Le conquiste di Carlo Magno e il suo nuovo impero

9.1 L’ETÀ DEI CAVALIERI E CARLO MAGNO

Le conquiste di Carlo Magno e il suo nuovo impero

La stabilità che era stata raggiunta in Italia dopo la morte di Pipino e l’alleanza matrimoniale tra le dinastie franca e longobarda fu ben presto infranta dalle mire espansionistiche di Carlo, che in pochi decenni giunse a estendere i domini dei Franchi su gran parte dell’Europa occidentale.
Nel 771, dopo la morte del fratello Carlomanno, egli restò l’unico erede al trono. Le sue imprese gli sarebbero valse il soprannome di Magno, “il grande”, attribuitogli dal suo biografo Eginardo. Dal suo nome latino, Carolus, deriva inoltre il nome della dinastia carolingia, con cui vengono anche indicati i Pipinidi.

Carlo in Italia

Ripudiata la moglie, la figlia del re longobardo Desiderio, Carlo scatenò un nuovo conflitto con i Longobardi, che avevano occupato i territori di Ravenna e dell’ex esarcato bizantino, appartenenti al Patrimonio di San Pietro in seguito alla donazione di Pipino.
Fu il nuovo papa Adriano (772-795) a richiedere l’intervento di Carlo, che scese in Italia con i suoi cavalieri nel 774. Dopo aver conquistato la capitale del regno longobardo, Pavia, in seguito a un lungo assedio, egli pose fine al dominio dei Longobardi in Italia.
Carlo assunse il titolo di re dei Longobardi (rex Langobardorum), ma mantenne buoni rapporti con l’aristocrazia locale, guadagnandosi la sua fedeltà attraverso la donazione di terre e assicurando ai duchi ruoli importanti nell’amministrazione del regno.
La gestione dei territori conquistati non diede luogo a una vera e propria dominazione: Carlo infatti riconfermò la restituzione dei territori dell’Italia centrale alla Chiesa, come aveva fatto il padre pochi decenni prima, anche se continuò a esercitare la propria influenza politica e militare su queste terre. Il ducato di Spoleto, da tempo in mano ai re longobardi, entrò a far parte dei territori controllati dal regno franco d’Italia, mentre quello di Benevento rimase autonomo ancora per un lungo periodo.

Le spedizioni in Spagna

Dal punto di vista dell’allargamento dei suoi territori, per il regno franco l’intervento in Italia non fu particolarmente rilevante; esso valse soprattutto a confermare il legame tra i sovrani franchi e il papato, determinante per la legittimazione del loro potere. Molto più ampie furono invece le conquiste militari effettuate da Carlo nel resto d’Europa tra il 769 e l’804 ( ATLANTE, pp. 20-21). Nel 769 Carlo intervenne con successo per soffocare la ribellione dell’Aquitania, che trasformò in un regno sottomesso al dominio dei Franchi e affidò, nel 781, al figlio Ludovico. Nel 778 attaccò la Spagna, allora in mano agli Arabi, tentando di conquistare Saragozza. L’impresa non ebbe però successo e durante il ritorno, presso il passo di Roncisvalle ( DOSSIER, p. 234), sui Pirenei, i cavalieri franchi subirono un agguato attribuito ai musulmani ma in realtà attuato della popolazione basca, insediata in quei territori. L’episodio non influì comunque sulle mire espansionistiche dei Franchi verso la penisola Iberica: nell’801, infatti, Ludovico guidò una nuova spedizione militare contro la città di Barcellona che, insieme alla regione catalana, entrò a far parte della Marca Hispanica, importante Stato di confine sottoposto al dominio franco.

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DOSSIER LETTERATURA  Il paladino Orlando
La morte di Orlando in una miniatura del XII secolo.

Le vicende legate all’agguato di Roncisvalle entrarono a far parte della Chanson de Roland (Canzone di Rolando o Orlando), che racconta le gesta dei cavalieri di Carlo Magno. Tra i suoi protagonisti vi sono forse personaggi storici realmente esistiti, come lo stesso Rolando, corrispondente al signore della marca bretone Hruodlandus, citato dallo storico carolingio Eginardo tra i più fedeli compagni di Carlo Magno.
Il poema epico costituisce il più antico testo scritto in lingua francese. Risale appunto all’epoca carolingia e, insieme a racconti tradizionali e popolari, giunse a una stesura definitiva intorno all’XI secolo.
La propaganda dei Franchi attribuì l’agguato di Roncisvalle e la disfatta dei comites di Carlo agli Arabi, ma in realtà si trattò di un’imboscata dei montanari baschi, che occupavano le pendici pirenaiche. Questo espediente servì a conferire un’aura di celebrità al sacrificio dei cavalieri, poiché la contrapposizione tra cristiani e musulmani era molto sentita nell’Europa del tempo. 

L’avanzata nell’Europa orientale

Nello stesso periodo i cavalieri di Carlo Magno avanzarono verso est, nei territori dell’Europa centrale: a partire dal 772 conquistarono i territori dei Sassoni, nella regione compresa tra i fiumi Reno ed Elba. La guerra contro i Sassoni, ancora legati ai culti della tradizione germanica, fu legittimata dai Carolingi con il pretesto di una missione evangelizzatrice, ma in realtà la spedizione – che richiese numerosi interventi per soffocare nel sangue le ripetute rivolte della popolazione sassone – aveva lo scopo di conquistare nuove terre da distribuire ai guerrieri franchi e assicurare così la loro fedeltà al sovrano.
La sottomissione dei Sassoni permise di estendere il predominio franco anche sui territori vicini, abitati dai Bavari e dagli Alemanni. Da queste regioni i cavalieri di Carlo Magno, nel 796, mossero guerra contro gli Àvari, da più di due secoli insediati in Pannonia, lungo la valle del Danubio. Con questa campagna militare i Franchi posero fine alle loro scorrerie e imposero la propria influenza su vaste regioni dell’Europa centrale e dei Balcani.

L’incoronazione di Carlo Magno

Con la sua travolgente espansione territoriale Carlo Magno aveva trasformato il regno dei Franchi in una grande potenza, in grado di competere, almeno dal punto di vista militare, con gli altri due organismi statali che in quel periodo si contendevano il dominio del mondo mediterraneo: l’impero bizantino e quello arabo.
La posizione di Carlo era rafforzata dall’alleanza con il papato, basata su reciproci interessi. Se l’appoggio del papa era stato fondamentale per legittimare il potere dei sovrani carolingi, la potenza militare dei Franchi costituiva una sicurezza per la Chiesa di Roma. Il sodalizio tra Carlo e il pontefice fu confermato il giorno di Natale dell’anno 800 a Roma, con l’incoronazione di Carlo Magno a imperatore da parte di papa Leone III.
Le motivazioni del gesto papale si spiegano con le dinamiche diplomatiche occorse in quel periodo. L’autorità del pontefice era infatti stata incrinata dall’opposizione delle famiglie aristocratiche romane, che lo accusavano di aver occupato illecitamente il soglio pontificio. Nel 799 Leone III era stato addirittura imprigionato con l’accusa di comportamenti immorali, ma era riuscito a fuggire in Sassonia, dove Carlo gli aveva offerto rifugio. Grazie alla mediazione del sovrano franco, Leone III fu assolto da ogni colpa e la sua autorità venne ristabilita; in questo contesto, l’incoronazione di Carlo Magno rappresentò forse una sorta di ricompensa, sebbene alcuni storici l’abbiano interpretata soprattutto come un mezzo messo in atto dal papa per imporre il proprio controllo sulla nomina imperiale.

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La restaurazione dell’impero romano

Con l’incoronazione di Carlo Magno nasceva dunque un nuovo impero, idealmente erede dell’impero romano ma fondato sulla legittimazione della Chiesa. Per queste sue caratteristiche, l’impero di Carlo Magno è stato definito Sacro Romano Impero, con un’espressione che tuttavia non ricorre nelle fonti del tempo. Carlo fu in effetti abile nello sfruttare l’idea dell’eredità romana a fini propagandistici: il sigillo utilizzato per certificare i suoi atti ufficiali recava una formula onorifica composta dai titoli Pius, Felix, Perpetuus, Augustus (“pio, prospero, eterno, augusto”), gli stessi usati dagli antichi imperatori romani. Sull’altro lato del sigillo era inoltre raffigurata un’immagine di Roma con l’iscrizione Renovatio romani imperii (“restaurazione dell’impero romano”). In real­tà, però, le caratteristiche geografiche e politiche del nuovo organismo imperiale erano molto diverse da quelle dell’impero romano. Mentre il baricentro di quest’ultimo era stato sempre in Italia e nel Mediterraneo, il cuore dei domini carolingi era situato molto più a nord, attorno alla capitale Aquisgrana. Inoltre, le strutture statali e burocratiche dello Stato franco erano completamente diverse, come pure le dinamiche che ne caratterizzavano la vita economica e sociale.
In ogni caso, l’attribuzione del titolo imperiale a Carlo era in aperto contrasto con le pretese dei sovrani bizantini, che si consideravano i diretti discendenti dei Romani. L’impero d’Oriente non aveva però la possibilità di opporsi al corso degli eventi, poiché era scosso al suo interno da lotte di potere che avevano condotto alla deposizione dell’imperatore Costantino VI da parte della madre Irene (797) e a successive guerre civili, in cui furono coinvolti anche i domini bizantini nell’Adriatico.
Nell’812 Carlo accettò di restituire ai Bizantini alcuni territori conquistati (la città di Venezia e le coste dell’Istria e della Dalmazia) in cambio del riconoscimento ufficiale del suo titolo di imperatore. Anche Bisanzio si piegava dunque all’autorità di Carlo Magno, sovrano di un impero esteso su buona parte dell’Europa occidentale.

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Laboratorio DELLE FONTI I TESTI

L’impero cristiano di Carlo Magno

Nelle lettere che il monaco Alcuino, protagonista della rinascita culturale d’età carolingia, indirizzò a Carlo Magno nel 798 e nel 799 emerge con chiarezza il carattere sacro che gli intellettuali del tempo attribuivano all’organismo imperiale.

Prima che l’eresia si spanda ancor più attraverso il mondo dell’impero cristiano, che la pietà divina ha consegnato a te e ai tuoi figli per reggerlo e governarlo, alzati, uomo scelto da Dio; alzati, figlio di Dio, soldato di Cristo, e difendi la sposa del Signore Dio tuo che tu hai ricevuto da Lui per reggerla e conservarla.
Fino a oggi tre persone sono state al sommo nel mondo. La sublimità apostolica che occupa, come vicario, il seggio del beato Pietro, principe degli apostoli; ciò che è avvenuto al detentore attuale di questo seggio, la vostra venerabile bontà ha avuto cura di farmelo sapere1. Viene poi il titolare della dignità imperiale2, che esercita la potenza secolare della seconda Roma; con quale empietà il capo di questo impero è stato deposto3, non da stranieri ma da suoi concittadini, è una notizia che si è sparsa dappertutto. Viene in terzo luogo la dignità reale che il Nostro Signore Gesù Cristo vi ha riservato, designandovi come rettore del popolo cristiano. Essa è superiore in potenza alle due dignità precedenti, più illustre per la saggezza, più elevata per la dignità del vostro regno. È ora dunque solo su di te che riposa interamente la salvezza delle Chiese di Cristo, te, vendicatore dei delitti, guida degli erranti, consolatore degli afflitti, esaltazione dei buoni.
” 


Alcuino, Lettere tratte dal Liber pontificalis, in S. Guarracino, Storia dell’età medievale, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Milano 1992.



1 Si riferisce all’aggressione subita da Leone III da parte dei suoi oppositori aristocratici.
2 L’imperatore bizantino, riconosciuto come erede dell’impero romano fino all’incoronazione di Carlo Magno dell’anno 800.
3 Si riferisce alla congiura di corte contro l’imperatore bizantino Costantino VI.


  • Di quale incarico viene investito Carlo Magno?
  • Quali altre autorità sono citate? 

L’organizzazione dell’impero carolingio

L’ampiezza dei territori conquistati da Carlo Magno rese necessaria una riorganizzazione dello Stato. La struttura piramidale delle relazioni vassallatiche, caratterizzata da un’ampia autonomia dei poteri locali, rischiava infatti di rendere estremamente fragile il potere centrale del sovrano, impegnato nel difficile compito di governare popolazioni distanti tra loro ed eredi di tradizioni culturali molto diverse.
Il regno franco, come del resto era accaduto a tutti gli altri regni romano-germanici sorti dopo il crollo dell’impero romano d’Occidente, non era in grado di mantenere un esteso e costoso apparato burocratico. Nemmeno i tentativi di assegnare l’amministrazione statale alla popolazione di origine romana, attuati per esempio in Italia dai sovrani ostrogoti, avevano conferito la necessaria solidità alle nuove compagini statali. La soluzione adottata dai re carolingi per far funzionare le strutture fondamentali del regno, come l’amministrazione della giustizia, la riscossione dei tributi, l’arruolamento dell’esercito e il suo approvvigionamento, consistette da una parte nel ricorso a legami personali di fedeltà analoghi a quelli che caratterizzavano il sistema vassallatico (sebbene non sempre coincidenti con esso), dall’altra a una suddivisione territoriale in due tipologie di province, affidate a funzionari imperiali.
Alla prima tipologia appartenevano le contee, assegnate ai conti (dal latino comites, “compagni”); la seconda era costituita invece dalle marche (dal vocabolo di origine germanica marka, “segno”), attribuite ai marchesi; le marche erano sottoposte alle minacce di invasioni straniere o di ribellioni e avevano dunque una cruciale funzione di presidio, cioè di controllo, dei confini. Conti e marchesi erano i comandanti militari delle province e avevano il compito di radunare l’esercito quando l’imperatore lo richiedeva. Amministravano inoltre la giustizia e incassavano le tasse e le multe che gli abitanti delle province erano tenuti a pagare.
Analoghe a queste cariche erano quelle dei duchi, presenti per esempio nei territori italici un tempo sottomessi dai Longobardi o tra i Sassoni della Germania, dove la struttura amministrativa preesistente fu in parte mantenuta dai sovrani carolingi.
La parziale sovrapposizione di questa rete di funzionari con il sistema vassallatico consistette nel tentativo, attuato da Carlo Magno, di legare a sé conti e marchesi attraverso la concessione di benefici: i conti diventavano suoi vassalli giurandogli fedeltà e impegnandosi non solo a combattere per lui, ma anche ad amministrare la provincia che era loro assegnata (e che di solito non coincideva con le terre concesse in beneficio); in cambio del loro servizio, questi “funzionari” ottenevano diritti di sfruttamento dell’area da loro governata, come per esempio il permesso di trattenere le ricchezze incassate durante la carica.

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L’amministrazione delle terre

Lo Stato aveva a disposizione anche un altro ordine di funzionari, inviati personalmente dall’imperatore per controllare le attività dei conti e dei marchesi: i missi dominici (“gli inviati del signore”, cioè del padrone delle terre, il re). Si trattava generalmente di una coppia di funzionari, un nobile e un ecclesiastico, con il compito di controllare che le leggi emanate dai sovrani fossero rispettate; alla fine delle loro visite compilavano relazioni dettagliate di quanto avevano osservato. Il ruolo dei missi dominici risultò fondamentale per garantire l’unità dell’organizzazione amministrativa dell’impero: conti e marchesi godevano di una notevole autonomia e l’assenza di controlli diretti da parte del sovrano avrebbe potuto alimentare pericolose tendenze autonomistiche. Le visite degli inviati del re erano dunque l’unico sistema per mantenere un contatto frequente tra l’autorità del sovrano e le periferie dell’impero.
I re carolingi esercitavano la loro influenza anche sulle autorità ecclesiastiche, che controllavano grandi estensioni territoriali. A vescovi e abati, scelti direttamente dal sovrano, erano affidate spesso anche funzioni amministrative o missioni diplomatiche.
Periodicamente il re convocava un’assemblea di tutti i nobili e gli ecclesiastici (conti, marchesi, missi dominici e vescovi), il placito generale, in cui si discutevano questioni politiche, amministrative e religiose. In queste occasioni venivano promulgate le leggi – i capitolari, così chiamati perché formati da numerosi articoli, i capitula – valide in tutto l’impero.

