Il ruolo sociale e culturale della Chiesa

7.3 I LONGOBARDI IN ITALIA

Il ruolo sociale e culturale della Chiesa

Nella situazione di instabilità politica, di insicurezza sociale e di grande cambiamento culturale che caratterizzò l’alto Medioevo, la Chiesa assunse un’importanza sempre maggiore; le strutture ecclesiastiche supplirono al vuoto di potere seguito al crollo delle istituzioni statali dell’impero romano, rappresentarono un sicuro punto di riferimento nella società grazie al loro ruolo economico e ai compiti assistenziali verso la popolazione più bisognosa e, infine, garantirono la conservazione e la trasmissione del patrimonio culturale antico.

Il papato e le riforme di Gregorio Magno

A partire dalla fine del VI secolo, il papa venne riconosciuto da tutte le comunità cristiane d’Occidente come la suprema autorità politica e religiosa. La sua figura, l’unica in grado di elevarsi al di sopra delle contese che contrapponevano i regni romano-germanici, cominciò ad affermarsi come una guida morale e politica per tutta la popolazione europea al di là dell’appartenenza a una specifica compagine statale. Già prima della formazione di uno Stato della Chiesa come entità politica e territoriale, il ruolo del papato si concretizzò nell’influenza esercitata sui sovrani dei regni romano-germanici.
Da questo punto di vista una delle figure più importanti dell’epoca fu Gregorio Magno, che sostenne attivamente la conversione dei Longobardi al cattolicesimo. Il papato di Gregorio Magno non è però ricordato soltanto per la sua azione politica e diplomatica nell’Europa del tempo. Egli dimostrò grandi capacità anche nell’amministrazione del patrimonio economico ecclesiastico e impegnò le strutture della Chiesa in ambito sociale, impiegando il clero e le sue ricchezze nell’assistenza alle popolazioni colpite dalla crisi economica e sociale. Gregorio attuò inoltre un’importante riforma del clero, cacciando i vescovi che si erano macchiati di abusi di potere e violenze. Infine, introdusse rilevanti cambiamenti nella liturgia, cioè nell’insieme dei riti e delle cerimonie religiose. Tra questi va ricordata la sistemazione e la catalogazione dei canti utilizzati durante la messa, fino ad allora tramandati solo oralmente, chiamati in seguito “canti gregoriani”.

La Chiesa, unica certezza

La forza della Chiesa non era però limitata al ruolo politico e sociale – pur rilevantissimo – del suo vertice; grazie alla ormai secolare presenza nella società attraverso l’organizzazione capillare delle diocesi, la Chiesa assunse un posto sempre più importante all’interno di tutti i nuovi Stati romano-germanici. I vescovi acquisirono presto, accanto alla loro funzione di guida spirituale delle comunità cristiane, importanti compiti politici, sociali e amministrativi. Sulla scorta dell’operato di Gregorio Magno, la presenza della Chiesa nella società fu particolarmente rilevante nei periodi di crisi: in molti casi il clero costituì l’unica difesa della popolazione più debole, offrendo protezione da saccheggi e distruzioni provocati dalle guerre e garantendo la distribuzione di cibo durante le frequenti carestie.
Il prestigio sociale acquisito dalla Chiesa in questo modo contribuì a rafforzare anche la sua potenza economica. Come già negli ultimi secoli dell’impero romano, nei regni romano-germanici il clero era esente dalle tasse; il patrimonio economico ecclesiastico, inoltre, continuò ad accrescersi grazie alle donazioni di beni e terre a opera dei ceti più abbienti.

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Eremiti e monaci

Mentre una parte della Chiesa era impegnata direttamente nelle tradizionali strutture organizzative della società, le diocesi, nell’ambito del cristianesimo orientale e occidentale si affermarono altre forme di religiosità e di impegno spirituale e sociale. Alcuni fedeli – gli eremiti, come vennero chiamati dal termine greco éremos, “solitario” – si ritirarono in luoghi isolati, come i deserti della Siria e dell’Egitto. Richiamandosi all’esperienza dei primi martiri cristiani e all’esempio di Gesù, essi conducevano una vita ascetica fatta di preghiera e lunghi digiuni e segnata dalla rinuncia completa ai beni terreni.
Altri cristiani, pur vivendo in luoghi lontani dalle città, formarono comunità di preghiera insieme ad altri fedeli. Essi furono chiamati monaci (dal greco mónos, “uno”) perché, pur conducendo una vita di gruppo con altri confratelli, trascorrevano gran parte del proprio tempo nel raccoglimento interiore, pregando o svolgendo in solitudine le attività quotidiane necessarie al loro sostentamento.

Laboratorio DELLE FONTI I TESTI

L’opera degli evangelizzatori cristiani

In questo brano di Gregorio di Tours, vissuto nel VI secolo, si descrive un’astuzia attuata da un prete della Gallia meridionale per convincere i contadini di quella zona a convertirsi. 

C’era a Gévaudan un monte chiamato Helarius, che racchiudeva un grande lago. In certi momenti dell’anno, la folla dei contadini vi andava a gettare offerte. I contadini arrivavano, portando con sé cibi e bevande, e per tre giorni facevano festa. La pratica durò a lungo, finché un prete della città vicina si recò sul posto e predicò alla moltitudine. Dato che i suoi discorsi non avevano alcun effetto, egli fece innalzare nei pressi del lago una basilica dedicata a Sant’Ilario di Poitiers e vi depose le reliquie1 del santo. Poi disse al popolo: «Questo stagno non ha niente di sacro. Non insozzate le vostre anime con riti vani! Riconoscete Dio e venerate i suoi amici, venerate Sant’Ilario le cui reliquie riposano qui». Allora, toccati nel profondo del cuore, gli uomini si convertirono e presero a portare alla basilica tutte le offerte che in precedenza usavano gettare nel lago.” 


Gregorio di Tours, Storia dei Franchi, vol. II, Fondazione L. Valla-Mondadori, Milano 1981.



1 Ciò che rimane di qualcosa o di qualcuno. In ambito religioso è spesso riferito a oggetti appartenuti a un santo o ai suoi resti.


  • Perché il prete fa costruire una basilica?
  • Come cambia il comportamento dei contadini?

La diffusione del monachesimo

Il monachesimo era nato in Oriente fra il III e il IV secolo, ma a partire dal V secolo si diffuse anche in Occidente, in particolare in Italia e in Gallia. Alla base dell’impegno religioso dei primi monaci vi fu in molti casi l’opera di evangelizzazione dei popoli germanici ( LABORATORIO DELLE FONTI).
Sulle orme di Ulfila, il vescovo ariano che alla fine del IV secolo era riuscito a convertire i Goti, nel V secolo il monaco britannico Patrizio si era recato in Irlanda, evangelizzandone la popolazione. Sull’isola sorsero poi numerosi monasteri che, tra il VI e il VII secolo, diffusero il cristianesimo in tutta la Britannia. Nello stesso periodo altri monaci evangelizzarono l’Europa centrale, mentre nel IX secolo i monaci greci Cirillo e Metodio avrebbero convertito al cristianesimo anche le tribù nomadi di Slavi insediate nell’Europa orientale e nei Balcani.
Mentre nelle regioni orientali a diffondere la fede cristiana fu comunque soprattutto la Chiesa guidata dal patriarca di Costantinopoli, il monachesimo ebbe un ruolo determinante nel mondo occidentale. Qui i monaci, spingendosi come missionari pressoché in ogni parte d’Europa, compirono un’impresa fondamentale per l’affermazione politica e sociale della Chiesa e per la formazione dell’identità religiosa europea.
Gli evangelizzatori cristiani incontrarono ovviamente anche molte resistenze; più che tra i Germani, tuttavia, ciò avvenne tra le popolazioni rurali di origine romana, da secoli legate al paganesimo e rimaste in buona parte escluse dalla prima diffusione del cristianesimo, che aveva interessato prevalentemente i centri urbani. Nelle campagne, i riti pagani – in particolare i culti propiziatori tradizionali, legati alla fertilità dei campi – resistettero ancora a lungo e in molti casi vennero assorbiti dalla religione cristiana senza perdere le loro caratteristiche: il culto di molti santi cristiani nasconde in realtà la più antica venerazione di divinità pagane legate ai cicli delle stagioni o alle attività agricole.

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Laboratorio DELLE FONTI I TESTI

La Regola di san Benedetto

Il fondatore del monastero di Montecassino, san Benedetto, formulò un insieme di norme per regolamentare la vita monastica nei momenti di preghiera e nelle attività pratiche: si tratta della cosiddetta Regola, da cui è tratto il brano seguente. 

Il primo gradino dell’umiltà è l’obbedienza senza indugio. Questa è ben propria di coloro che non considerano nulla più caro di Cristo, per cui appena qualche cosa è stata comandata dal superiore, non possono soffrire indugio, come se il comando venisse da Dio. Se, allorché vogliamo ottenere qualche favore dai potenti, non pensiamo di farlo se non con umiltà e rispetto, quanto più bisogna supplicare il Signore Dio di ogni cosa con assoluta umiltà e sincera pietà! […] Sappiamo poi di essere esauditi non per le molte parole, ma per la purezza del cuore e la sincerità delle lacrime. Perciò la preghiera deve essere breve e pura, a meno che non venga prolungata per l’infervorante ispirazione della grazia divina. In coro tuttavia tale preghiera sia brevissima e, quando il superiore ha dato il segnale, tutti insieme si alzino in piedi. L’ozio è nemico dell’anima; perciò i monaci in determinate ore devono attendere al lavoro manuale e in altre ore, anch’esse determinate, alla lettura spirituale. E perciò crediamo che entrambi gli orari di tali occupazioni possano essere combinati in base al seguente ordinamento: cioè da Pasqua fino agli inizi di ottobre al mattino, uscendo all’alba, lavorino quanto è necessario fino circa all’ora quarta1; dall’ora quarta fin verso la fine dell’ora sesta1 siano occupati nella lettura. Finita sesta e levatisi da tavola, si riposino nel proprio letto in assoluto silenzio e se per caso qualcuno volesse leggere per conto suo, se ne stia a leggere senza dar fastidio a nessuno. […] Qualora poi le esigenze locali o la povertà richiedessero che i monaci siano personalmente occupati nella raccolta delle messi, non abbiano ad adirarsene, poiché allora sono veramente monaci se vivono del lavoro delle proprie mani come i nostri padri e gli Apostoli.” 


San Benedetto, Regola, V, 20, 48, trad. di G. Penco, La Nuova Italia, Firenze 1980.



1 Le ore erano calcolate partendo dall’alba, secondo l’antica consuetudine romana: l’ora quarta corrisponde alle dieci del mattino; l’ora sesta a mezzogiorno.


  • Come deve essere la preghiera secondo san Benedetto? 
  • Il lavoro manuale è presentato come un elemento positivo o negativo? Motiva la tua risposta.

La vita nei monasteri

Se l’importanza del monachesimo fu in origine legata alla diffusione del cristianesimo tra i Germani, nel corso dell’alto Medioevo i monaci acquisirono un ruolo sempre più importante nella vita economica e sociale di tutti i territori un tempo appartenuti all’impero romano d’Occidente.
Le residenze dei monaci, i monasteri, erano organizzate secondo severe regole di disciplina. I religiosi vi rimanevano per tutta la vita, rinunciando a qualsiasi proprietà personale e mantenendo un atteggiamento di obbedienza totale nei confronti dell’abate, il monaco che veniva eletto a capo della comunità. Vestiti sobriamente e dediti a un’esistenza caratterizzata dal voto di povertà, essi vivevano con quanto producevano le terre appartenenti al monastero.
Il monastero più importante fu fondato nel 529 d.C. a Montecassino (nel Lazio) da Benedetto da Norcia (480 circa-547), figura fondamentale del monachesimo occidentale. Verso la metà del VI secolo egli elaborò la Regola che porta il suo nome, un insieme di norme volte a disciplinare la vita comunitaria dei confratelli ( LABORATORIO DELLE FONTI). La formula che più di tutte è rimasta a simbolo e sintesi della vita monacale praticata e teorizzata da Benedetto è l’espressione latina ora et labora (“prega e lavora”).
La vita all’interno dei monasteri benedettini alternava infatti preghiera e attività manuali. Le giornate dei monaci iniziavano all’alba, quando essi si riunivano nella cappella per recitare le preghiere del mattino; quindi si dedicavano ai lavori nei campi, nelle stalle, nelle botteghe, nelle cucine o nelle biblioteche. Le loro attività venivano interrotte solo per brevi e poveri pasti, a base di cereali e di ortaggi, che dovevano essere consumati in assoluto silenzio. Nel pomeriggio si alternavano ancora momenti di lavoro ad altri di preghiera, fino alla cena e alle orazioni serali che concludevano la giornata.

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L’economia e la trasmissione della cultura

Se la vita dei monaci era caratterizzata dalla povertà e dalla rinuncia ai beni materiali, ciò non toglie che i monasteri diventarono i centri economici più vitali della società europea altomedievale. I primi monasteri, costruiti sui ruderi delle ville rurali abbandonate in seguito alle distruzioni provocate dalle invasioni germaniche, ereditarono la funzione economica che queste strutture avevano svolto nell’età tardoantica.
I monaci lavoravano le terre circostanti ai monasteri; i campi fornivano inizialmente i prodotti necessari per il sostentamento della sola comunità di monaci, ma nel corso del tempo, grazie ad acquisizioni, lasciti e donazioni, i possedimenti terrieri si ampliarono gradualmente. La maggior parte dei monasteri divenne del tutto autosufficiente o addirittura in grado di produrre eccedenze da immettere nei mercati locali. L’opera dei monaci fu importantissima anche per i lavori di bonifica e di dissodamento delle aree che, dopo il crollo dell’impero romano d’Occidente, erano state occupate da foreste e paludi.
Il ruolo economico dei monasteri non si esplicò comunque soltanto in ambito agricolo. In ogni centro, attorno alla chiesa – che costituiva il cuore della comunità – sorgevano magazzini, stalle per gli animali e botteghe artigianali.
Infine, nella società europea altomedievale il monachesimo ricoprì un ruolo culturale di inestimabile valore. Non solo i monasteri rimasero a lungo gli unici luoghi in cui venisse praticata qualche forma di insegnamento scolastico, ma attraverso la conservazione di un prezioso patrimonio di testi classici, i monaci garantirono anche la trasmissione della cultura greco-romana alle generazioni successive, senza la quale l’identità culturale europea non avrebbe avuto l’evoluzione che conosciamo. L’attività di copiatura dei testi antichi veniva svolta dai monaci amanuensi, che trascrivevano “a mano” gli antichi volumi nei tipici codici medievali. Gli amanuensi spesso non conoscevano la lingua dei testi che copiavano; nondimeno, il loro paziente lavoro ha permesso la conservazione dei testi originali e, in molti casi, ha prodotto vere e proprie opere d’arte, le raffinate miniature con cui i monaci usavano ornare le pagine.
Grazie alle biblioteche monastiche, dunque, numerose opere classiche – ma anche molti testi religiosi prodotti nei primi secoli della diffusione del cristianesimo – si sono salvate dall’oblio e sono giunte fino a noi.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Quale ruolo svolse la Chiesa nella società europea dopo la fine dell’impero romano d’Occidente?
  • A quali circostanze è legata l’importanza di Gregorio Magno?
  • Come erano strutturati i monasteri e quale ruolo ebbero nella trasmissione della cultura classica?
  • Quale formula sintetizza la Regola di Benedetto? 

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille