TEMA 5 L’uomo e la città

5.1 Una città chiamata mondo

Per la prima volta nella storia, la vita urbana è divenuta una realtà che riguarda la maggior parte degli abitanti del pianeta. A partire dal 2010, infatti, la percentuale della popolazione che risiede nelle città ha superato quella delle campagne; inoltre una serie di fenomeni connessi al processo di globalizzazione economica e culturale sta contribuendo ad annullare le distanze tra comunità, popoli e culture, tanto che non appare più così fantascientifica l’ipotesi secondo cui, in un futuro prossimo, buona parte della superficie terrestre sarà coperta da un’unica, grande città.

La metafora del villaggio globale, utilizzata dal sociologo Marshall McLuhan per indicare la fitta rete di comunicazioni istantanee fra le varie parti del mondo, si può ormai estendere fino a includere gli scambi di persone, merci, beni e servizi. La nascita di sistemi di trasporto aereo e ferroviario veloci e a basso costo; la creazione di “autostrade digitali” sulle quali transitano quantità enormi di dati; la formazione di comunità virtuali come i social network; la sempre maggior diffusione del commercio online, che consente di procurarsi beni in qualsiasi parte del mondo senza passare per i canali di distribuzione tradizionali: tutti questi elementi permettono ormai a molti di dichiararsi “cittadini del mondo”.

D’altra parte, proprio questi aspetti della globalizzazione stanno contribuendo a mettere in crisi il modello di città “centralizzata”, sede fisica di istituzioni e punto di riferimento per le aree che la circondano. Come vedremo, infatti, la vita urbana non è più limitata all’esperienza della città tradizionale, la quale sta progressivamente cedendo il passo a modelli alternativi, dalla megalopoli alla conurbazione, dai sobborghi all’urban sprawl, che riflettono mutati stili di vita.

Il mondo in una città: le “città globali”

Se in futuro gran parte del pianeta pare destinata a far parte di un’unica città mondiale, oggi le peculiarità del mondo contemporaneo sembrano incarnarsi in alcune particolari città, divenute simbolo dei nuovi stili di vita legati alla globalizzazione, nonché i principali centri da cui le tendenze della stessa globalizzazione si irradiano verso altre città e Paesi. Si tratta, secondo la definizione della sociologa Saskia Sassen, delle città globali, che si distinguono per essere sede di importanti mercati commerciali e finanziari, dei quartieri generali delle multinazionali, delle più influenti istituzioni e organizzazioni internazionali.

Le città globali non sono necessariamente i centri urbani più grandi del mondo (anche se molte, come vedremo, sono megacittà e fanno parte di megalopoli): la città svizzera di Zurigo, per esempio, conta meno di 400 000 abitanti ma è una città globale in quanto sede di uno dei maggiori mercati finanziari mondiali, mentre la capitale del Bangladesh, Dacca, ha quasi 15 milioni di abitanti ma non è considerata una città globale.

Le città globali sono inoltre caratterizzate dalla presenza e dalla fusione di svariati stili di vita e culture, ospitano comunità di abitanti provenienti da quasi ogni Paese del mondo e, per la presenza di questi aspetti “globali” che trascendono le differenze tra Paesi, assomigliano l’una all’altra più che non alle altre città dello Stato in cui si trovano. Questa “omogeneità” nell’aspetto e nei servizi offerti è dovuta anche alla presenza, nel loro territorio, dei cosiddetti “non-luoghi” ( DOSSIER).

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DOSSIER CIVILTÀ  Fuori dal tempo e dallo spazio: i “non luoghi”
L’aeroporto di Heathrow a Londra.

Che cosa hanno in comune il terminal di un aeroporto internazionale, la hall di un grande albergo, il punto vendita di una catena di negozi di abbigliamento o di fast food, e un centro commerciale? Sono tutti “non luoghi”, secondo la definizione dell’antropologo francese Marc Augé.
Al contrario dei “veri” luoghi, o luoghi antropologici, la cui natura è influenzata dal luogo geografico in cui si trovano e dalla sua storia, i “non luoghi” sono ambienti fuori dallo spazio e dal tempo; fuori dallo spazio perché progettati appositamente per essere tutti uguali, in modo da risultare familiari a chiunque li visiti; fuori dal tempo perché in essi si vive in una sorta di eterno presente, con gli stessi servizi offerti a ogni ora (come il terminal di un aeroporto con negozi e ristoranti aperti 24 ore su 24). I “non luoghi” sono uno dei segni più evidenti della globalizzazione economica e culturale. Visitando le grandi città globali, da New York a Shanghai, da Rio de Janeiro a Milano, ci si imbatte in centri commerciali praticamente identici l’uno all’altro, con i negozi delle medesime catene che offrono prodotti uguali ovunque, e gli stessi ristoranti che propongono menu noti a tutti.
Un’altra differenza tra i luoghi antropologici e i “non luoghi” risiede nelle relazioni tra coloro che li frequentano. In un luogo “tradizionale” le relazioni e gli scambi sociali tra le persone sono un aspetto fondamentale; in un “non luogo”, invece, migliaia di persone possono passare una accanto all’altra senza entrare in contatto, dato che l’interesse principale di chi realizza questi ambienti non è favorire le relazioni tra persone, ma offrire loro beni e servizi. Secondo i detrattori della globalizzazione, la proliferazione dei “non luoghi” negli spazi urbani causerebbe un impoverimento del tessuto sociale della comunità, favorendo l’individualismo e il consumismo (cioè la tendenza a ridurre la felicità personale al possesso o all’acquisto di beni materiali). Ma la questione non è così semplice: l’uomo è per natura un animale sociale e lentamente sta imparando a riappropriarsi dei “non luoghi”. I grandi centri commerciali, per esempio, sono diventati uno dei contesti di socializzazione preferiti dai giovani.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Che cosa si intende per villaggio globale?
  • Quali sono gli elementi che caratterizzano le cosiddette città globali?
  • Perché le città globali tendono ad assomigliare l’una all’altra?

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
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Da Roma imperiale all’anno Mille