La riforma monetaria

L’opera di unificazione e riorganizzazione dell’impero venne affrontata da Carlo Magno anche in ambito economico. Egli continuò le riforme monetarie iniziate dal padre e le estese anche ai territori della penisola Italica sottratti ai Longobardi.
La riforma più importante consistette nell’introduzione del monometallismo argenteo, vale a dire di un sistema monetario in cui l’unica moneta legale in circolazione era il denaro d’argento. Esso aveva un valore inferiore alle monete d’oro in uso nell’impero bizantino e, sebbene l’economia occidentale registrasse una netta contrazione del volume e del valore degli scambi, rappresentava spesso una moneta poco adatta a transazioni di una certa entità. Per questo motivo, per determinare il prezzo delle merci più costose vennero inventate delle “monete di conto” come la lira, multipli del denaro non corrispondenti a monete realmente in circolazione ( FOCUS).
La moneta argentea era in qualche modo l’espressione di una fondamentale debolezza dell’economia. Allo stesso tempo, tuttavia, essa ebbe una notevole importanza culturale, costituendo un fattore di identità per l’impero cristiano di Carlo Magno. 

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FOCUS • IERIOGGI
LIRA

Grazie alle riforme monetarie di Carlo Magno, l’Europa ebbe una moneta unica più di mille anni prima dell’introduzione dell’euro: la lira.
La lira, in realtà, non era in origine una moneta, ma un’unità di peso. I Romani la chiamavano “libbra” e corrispondeva a circa 325 grammi. Con l’introduzione del denaro di Carlo Magno, fu deciso che da ogni libbra d’argento si dovessero ricavare 240 denari. Non fu però stabilito alcun multiplo del denaro, cosicché per indicare il valore di beni particolarmente costosi si doveva far uso di cifre molto alte. Di conseguenza, nell’uso quotidiano si affermò l’abitudine di contare i denari ricorrendo a multipli materialmente inesistenti. Poiché da una libbra d’argento si ricavavano 240 denari, la “libbra” – e poi la “lira” – divenne multiplo del denaro secondo l’equivalenza: 1 lira = 20 soldi = 240 denari.
La lira nacque insomma sotto forma di “moneta-fantasma”, come l’ha definita lo storico dell’economia Carlo Cipolla, cioè come un’utile “moneta di conto” per stimare patrimoni di una certa entità. Tale sarebbe rimasta per gran parte del Medioevo e dell’età moderna. Nel XVI secolo il “computo a lire” fu ufficialmente introdotto in Piemonte – lo Stato che avrebbe realizzato l’unificazione della penisola –, mentre la svolta decisiva giunse con Napoleone, le cui riforme monetarie determinarono la scomparsa della lira in Francia ma la sua introduzione in Italia, questa volta come moneta realmente esistente e su base decimale.
Nel 1862, all’indomani dell’Unità d’Italia (1861), la lira divenne la valuta ufficiale del Regno d’Italia, e tale rimase anche sotto la Repubblica nata dopo la Seconda guerra mondiale.
L’autonomia monetaria degli Stati europei è gradualmente venuta meno in seguito alla costituzione di un sistema monetario comune. Questo processo si è concluso nel 2002, quando 12 Stati dell’Unione europea hanno adottato l’euro. Oggi la moneta europea è in vigore in 19 Paesi (la cosiddetta Eurozona). L’Europa, 1200 anni dopo Carlo Magno, ha nuovamente una moneta unica.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Quali furono le principali conquiste territoriali di Carlo Magno?
  • Quali relazioni diplomatiche intercorsero tra Carlo e il papa? Con quali vantaggi reciproci?
  • Come venne strutturata l’organizzazione imperiale in epoca carolingia?

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille