5.3 - L’evoluzione del modello urbano

5 L’UOMO E LA CITTÀ

5.3 L’evoluzione del modello urbano

I primi nuclei urbani nacquero nel Neolitico con l’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento, che portò alla cosiddetta rivoluzione urbana: dal villaggio di cacciatori-raccoglitori si passò a centri più grandi.

A partire dal 4000 a.C. circa si svilupparono le prime civiltà urbane vere e proprie, in particolare in Mesopotamia, in Egitto, nella valle dell’Indo e in Cina. In Grecia, dal V secolo a.C., il modello della città-Stato (pólis) influenzò le successive concezioni della vita sociale: qui nacque il concetto di cittadinanza, cioè l’insieme dei diritti derivati dall’appartenenza a un’entità politica. Le città erano diventate ormai sede del potere politico e religioso, che aveva i suoi simboli negli edifici monumentali dei templi, delle residenze dei potenti e delle magistrature cittadine.

All’inizio del Medioevo (V secolo d.C.) in Europa si verificò un declino delle dimensioni e dell’importanza delle città, causato dalla crisi politica ed economica che portò a una contrazione dei commerci. Nel Medio Oriente e in Cina invece le città fiorivano proprio perché erano al centro di grandi reti commerciali. In Europa il modello urbano tornò a prosperare con la rinascita economica e culturale verificatasi dopo il Mille. Simbolo di questa ripresa urbana furono i comuni medievali.

La rivoluzione industriale e il primo esodo rurale

Nel basso Medioevo e nella prima età moderna (dall’XI al XVII secolo) le città europee erano sede di autorità politiche e religiose, oltre che teatro di vivaci scambi commerciali; tuttavia la maggior parte della popolazione risiedeva ancora nelle campagne. La situazione cambiò con la prima rivoluzione industriale, che ebbe origine alla fine del XVIII secolo in Inghilterra e in alcune regioni dell’Europa centrale, e successivamente si estese in altre regioni europee, negli Stati Uniti e in Giappone. La meccanizzazione dell’agricoltura e la diffusione delle colture intensive lasciò molti abitanti delle campagne senza lavoro; questi si spostarono in massa verso le città – un fenomeno noto come primo esodo rurale –, dove vennero impiegati come manodopera nelle nascenti industrie manifatturiere.

Si sviluppò così il modello della città industriale, con una popolazione in rapidissima crescita: Londra, Parigi, Vienna e New York nella seconda metà del XIX secolo superarono il milione di abitanti. Tale incremento ebbe come conseguenza l’accentuarsi di alcune problematiche tipiche delle città contemporanee, per esempio l’inquinamento, la sovrappopolazione e la criminalità.

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Le città contemporanee, centri di servizi 

Con la terza rivoluzione industriale, che ha interessato i Paesi avanzati a partire dalla metà del XX secolo, i servizi hanno sostituito l’industria nel ruolo di settore trainante dell’economia. Molte delle città più grandi si sono così trasformate da centri industriali a sedi di attività che forniscono servizi. Spesso le aree industriali sorte entro i confini urbani sono state abbandonate in seguito al trasferimento delle fabbriche in zone più lontane o all’estero; gli ampi spazi dismessi sono stati riconvertiti in aree residenziali, commerciali, culturali o di uffici.

Nel frattempo, molte città dei Paesi in via di sviluppo, in America Latina, Asia e Africa, hanno vissuto in forma accelerata l’evoluzione delle città occidentali (spesso saltando alcuni passaggi, come quello industriale), e lo hanno fatto in un modo tumultuoso e caotico, che ha esasperato i problemi già manifestati nelle città europee.

Metropoli, megacittà, conurbazioni

Le città contemporanee hanno raggiunto dimensioni e livelli di complessità tali da spingere gli studiosi a inventare nuove definizioni per classificarle, basate sui livelli di grandezza e su specifiche caratteristiche. Queste definizioni però non sono sempre precise, e talvolta si sovrappongono.

Una metropoli è una grande città (di solito di oltre un milione di abitanti) che si distingue per essere un importante punto di riferimento per la regione in cui si trova.

Una metropoli di solito fa parte di un’area metropolitana, che comprende il territorio della metropoli e la zona circostante, costituita da campagne urbanizzate e centri minori inglobati dall’espansione della città più grande.

Un’area metropolitana con oltre 10 milioni di abitanti è chiamata megacittà ( focus). Attualmente se ne contano quasi 30 nel mondo, tra cui Tokyo, Mosca, Londra, New York, Mumbai, San Paolo ecc. e, con il progressivo aumento dell’urbanizzazione, il loro numero è destinato a crescere ( ATLANTE, pp. 26-27).

Due o più città, metropoli o megacittà possono fondersi per formare una conurbazione (per esempio quella che comprende le megacittà cinesi di Shanghai, Hangzhou e altri centri, per un totale di oltre 100 milioni di abitanti). Ancora più complesso, come vedremo, è il concetto di megalopoli.

FOCUS

Megacittà da record
Qual è la città più grande del mondo? La risposta a questa domanda è meno semplice di quanto possa sembrare. Se per “città più grande” si intende, come si fa di solito, città con il maggior numero di abitanti, allora tutte le statistiche sono d’accordo: la città più grande del mondo è la capitale del Giappone, Tokyo, con i suoi oltre 37 milioni di abitanti. Questo primato, però, vale solo se si considera l’area metropolitana, cioè il nucleo della città vera e propria unito ai suoi sobborghi e ai centri minori della periferia.
Se si considera invece la città propriamente detta, cioè quella soggetta al governo di un’unica amministrazione comunale, scopriamo che Tokyo è solo quattordicesima, con circa 9 milioni di abitanti, mentre la città più grande del mondo diventa la cinese Shanghai, che conta quasi 19 milioni di abitanti soggetti a un’unica amministrazione.
Se poi per “città più grande” non si intende il numero di abitanti, ma la grandezza fisica, cioè l’estensione dell’abitato, allora il primato va a New York, il cui tessuto urbano si estende su una superficie di 8683 km2, mentre Tokyo è al secondo posto con una superficie di 6993 km2.

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Sempre più grandi: le megalopoli

Le megalopoli – dai termini greci mégas, “grande”, e pólis, “città” – sono il più vasto tipo di insediamento urbano finora realizzato dall’uomo. A dispetto del nome simile, una megalopoli non è una megacittà, in quanto non è formata da un solo centro che si è espanso a dismisura; e non è neppure una conurbazione, perché i centri che la compongono non si sono uniti in modo tale da formare un unico, indistinguibile tessuto urbano. Una megalopoli è invece un insieme di centri urbani che si sono moltiplicati e allargati fino a formare un’unica realtà urbana, spesso di dimensioni regionali. In una megalopoli possono essere presenti aree poco popolate, come terreni agricoli e zone naturali (boschi o montagne), ma ciò che fa della megalopoli un’unica realtà è il fatto che gli insediamenti urbani che la compongono sono uniti da una fitta rete di vie di comunicazione (strade, autostrade e ferrovie) e scambi commerciali.

Il termine megalopoli fu usato per la prima volta negli anni Sessanta del Novecento per indicare l’area densamente urbanizzata nel Nord-Est degli Stati Uniti, che comprende le città di Boston, New York, Filadelfia, Baltimora e Washington; ma le megalopoli possono estendersi anche oltre i confini tra Stati, come nel caso di un’altra megalopoli americana, quella dei Grandi Laghi, che comprende le metropoli statunitensi di Chicago e Detroit e quelle canadesi di Toronto e Montréal ( carta). Una delle più estese megalopoli finora identificate è il Corridoio di Tokaido, che unisce gran parte dei centri urbani della costa giapponese affacciata sull’oceano Pacifico (tra cui Tokyo, Osaka, Kyoto e Kobe); qui risiedono oltre 80 dei 126 milioni di abitanti dell’intero Giappone ( carta).

In Europa è considerata una megalopoli la fascia che va dal Sud del Regno Unito fino alla pianura Padana in Italia, passando per il Benelux (l’area che comprende Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) e la Germania occidentale. Chiamata Dorsale europea, è detta anche “banana blu” a causa della forma e del colore che assume nelle fotografie notturne scattate dai satelliti ( carta).

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Slums, bidonvilles, favelas 

Si chiamano slums in India, bidonvilles in alcuni Paesi africani, favelas ( focus) in Brasile: le grandi baraccopoli che circondano le città dei Paesi in via di sviluppo o emergenti hanno molti elementi in comune. Sono i quartieri più degradati, sorti dove nessuno vorrebbe mai abitare: ripide alture (come molte favelas di Rio de Janeiro), aree paludose, discariche o zone contaminate da rifiuti chimici. Le precarie abitazioni sono fatte con materiali di recupero come assi o lamiere; le case crescono disordinatamente le une sulle altre, senza controllo. I servizi pubblici sono del tutto assenti: le strade non sono asfaltate e le abitazioni non hanno fognature, acqua corrente ed elettricità. Mancano scuole, ambulatori medici e ospedali (tranne quelli gestiti dalle organizzazioni umanitarie), così come qualsiasi forma di attività commerciale e produttiva.

Le baraccopoli sono il risultato dell’espansione urbana delle megacittà dei Paesi emergenti, e ospitano tutti coloro che, tra i milioni di persone emigrate dalla campagna, non riescono a integrarsi nel tessuto cittadino, trovandosi così costretti a sopravvivere per mezzo di espedienti, come il recupero e la vendita di materiali di scarto.

Si stima che nel mondo siano oltre 800 milioni le persone che risiedono nelle baraccopoli, concentrate soprattutto ai margini delle città indiane (la baraccopoli di Dharavi a Mumbai, per esempio, è una delle più grandi del mondo, con circa un milione di abitanti), del Sudest asiatico, africane e dell’America Latina.

I problemi che affliggono gli abitanti delle baraccopoli sono molti e gravi: estrema povertà, precarie condizioni di salute, abuso di droga, criminalità. I governi spesso non hanno le risorse per affrontare questa emergenza, e le organizzazioni umanitarie non sono in grado di aiutare tutti.

La speranza è che i benefici dell’espansione economica di alcuni Paesi, come India o Brasile, possano arrivare anche alle zone più sfortunate. Le statistiche sono incoraggianti: negli ultimi anni il numero degli abitanti delle baraccopoli è diminuito di oltre 200 milioni.

FOCUS

favelas, un futuro migliore
Per la loro estensione e per il numero di persone che li abitano (circa un quarto della popolazione totale del Brasile), i quartieri degradati delle metropoli brasiliane sono entrati nell’immaginario comune, tanto che il loro nome, favelas, è usato ormai per indicare anche le baraccopoli di altri Paesi.
Nate alla fine del XIX secolo, le favelas sono cresciute a dismisura dagli anni Settanta del Novecento, quando l’esodo rurale portò milioni di contadini nelle città. Attualmente in Brasile sono quasi 2000, delle quali 600 a Rio de Janeiro e 500 a San Paolo. Le favelas brasiliane condividono la maggior parte dei problemi delle baraccopoli del resto del mondo, ma inaspettatamente, negli ultimi anni, molte di esse sono state citate come esempio positivo di sviluppo urbano. Merito dell’espansione economica che ha interessato il Brasile, la quale, pur con tutte le gravi disuguaglianze economiche e sociali che sussistono nel Paese, ha portato un aumento del livello di benessere anche alle fasce più povere della popolazione. In molte favelas gli edifici in muratura hanno cominciato a sostituire le baracche, e si stanno diffondendo i servizi essenziali come le fognature, l’acqua corrente e l’elettricità. La speranza è che questo “modello” di sviluppo possa essere esportato anche nel resto del mondo.

La favela di Rocinha, a Rio de Janeiro.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Che cos’è una metropoli? E una megacittà?
  • Che cosa si intende per megalopoli? Che cosa distingue una megalopoli da una conurbazione?
  • Che differenza c’è fra uno slum, una bidonville e una favela?

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
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Da Roma imperiale all’anno Mille