, dalle dita e dalle ginocchia. Sembravano fontane

75    di pietra raggrumatesi nella giungla, che gettassero zampilli da ogni poro.

E mentre se ne stavano così, in lontananza esplose un urlo di tuono.

E il mostro emerse dalla pioggia.

[…]

«Ecco la tempesta magnetica», disse uno degli uomini. «È la tempesta che ha stravolto
le nostre bussole. E ci viene addosso».

80    «Tutti a terra!», ordinò il tenente.

«Scappiamo!», urlò Simmons.

«Non fare l’idiota! Buttati a terra. La tempesta si accanisce a colpire i punti più
alti. Abbiamo molte probabilità di cavarcela. Gettiamoci a terra a una ventina di
metri dal nostro razzo. Può darsi che la tempesta gli scarichi contro il nerbo4 della

85    sua forza e ci risparmi. Presto, giù!».

Gli uomini si appiattirono al suolo.

«Si avvicina?», si chiedevano a vicenda.

«Sì».

«Quanto sarà lontana ora?».

90    «Un duecento metri».

«E ora?».

«Eccola!».

Il mostro era giunto, incombeva su loro. Lanciò verso il basso dieci azzurri tentacoli
di folgore, che colpirono l’astronave. Il razzo lampeggiò emettendo un rintocco

95    metallico, come un gong sotto un colpo di martello. Il mostro scaricò altri quindici
tentacoli che saettarono intorno in una ridicola pantomima,5 a saggiare la giungla,
il terreno inzuppato di pioggia.

«No, no!». Uno degli uomini era balzato in piedi.

«Gettati per terra, idiota!», ordinò il tenente.

100 «No!».

La folgore colpì l’astronave un’altra dozzina di volte. Il tenente girò la testa sul
braccio e vide l’azzurro fiammeggiare dei lampi. Vide gli alberi spaccarsi e crollare in
rovina. Vide la mostruosa nube nera volgersi, in alto, come un nero disco roteante e
lanciare contro il suolo cento altri giavellotti elettrici.

105 L’uomo ch’era balzato in piedi stava ora fuggendo, e sembrava un uomo che corra
in un immenso salone a colonne. Correva, scansando le colonne, fino a che una
dozzina di quei pilastri s’abbatterono su di lui e s’udì lo sfrigolio che fa una mosca
posandosi sui fili roventi di un elettroinsetticida.6 Il tenente ricordava questo rumore

della sua infanzia, che aveva passato in una fattoria sulla Terra. E nell’aria aleggiò

110 l’odore di un uomo carbonizzato.

Il tenente abbassò il capo.

«Non guardate!», disse agli altri. Aveva una gran paura di mettersi a correre anche
lui, da un momento all’altro.

La tempesta sui loro capi scaricò un altro grappolo di saette e infine cominciò

115 ad allontanarsi. Ancora una volta ci fu soltanto la pioggia, che rapidamente lavò via
l’odore di cremazione e dopo qualche istante i tre superstiti si ritrovarono seduti in
attesa che i battiti dei loro cuori si placassero, tornassero normali.

Si diressero verso il corpo, pensando che forse c’era ancora qualche speranza di
salvare la vita del loro compagno. Non potevano credere che non ci fosse un modo

120 di aiutarlo. Era il gesto naturale di uomini che non hanno accettato la morte fino a
quando non abbiano potuto toccarla, volgerla supina e discusso se sia meglio seppellirla
o lasciarla inumare7 alla giungla in un’ora della sua crescita abnorme.

Il corpo era acciaio contorto, avvolto in cuoio riarso. Faceva pensare a un manichino
di cera che fosse stato gettato nell’incineratore8 e tirato fuori dopo che la cera era

125 colata nello scheletro carbonizzato. Soltanto i denti erano bianchissimi, e rilucevano
come un bizzarro braccialetto bianco scivolato fino a metà di un pugno stretto e nero.

«Non doveva alzarsi e mettersi a correre», dissero tutti, quasi nello stesso istante.

E mentre stavano ritti presso il corpo a guardarlo, esso cominciava già a scomparire,
perché la vegetazione lo stringeva da presso, lambendolo agli orli, esili tralci,

130 edera, altre piante rampicanti e perfino dei fiori, per il povero morto.

E in distanza la tempesta continuava ad andare su azzurri trampoli di folgore, e,
lontanissima ormai, scompariva del tutto.

Attraversarono un fiume, poi un ruscello, poi un torrente, e una dozzina d’altri
corsi d’acqua e canali e fiumane. Dinanzi ai loro occhi apparivano nuovi fiumi, impetuosi,

135 mentre i vecchi cambiavano il loro corso, fiumi che avevano il colore del
mercurio, fiumi che avevano la tinta dell’argento e dell’acqua.

E gli uomini giunsero al mare.

Al Mare Solitario. C’era un solo continente su Venere. Una terra lunga cinquemila
chilometri e larga duemila, e intorno a questa terra si stendeva il Mare Solitario,

140 che ricopriva l’intero pianeta flagellato dalla pioggia. Il Mare Solitario che si spingeva
sulla spiaggia pallida con un lievissimo ansare.

«Di qua». Il tenente indicò il sud col mento. «Sono certo che in questa direzione
si trovano almeno due Cupole Solari».

«Giacché c’erano, perché non ne hanno costruite cento di più?».

145 «Ne sono state costruite centoventi a tutt’oggi, no?».

«Centoventisei a tutto il mese scorso. Si è anche cercato di far votare una legge
dal Congresso, là, sulla Terra, l’anno scorso, per la costruzione di un’altra dozzina
di cupole, ma, figurarsi! sai come vanno queste cose. Per loro è molto meglio che
qualche decina di disgraziati impazzisca sotto la pioggia».

150 Si avviarono verso il sud.

Il tenente, Simmons e il terzo uomo, Pickard, camminavano sotto la pioggia,
sotto la pioggia che cadeva greve e lieve, greve e lieve; sotto la pioggia che precipitava,
martellava, non cessava di cadere sulla terra e sul mare e sugli uomini in marcia.

Simmons fu il primo a vederla:

155 «Eccola là!».

«Che cosa?».

«La Cupola del Sole!».

Il tenente batté le palpebre per togliersi l’acqua dagli occhi e alzò le mani
per proteggere le pupille dalle piattonate pungenti della pioggia.

160 In distanza, s’intravvedeva un giallastro bagliore ai margini della giungla,
presso il mare. Era infatti la Cupola del Sole.

Gli uomini si guardarono sorridendo.

«Avevate ragione, tenente».

«Un po’ di fortuna».

165 «Ragazzi, mi sento ritornare un leone, solo a vederla. Andiamo! L’ultimo che
arriva è un porco».

Simmons si mise a trotterellare verso la Cupola; gli altri lo imitarono automaticamente,
ansimando, sfiniti, ma senza restare indietro.

«Io voglio tutta una cuccuma9 di caffè», ansimò Simmons, sorridendo. «E perdio,

170 un’intera padellata di frittelle. E poi voglio starmene coricato là dentro, con la pancia
all’aria, per un’infinità di tempo, lasciando che il sole mi rosoli per tutto il tempo
che vuole. L’uomo che ha inventato le Cupole Solari, avrebbero dovuto dargli una
medaglia grossa come una frittata!».

Si misero a correre più veloci. Il bagliore giallastro si faceva sempre più forte.

175 «Chissà quanta gente è impazzita prima che trovassero la cura. E dire che era così
semplice». Simmons emetteva le parole ansimando in cadenza con la corsa. «Pioggia,
sempre pioggia! Molti anni fa. Trovo un tale. Un vecchio amico mio. In mezzo
alla giungla. Andava qua e là. Come un vagabondo. Sotto la pioggia. E continuava
a ripetere: “Non sono abbastanza pratico, per rientrare, per venir via dalla pioggia.

180 Non sono abbastanza pratico, per rientrare, per venir via dalla pioggia. Non sono
abbastanza pratico…”. Così all’infinito. Sempre le stesse parole. Povero disgraziato,
impazzito sotto la pioggia…».

«Risparmia il fiato!».

Ridevano tutti e tre. Giunsero davanti alla porta della Cupola del Sole, ridendo.

185 «Ehi, di casa!», urlò. «Portate subito caffè e frittelle!».

Nessuna risposta.

Varcarono la soglia.

La Cupola del Sole era vuota e tenebrosa. Non c’era nessun giallo sole sintetico
che galleggiasse con un acuto sibilo gassoso nel centro del soffitto celeste. Non cibo

190 preparato. Faceva freddo là dentro come in un sepolcreto. E attraverso migliaia di
sforacchiature recenti l’acqua filtrava dal soffitto, la pioggia cadeva, inzuppando i
folti tappeti, i massicci mobili moderni, spiaccicandosi sulle tavole di cristallo. La
giungla cresceva come una muffa nella sala, in cima agli scaffali e sui divani. La
pioggia si insinuava nelle fessure e veniva a cadere sui volti dei tre uomini.

195 Pickard cominciò a ridere senza far rumore.

«Smettila, Pickard!».

«Siamo serviti: né cibo, né sole, niente del tutto. Sono stati i venusiani…10 È chiaro».

Simmons annuì, con la pioggia che gli scorreva in mille rivoletti sulla faccia.
L’acqua gli scorreva sui capelli argentei e sulle sopracciglia bianche.

200 «Ogni tanto i venusiani vengono su dal mare e attaccano una Cupola del Sole.
Sanno che rovinando le Cupole Solari possono rovinare noi».

«Ma le Cupole non sono difese da artiglierie?».

«Certo». Simmons fece un passo di fianco per mettersi in un punto relativamente
asciutto. «Ma erano cinque anni che i venusiani non tentavano più colpi del genere.

205 Evidentemente, la sorveglianza si è rilassata e la Cupola è stata assalita di sorpresa».

«E i corpi dove sono andati a finire?».

«I venusiani li hanno portati con sé in fondo al mare. Ho sentito dire che hanno
un sistema divertentissimo di affogare un cristiano.11 Ci vogliono almeno otto ore
per morire affogati, col loro sistema. Una vera delizia».

210 «Scommetto che qui non è rimasta neanche una briciola da mettere sotto i denti»,
disse Pickard ridendo.

Il tenente lo guardò accigliato e col mento lo indicò a Simmons. Questi crollò
il capo12 e si diresse verso una camera su uno dei lati della sala ovale. La cucina era
sparsa di pagnotte inzuppate di pioggia e di carne su cui s’era formata una morbida

215 peluria verde. La pioggia trapelava da mille fori nel soffitto della cucina.

«Magnifico». Il tenente alzò gli occhi verso i fori del soffitto.

«Non credo che possiamo tappare tutte quelle falle e starcene qui al calduccio ad
asciugare».

«Digiuni, tenente?». E Simmons emise un lieve sogghigno.

220 «Vedo che la macchina del sole è stata spaccata. Il meglio che ci resta da fare è
ancora di cercar di raggiungere la prossima Cupola. Quanto dista da qui?».

«Non è lontana. A quanto mi ricordo, ne hanno costruite due molto vicine tra
loro. Forse, se aspettassimo qui, una spedizione di soccorso dall’altra Cupola
potrebbe…».

225 «Con ogni probabilità è venuta e se n’è andata già da qualche giorno. E manderanno
una squadra a riparare questa Cupola tra sei mesi, quando avranno avuto i
quattrini dal Congresso. Non mi sembra che ci convenga aspettare».

«Benissimo, allora. Mangeremo quanto resta delle nostre razioni e poi ci dirigeremo
verso la prossima Cupola».

230 Disse Pickard:

«Se almeno la pioggia non mi picchiasse in testa; mi basterebbero pochi minuti.
Se solo potessi ricordare che cosa sia non essere tartassati così». Si pose le mani sul
cranio, stringendolo tra le palme. «Mi ricordo che quando andavo a scuola un prepotente
aveva l’abitudine di sedersi nel banco dietro di me e si divertiva a pizzicarmi,

235 a pizzicarmi, a pizzicarmi, ogni cinque minuti, per tutto il santo giorno. La cosa
durava da settimane, da mesi. Avevo le braccia tutte indolenzite, sempre ricoperte
di lividi. E sentivo che sarei impazzito a forza di pizzicotti. Un giorno che dovevo
essere mezzo ammattito per il dolore, mi voltai di scatto, presi una squadra metallica
che usavo per i disegni di meccanica e quasi ammazzai quel maledetto schifoso.

240 Quasi gli tagliai quella testaccia piena di pidocchi che aveva in cima al collo. Se non
mi portavano via a viva forza, gli cavavo gli occhi, e intanto continuavo ad urlare:
“Perché non mi lascia stare? perché non mi lascia in pace?”. Per la miseria!». Le sue
mani premevano convulse il cranio, tremanti, contratte, mentre lui stava ad occhi
chiusi. «Ma ora che posso fare? con chi devo prendermela? a chi devo dire di piantarla,

245 di smetterla di tormentarmi? Questa maledetta pioggia, come quei pizzicotti,
sempre sulla carne, non senti altro, non c’è altro che la pioggia!».

«Arriveremo all’altra Cupola quest’oggi alle quattro».

«L’altra Cupola? Figurarsi! E se tutte le Cupole Solari su Venere fossero state distrutte?
Eh? Se ci fossero sforacchiature come queste in tutti i soffitti, e la pioggia

250 passasse per tutti quei fori, eh?».

«È un rischio che dobbiamo correre».

«Sono stanco di correre rischi. Voglio solo un tetto e un po’ di pace. Voglio starmene
per conto mio, in pace».

«Sono solo otto ore di marcia, se resisterai».

255 «Non ti preoccupare, resisterò benissimo». E Pickard si mise a ridere senza
guardarli.

«Mangiamo», disse Simmons, che lo teneva d’occhio.

Si avviarono lungo la costa, sempre verso il sud. Dopo quattro ore di marcia
dovettero piegare verso l’interno per aggirare un fiume, largo un miglio e dalla corrente

260 così rapida che non era navigabile con battellini come il loro. Dovettero fare
sei miglia verso l’interno fino a un punto dove il fiume sgorgava ribollendo dalla
terra, bruscamente, come una ferita mortale. Nella pioggia, essi avanzarono sulla
terraferma, ritornando verso il mare.

«Ho bisogno di dormire», disse finalmente Pickard. Si lasciò cadere per terra.

265 «Sono quattro settimane che non dormo. Ho tentato, ma non ci sono riuscito. Ora
dormirò qui».

Il cielo si andava facendo più scuro. La notte di Venere calava così nera ch’era
pericoloso muoversi in quelle tenebre. Simmons e il tenente caddero essi pure in
ginocchio, e il tenente disse:

270 «D’accordo, ora vediamo che si può fare. Abbiamo già tentato prima, ma dubito
che ci riusciremo. Dormire non sembra la cosa più facile, con un tempo come questo».

Si distesero supini, con la testa un po’ sollevata, in modo che l’acqua non avesse
a entrare loro in bocca, e chiusero gli occhi.

Il tenente aveva ogni tanto un sussulto, una contrazione.

275 Non dormiva.

C’erano cose che strisciavano sulla sua pelle. Cose che si accumulavano su di lui
a strati successivi. Le gocce cadevano e toccavano altre gocce e diventavano fiumi che
gli scorrevano sul corpo, e mentre i fiumi scavavano il loro letto nella sua carne, la
minuta vegetazione della foresta metteva radici nelle sue vesti. Sentiva l’edera aderire

280 e creare un altro indumento su di lui; sentiva i fiorellini sbocciare, aprirsi, sfogliarsi
in petali avvizziti e dissolti dalla pioggia, e intanto la pioggia, implacabile, gli
tamburellava sul corpo e sul capo. Nella notte fosforescente – perché la vegetazione
era diventata luminosa, ora – egli poteva scorgere gli altri due uomini come sagome
di tronchi caduti che si fossero ricoperti d’un mantello vellutato di erbe e fiori. La

285 pioggia lo colpiva sul collo. Si girò allora bocconi13 sul fango, sulle piante gommose,
e la pioggia gli lapidava la schiena, gli schiantava le gambe.

Ad un tratto, balzò in piedi e cominciò a spazzolarsi l’acqua di dosso. Mille mani
lo stavano toccando e lui non voleva più essere toccato. Non poteva più tollerare di

essere toccato. Annaspò barcollando, i pugni stretti, e colpì qualcos’altro e si accorse

290 che era Simmons, ritto sotto la pioggia, a starnutire umidità, a tossire e soffocare. E
ora anche Pickard era in piedi e urlava e correva qua e là, intorno a loro.

«Pickard!».

«Piantala! Piantala!», urlava Pickard. Sparò i sei colpi della sua pistola contro il
cielo notturno. Ai lampi degli spari essi videro eserciti di gocce di pioggia sospese

295 come in un’immensa ambra immobile, per un istante, esitare quasi intimorite dallo
scoppio, quindici miliardi di goccioline, quindici miliardi di lacrime, quindici miliardi
di ornamenti, gioielli in mostra su uno sfondo di candido velluto. Poi, tornate
le tenebre, le gocce, che in attesa di essere fotografate avevano arrestato la loro caduta
precipitosa, ricominciarono a piovere su di loro, pungenti, nube d’insetti fredda

300 e straziante.

«Basta! Basta!».

«Pickard!».

Ma Pickard stava ritto ora, immobile e solo. Quando il tenente accese una lampadina
tascabile e ne gettò il raggio luminoso sulla faccia bagnata di Pickard, gli

305 occhi dell’uomo erano dilatati e la bocca aperta, la faccia volta verso l’alto, così che
l’acqua cadeva e gorgogliava sulla sua lingua e cadeva e inondava gli occhi spalancati
e formava bollicine con un lieve sussurro di spuma intorno alle nari.14

«Pickard!».

L’uomo non rispondeva. Continuava a starsene là ritto, con le bollicine di pioggia

310 che scoppiavano tra i capelli sbiancati e braccialetti di gemme piovose gocciolanti
dai polsi e dal collo.

«Pickard! Noi ce ne andiamo. Riprendiamo la marcia. Vieni con noi».

La pioggia gocciava dalle orecchie di Pickard.

«Mi senti, Pickard?».

315 Era come urlare dentro un pozzo.

«Pickard!».

«Lasciamolo stare», disse Simmons.

«Non possiamo continuare senza di lui».

«Che altro possiamo fare, portarlo via di peso?». Simmons sputò pioggia. «Non

320 serve più né a sé né agli altri. Sapete che cosa farà? Resterà così come sta ora e morirà
affogato».

«Che cosa?».

«Ma come, non lo sapete ancora? con l’anzianità di servizio che avete su Venere,
credevo che lo sapeste. Resterà così, a testa alta, la faccia al cielo, lasciando che la

325 pioggia gli entri nelle narici e nella bocca. Respirando acqua».

«No».

«È così che hanno trovato il generale Mendt, quella volta. Seduto su una roccia,
la testa buttata all’indietro, intento a respirare la pioggia. I suoi polmoni erano pieni
d’acqua».

330 Il tenente volse ancora il raggio della lampadina tascabile verso quella faccia
dagli occhi fissi, le palpebre immobili. Dalle nari di Pickard uscì un lieve fruscio
gorgogliante.

«Pickard!». Il tenente gli diede un ceffone.15

«Non può neanche sentirvi», gli disse Simmons. «Due o tre giorni di questa pioggia

335 e non avete più né faccia, né gambe, né mani».

Il tenente si guardò una mano inorridito. Non se la sentiva più.

«Ma non possiamo lasciare Pickard qui».

«Ora vi mostro io che cosa possiamo fare».

Simmons sparò un colpo di rivoltella.

340 Pickard cadde nella terra trasudante pioggia.

Simmons disse:

«Non muovetevi, tenente. Ho la rivoltella pronta anche per voi. Pensateci bene:
sarebbe rimasto lì seduto, o in piedi, ad affogare; ormai non avrebbe più reagito. È
più spiccio così».

345 Il tenente continuava a guardare il corpo, ammiccando.

«Ma lo hai ucciso».

«Sì, perché diversamente lui avrebbe ucciso noi col peso che sarebbe finito per
diventare. Avete visto la sua faccia. Era pazzo».

Dopo qualche istante, il tenente annuì.

350 «Hai ragione».

Si allontanarono sotto la pioggia.

Nel buio, la loro lampada gettava un fascio di luce che perforava la pioggia solo
per qualche metro. Dopo una mezz’ora furono costretti a fermarsi per passare seduti
il resto della notte, straziati dalla fame, aspettando l’alba. E quando l’alba sorse, era

355 grigia e continuava a piovere come prima, e loro ripresero a camminare.

«Dobbiamo avere sbagliato i nostri calcoli», disse Simmons.

«No, fra un’ora saremo arrivati».

«Parlate più forte, non riesco a sentirvi». Simmons si fermò e sorrise. «Cristo»,
disse, toccandosi le orecchie. «Le mie orecchie. Sono schiattate e io non me ne sono

360 nemmeno accorto. Tutta quella pioggia, tanto ha fatto che è riuscita a ridurmi sordo
fin nelle midolla».

«Non senti assolutamente nulla?», domandò il tenente.

«Che cosa?». Gli occhi di Simmons avevano un’espressione stupita.

«Niente. Andiamo avanti».

365 «Io ho deciso di aspettare qui. Andate avanti voi».

«No, non te lo permetto».

«Non riesco a capire una parola di quello che dite. Proseguite voi. Io sono stanco.
Non sono affatto convinto che la Cupola del Sole si trovi in questa direzione. E se
c’è, sarà tutta bucherellata come quell’altra. Ho deciso di restare qui, seduto».

370 «Alzati subito!».

«Arrivederci, tenente».

«Non puoi mollare, così, proprio adesso».

«Ho una rivoltella qui con me che fa al caso mio. Ormai non m’importa più un
accidente di nulla. Non sono ancora impazzito, ma ci sono terribilmente vicino,

375 alla pazzia. E non ho nessuna voglia di crepare in quel modo. Appena sarete lontano,
conto di servirmi di questa rivoltella».

«Simmons!».

«Avete detto il mio nome. Posso leggerlo sulle vostre labbra».

«Simmons».

380 «Sentite, tanto è questione di tempo. O crepo adesso o crepo fra qualche ora.
Aspettate di arrivare a quest’altra Cupola, se mai riuscirete ad arrivarci, e troverete
che la pioggia passa allegramente dai buchi del soffitto. Allora sì che sarà bello vedere
che cosa farete!».

Il tenente attese ancora un po’ e infine prese ad allontanarsi sguazzando nella

385 pioggia. Si volse e chiamò Simmons ancora una volta, ma Simmons era sempre seduto
laggiù, la rivoltella tra le mani, in attesa che il tenente fosse scomparso. Scosse
il capo e con la mano indicò al tenente di proseguire per la sua strada.

Il tenente non udì nemmeno lo sparo.

Cominciò a mangiare i fiori, a mano a mano che camminava. Andavano giù abbastanza

390 facilmente, e non erano velenosi; ma non erano nemmeno molto nutrienti,
e lui, colto dalla nausea, li vomitò, un minuto dopo averli ingurgitati.

Una volta, strappate alcune foglie, cercò di farsene un cappello, ma era una cosa
che aveva già tentato; la pioggia gli strappava, gli disfaceva le foglie via dalla testa.
Appena staccata, la vegetazione imputridiva rapidamente e si dissolveva in minuzzoli16

395 grigiastri tra le dita.

«Ancora cinque minuti», si disse, «altri cinque minuti e poi entrerò nel mare e
continuerò a camminare. Noi non siamo stati creati per questo inferno d’acqua;
nessun terrestre è mai stato o sarà mai in grado di sopportare tanto. I tuoi nervi,
domina i tuoi nervi!».

400 Continuò a camminare, barcollando in un mare di melma e di foglie imputridite,
finché giunse ai piedi di una piccola altura.

In lontananza s’intravvedeva una debole macchia giallastra tra le fredde stelle
filanti della pioggia.

La seconda Cupola Solare.

405 Tra gli alberi, una lunga e tondeggiante struttura giallastra, a grande distanza. Per
un istante, egli ristette,17 vacillando, gli sguardi sulla Cupola lontana.

Poi cominciò a correre, ma a poco a poco rallentò, perché aveva paura. Non si
mise a chiamare. E se fosse stata la stessa Cupola? la stessa morta Cupola del Sole,
senza sole? si diceva.

410 Scivolò e cadde. «Resta disteso qui», si disse, «tanto è la Cupola di prima. Resta
qui dove sei. È tutto inutile. Bevi tutta la pioggia che vuoi».

Ma riuscì a levarsi, faticosamente, e attraversò parecchi torrenti, e la luce gialla
si faceva a poco a poco più forte, tanto che lui riprese a correre, coi piedi che calpestavano
specchi e cristalli, le braccia che flagellavano diamanti e pietre preziose.18

415 Si trovava ora davanti alla porta gialla. Le lettere scolpite su di essa dicevano Cupola

Solare n. 96. Egli portò la mano intorpidita su di essa per sentirne il contatto.
Quindi girò la maniglia ed entrò incespicando.

Rimase per un istante a guardarsi intorno. Alle sue spalle, le raffiche di pioggia si
abbattevano contro la porta. Davanti a lui, su una tavola bassa, della cioccolata fumava

420 in un bricco19 d’argento, con vicino una tazza ricolma di crema vegetale e melassa.20
E accanto, su un altro vassoio, si ammonticchiavano grosse tartine di bianca
carne di pollo, con pomodori appena tagliati e cipolline verdi. E da un sostegno
proprio davanti ai suoi occhi pendeva un morbido accappatoio di spessa spugna
verde, e in un angolo si vedeva una cesta dove gettare i panni bagnati e, a destra,

425 c’era un cubicolo dove raggi termici ti asciugavano perfettamente in un istante. E
su una sedia una uniforme di ricambio era in attesa del primo che ne avesse avuto
bisogno. Mentre più lontano il caffè fumava nelle calde coppe di rame, e si udiva un
grammofono suonare dolcemente un’aria serena, e c’erano scaffali di libri rilegati in
pelle rossa e nera. E accanto ai libri un lettino, un lettino morbido e profondo, su

430 cui si poteva stare distesi, ignudi e incauti, ad assorbire i raggi dell’abbagliante luce
ambrata che dominava la sala oblunga.21

Si portò le mani agli occhi. Vide altri uomini venirgli incontro, ma non disse nulla.
Attese, e infine aprì gli occhi e guardò. L’acqua che grondava dalla sua uniforme
gli formava una pozzanghera ai piedi e sentiva la pioggia evaporare dai suoi capelli,

435 dalla sua faccia e dal petto e dalle braccia e dalle gambe.

Ora stava guardando il sole.

Sospeso nel centro della sala, un gran sole giallo e caldo. Non emetteva suono
alcuno, e nella sala regnava il silenzio. La porta era stata chiusa e la pioggia non era
più che un ricordo del suo corpo intorpidito. Il sole, bene in alto nel cielo azzurro

440 della Cupola, era caldo, secco, bellissimo.

Egli riprese ad avanzare nella sala, e aveva già cominciato a spogliarsi.

Ray Bradbury, Pioggia senza fine, in Le meraviglie del possibile, a cura di S. Solmi e C. Fruttero, Einaudi, Torino 1992

a TU per TU con il testo

Leggendo Pioggia senza fine, abbiamo la sensazione di essere trasportati su Venere, a fianco dei quattro astronauti naufraghi che provano a salvarsi dal diluvio. Possiamo sentire l’acqua scorrerci sulla pelle, sbiancarci il volto e persino i capelli. Il clima ostile di Venere provoca rassegnazione e impotenza, perché non esiste riparo e la Cupola Solare è lontana e persa chissà dove tra la vegetazione umida. I compagni crollano uno dopo l’altro, mentre l’acqua non lascia scampo e cola dappertutto, perfino dentro l’anima.

Il testo trasmette l’angoscia crescente di chi è senza scampo: la pioggia è talmente forte che “annacqua” il colore degli occhi degli uomini, mentre funghi alieni crescono sulle loro divise, ma nel finale proviamo conforto per il calore domestico del sole artificiale, il caffè bollente, la presenza di altri umani… Entrare nella Cupola Solare è come essere tornati a casa dopo aver corso un grandissimo pericolo: per contrasto, la situazione estrema appena vissuta ci fa guardare con sollievo e amore a oggetti e riti quotidiani della nostra casa.

Il racconto descrive il viaggio spaziale senza cadere nel mito della conquista o della frontiera: su pianeti inadatti per la vita umana e addirittura ostili, ciò che veramente conta è portare a casa la pelle. Anche quando ambienta i suoi racconti in mondi lontani, Bradbury non dimentica mai le esigenze basilari dell’uomo, come quella di un tetto o di un pasto caldo.

 >> pagina 265 

Analisi

Quattro astronauti sono dispersi sul pianeta Venere ormai da un mese, dopo un atterraggio sfortunato del loro razzo stellare: l’impatto ha infatti distrutto l’astronave e ucciso due membri dell’equipaggio. La superficie di Venere è battuta da una pioggia ininterrotta: gli uomini, che si orientano nella giungla con il solo ausilio della bussola, cercano disperatamente di raggiungere una Cupola del Sole, unico luogo asciutto in grado di offrire salvezza e riparo.

I quattro attraversano un fiume ribollente di terra e pioggia grazie a un “battello portatile”, che è possibile ingrandire e ridurre a piacimento. Sull’altra sponda, tuttavia, li aspetta una brutta sorpresa: invece della Cupola, gli uomini si trovano davanti il relitto dell’astronave e i corpi putrefatti dei compagni morti. Il tema portante del racconto appare da subito quindi quello del viaggio nell’ignoto, frequentissimo nella fantascienza: in questo caso, l’ignoto è reso attraverso l’esasperazione di un elemento comune come la pioggia.

Ancora scossi dall’amarezza per aver girato in tondo ed essere tornati al punto di partenza, gli uomini vengono improvvisamente colti da una tempesta magnetica. Uno dei quattro, preso dal panico, fugge disobbedendo agli ordini del tenente e finisce fulminato: una volta passata la tempesta col suo grappolo di saette (r. 114), i superstiti contemplano ciò che resta del compagno, il cui cadavere, completamente sciolto e carbonizzato, è avvolto dalla vegetazione di Venere.

Ripreso il cammino, gli astronauti giungono al mare, presso cui sorge la Cupola Solare. Sfortunatamente, la gioia per la meta raggiunta si trasforma presto in smarrimento e angoscia. La Cupola, vuota e tenebrosa (r. 188), fredda come una tomba, è stata distrutta dai venusiani, in una delle loro incursioni contro gli invasori terrestri. Gli uomini decidono infine di mettersi in cammino lungo la costa, nella speranza di raggiungere un’altra Cupola. Nel frattempo, le condizioni mentali di Pickard, uno dei superstiti, peggiorano sempre più: la pioggia fiacca la sua resistenza psicologica e lo conduce prima al delirio e poi alla perdita di ogni volontà di reazione. Simmons, uno dei compagni, decide di sparargli per evitargli una inutile sofferenza.

Nella scena emergono due temi classici della narrativa fantascientifica: l’impotenza di fronte a fenomeni naturali incontrollabili (oltre alla pioggia, la tempesta magnetica) e il motivo dell’alieno. Anche se Bradbury dedica solo rapidi cenni agli abitanti di Venere, la loro presenza incombe in modo inquietante (Ogni tanto i venusiani vengono su dal mare e attaccano una Cupola del Sole. Sanno che rovinando le Cupole Solari possono rovinare noi, rr. 200-201). Tuttavia, gli alieni non sembrano spinti da un disegno malvagio, ma soltanto dalla volontà di difendersi dagli invasori terrestri.

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I due superstiti si rimettono in marcia verso la Cupola, ma poco dopo Simmons diventa sordo a causa della pioggia. Sentendosi senza speranze e ormai prossimo alla pazzia, preferisce rinunciare e prega il tenente di lasciarlo solo con la sua rivoltella. Abbandonato il compagno al suo destino, il tenente riesce a raggiungere la meta con un estremo sforzo di volontà, ma questa volta la Cupola è in funzione. L’uomo, incredulo, entra nel ricovero e si mette finalmente in salvo. Il viaggio del protagonista si avvicina così al tipico epilogo del ritorno a casa. Anche se il tenente non è mai stato prima nella Cupola, entrarvi significa riconquistare una dimensione perduta e ripristinare condizioni adatte alla vita, dopo aver fortemente rischiato di perderla.

Per rendere l’atmosfera invivibile di Venere, Bradbury sfrutta il meccanismo del fantastico basato sull’esagerazione. L’autore prolunga all’infinito una condizione climatica ben nota a chiunque, la pioggia, facendola così uscire dall’ordinario. Fin dal primo paragrafo, egli sfrutta infatti la figura retorica dell’iperbole per rendere il continuo diluvio di Venere (una pioggia da inondare ogni altra pioggia, insieme col ricordo di tutte le altre piogge, rr. 3-4). Anche la ripetizione contribuisce a evocare l’insistenza della pioggia e la crescente disperazione degli uomini: lo stesso motivo viene infatti replicato con immagini sempre diverse (per esempio similitudini: la pioggia tagliava gli alberi come una enorme cesoia, rr. 5-6; metafore: le gocce di pioggia sono una nube d’insetti fredda e straziante, rr. 299-300; analogie:le fredde stelle filanti della pioggia, rr. 401-402; ).

Grazie a questi espedienti retorici, lungo le pagine si realizza un progressivo incremento della tensione, combinato alla creazione di aspettative che poi vengono tradite: nell’attimo in cui gli uomini giungono alla prima Cupola Solare, le speranze sono frustrate dalla brutta sorpresa; al contrario, quando il tenente arriva alla seconda Cupola, ormai allo stremo delle forze, e tutto sembra far presagire un epilogo tragico, rimaniamo piacevolmente spiazzati dinanzi al finale aperto e in fondo ottimistico del racconto, con il tenente finalmente in salvo che avanza nella Cupola e inizia a togliersi gli abiti fradici.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false, poi correggi quelle che ritieni false.

a) La prima Cupola a cui gli astronauti arrivano è rotta perché i venusiani sono riusciti a spaccare la macchina del sole.

  •   V       F   

b) A un certo punto, gli astronauti si accorgono di aver girato in tondo perché hanno sbagliato a consultare la mappa.

  •   V       F   

c) Su Venere c’è un solo continente, circondato dal Mare Solitario.

  •   V       F   

d) La pioggia, su Venere, ha sempre la stessa intensità.

  •   V       F   

e) Nonostante cerchi di dormire, il tenente non riesce a farlo perché percepisce la continua crescita della vegetazione attorno e su di lui.

  •   V       F   

f) Quando impazzisce a causa del continuo martellare della pioggia, Pickard si suicida sparandosi.

  •   V       F   

g) Quando si accorge di essere diventato sordo, Simmons chiede al tenente di sparargli.

  •   V       F   

h) Quando arriva alla Cupola Solare n. 96, il tenente vi trova cibo e bevande calde.

  •   V       F   

2. Il racconto comincia quando l’avventura degli astronauti è già iniziata da tempo. Rintraccia nel testo gli elementi che giustificano questa affermazione.

3. Quanto dura il viaggio degli astronauti effettivamente raccontato nel testo? Individua gli elementi che ti permettono di assegnare una durata approssimativa alla vicenda.

4. I personaggi del racconto sono debolmente caratterizzati, ma si distinguono per gli atteggiamenti che li portano alla morte o alla salvezza. Scegli, tra gli aggettivi che ti vengono proposti, quello che ti sembra più appropriato per ciascun personaggio e motiva la tua attribuzione (non devi usare tutti gli aggettivi):

• razionale • impulsivo • sfrontato • tenace • cinico • impressionabile • fragile • debilitato • coraggioso

5. Quali sono gli effetti della pioggia continua sugli uomini e sull’ambiente? Completa la tabella.


Su pelle e capelli  
Sul ritmo sonno-veglia  
Sul respiro  
Sulla vegetazione  
Sul terreno  

 >> pagina 267 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

6. Quali tipi di sequenze prevalgono nel racconto? Quale effetto relativo alla durata della vicenda riescono a creare? Rispondi riflettendo anche sui tempi verbali.

7. Nel racconto sono presenti tre flashback (rr. 108-110, 177-182, 233-242) in cui i personaggi (il tenente, Simmons, Pickard) ricordano eventi del proprio passato. Rifletti sulla funzione di questi ricordi all’interno del testo anche considerando che: a) la loro lunghezza è crescente; b) il primo riguarda un ricordo generico, il secondo un fatto avvenuto a un’altra persona rispetto a chi parla, il terzo un fatto avvenuto a chi parla.

8. Il bosco, la foresta, la giungla sono ambienti tipici delle narrazioni avventurose e fantastiche, e sono spesso popolati da creature ignote e pericolose. La giungla che ricopre il pianeta Venere, invece, appare disabitata, ma ugualmente ostile e inospitale, “aliena” per gli astronauti che la attraversano: perché? Motiva la tua risposta con elementi del testo che ti sembrano particolarmente significativi.

9. Rileggi i passi in cui vengono descritti gli astronauti morti: è possibile affermare che essi vengono “disumanizzati”? Motiva la tua risposta con elementi del testo che ti sembrano particolarmente significativi.

10. Rifletti sulla descrizione della tempesta magnetica (rr. 76-115): quali caratteristiche le vengono attribuite e quale effetto produce questo tipo di descrizione?

11. Scegli il passo del racconto in cui, a tuo parere, è più evidente il meccanismo della suspense e spiega il motivo della tua scelta.

 >> pagina 268 

COMPETENZE LINGUISTICHE

12. Punteggiatura e sintassi. A un certo punto Simmons pronuncia un breve discorso ansimando in cadenza con la corsa (r. 176). Come viene riprodotto, nel testo, l’ansimare del personaggio? Riscrivi il discorso come se fosse pronunciato normalmente, inserendo almeno una congiunzione subordinante.

13. Lessico. Nel racconto, la descrizione della pioggia è fondamentale per creare un’atmosfera di tensione e angoscia crescenti. Questi sono alcuni dei verbi che nel testo vengono associati a essa: aiutandoti con il dizionario, spiega il loro significato e poi scrivi, per ciascuno, una frase in cui tali verbi non siano riferiti alla pioggia.

  • Tambureggiare                                                                                                                                               
  • Dilavare                                                                                                                                                            
  • Grondare                                                                                                                                                          
  • Martellare                                                                                                                                                        
  • Gorgogliare                                                                                                                                                      

PRODURRE

14. Scrivere per descrivere. Uno degli elementi che caratterizzano il racconto è la descrizione minuziosa della pioggia che cade incessante su Venere. Ma se il pianeta fosse stato battuto da un sole cocente? Riscrivi il paragrafo iniziale (rr. 1-8) sostituendo alla parola “pioggia” la parola “sole” e modificando, di conseguenza, tutto ciò che ritieni necessario affinché la descrizione sia coerente ed efficace.

15. Scrivere per raccontare. Il racconto termina in modo positivo e rassicurante, ma che cosa sarebbe successo se anche la Cupola Solare n. 96 fosse stata fuori uso o se il tenente avesse incontrato un ostacolo sul proprio cammino? Riscrivi la conclusione del racconto (dalla r. 407) immaginando un finale tragico.

16. Scrivere per confrontare. Come viene sviluppato, in questo racconto, il motivo dell’incontro con l’alieno? In che cosa differisce da altri racconti che hai letto o da film/serie televisive che hai visto?

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

SCIENZE

La descrizione che Bradbury dà di Venere è davvero rispondente alla realtà? Documentati con una ricerca sul web e prepara una breve esposizione orale.


ARTI VISIVE E DISEGNO

Spesso, nella narrativa fantastica e d’avventura, al racconto si accompagna una mappa dei luoghi in cui si svolge la vicenda. Disegna una carta dei territori attraversati dai naufraghi spaziali, ricordandoti di inserirvi tutti gli elementi presenti nel racconto (Cupole Solari, relitto della navicella, fiumi, Mare Solitario ecc.).

L’emozione della lettura - volume A
L’emozione della lettura - volume A
Narrativa