7.1 I REGNI ROMANO-GERMANICI

L’AMBIENTE E LE RISORSE

La rivincita delle foreste e il regresso economico

I concetti chiave

  • Il calo demografico, l’abbandono delle campagne e la riduzione dei commerci
  • I principali regni romano-germanici e la loro organizzazione
  • La diffusione del cristianesimo tra i popoli barbarici
  • Gli Ostrogoti di Teodorico in Italia

La caduta dell’impero romano d’Occidente fu un evento epocale non solo per le sue conseguenze politiche, culturali ed economiche; nell’ambito delle nuove strutture statali che nacquero dalla fusione tra gli invasori germanici e la popolazione romana preesistente – i regni romano-germanici, di cui tratteremo in questa Unità – si verificarono anche importanti trasformazioni dell’ambiente, del paesaggio e delle forme di insediamento presenti nel continente.
Il fenomeno dell’urbanesimo subì un radicale regresso, come pure il sistema viario che aveva servito le comunicazioni commerciali e militari durante l’età repubblicana e poi imperiale. Le città si spopolarono; molti centri abitati furono del tutto abbandonati in seguito alle devastazioni compiute dai popoli germanici nel periodo delle invasioni. Senza la costante manutenzione cui erano sottoposte, le strade si deteriorarono e le rotte marittime, non più controllate dalla flotta imperiale, rimasero esposte alle razzie di pirati e briganti. L’insicurezza dei commerci contribuì ad aggravare la contrazione degli scambi, dovuta alla crisi economica già in atto da tempo.

La diminuzione della popolazione

La crisi politica ed economica dell’Europa occidentale fu acuita da gravissime carestie seguite da altrettanto devastanti epidemie. Il crollo della produzione agricola provocò infatti una diminuzione della disponibilità di cibo e un impoverimento della dieta, che rese la popolazione più debole e soggetta alla diffusione di malattie. Alla contrazione demografica dovuta alle guerre e alle violenze si aggiunse dunque quella causata dalla fame e dai contagi. Il notevole calo demografico che interessò tutte le regioni un tempo appartenute all’impero riguardò anche l’Italia. All’epoca di Augusto e nei due secoli successivi vivevano nella penisola più di 7 milioni di abitanti; il loro numero diminuì bruscamente di circa un terzo durante la crisi del III secolo, e scese quasi alla metà nel V secolo, durante l’epoca delle invasioni e della caduta dell’impero d’Occidente ( FOCUS).

L’espansione delle foreste

La contrazione demografica e lo spopolamento non riguardarono soltanto le città. Anche nelle campagne – dove risiedeva la maggior parte della popolazione – si verificarono estesi fenomeni di abbandono degli insediamenti e dei campi coltivati. Vaste aree agricole furono lasciate incolte e il territorio europeo fu teatro di una nuova espansione delle foreste, che in molte regioni tornarono a occupare le terre disboscate e dissodate al tempo dell’occupazione romana ( CARTA, p. 102).

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FOCUS • IERIOGGI
LA POPOLAZIONE ITALIANA

Il numero degli abitanti della penisola Italica è variato notevolmente nel corso dei secoli, in relazione ai fenomeni politici ed economici che hanno caratterizzato la sua storia. Agli inizi della repubblica romana la penisola contava circa 4 milioni di abitanti, che crebbero di numero fino all’epoca di massimo splendore dell’impero, tra il I e il II secolo d.C.
La crisi dell’età tardoantica, con le guerre civili e le invasioni, riportò la popolazione a livelli di mille anni prima. Furono necessari molti secoli prima che la lenta ripresa demografica riportasse la popolazione italica alle cifre dell’epoca imperiale.
Dal basso Medioevo (dopo l’anno Mille) l’andamento demografico registrò nuovamente un notevole incremento, che continuò in modo costante, salvo brevi interruzioni provocate dalle epidemie di peste (la più grave delle quali colpì l’Europa nel 1347-1348), fino all’esplosione demografica dei secoli XIX e XX.
Oggi vivono in Italia circa 61 milioni di persone, in costante aumento grazie ai flussi di immigrazione provenienti dall’estero.

Andamento della popolazione italiana dal 400 a.C. a oggi.

Un’agricoltura arretrata

Accanto alla riduzione delle superfici coltivate, nell’epoca tardoantica e altomedievale l’agricoltura subì anche un netto regresso tecnico. I popoli germanici non conoscevano le evolute tecniche agricole praticate da secoli nel mondo romano.
Molti strumenti che richiedevano conoscenze tecnologiche avanzate (come gli argani e le gru per la costruzione degli argini o per la bonifica dei terreni) non furono più utilizzati. L’evoluzione degli attrezzi di uso quotidiano e dei metodi di lavorazione dei campi subì un arresto, anziché un progresso che li adattasse alle mutate condizioni produttive. Il tipo di aratro diffuso in gran parte delle campagne europee, per esempio, era uno strumento rudimentale, praticamente identico a quello delle antiche civiltà fluviali: adatto alle terre friabili dell’Europa mediterranea, era inadeguato al dissodamento dei terreni duri e compatti dell’Europa centrale e settentrionale. Anche il giogo per legare gli aratri al dorso degli animali da tiro era rimasto pressoché immutato per millenni.
Il declino demografico, l’abbandono delle campagne e il venir meno di un bagaglio tecnologico accumulato nei secoli determinarono una notevole riduzione della capacità produttiva dell’agricoltura europea. Essa rimaneva in grado di sfamare una popolazione ridotta, ma la sua capacità di generare esportazioni e flussi commerciali era decisamente compromessa.

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L’economia di sussistenza

Questa situazione era anche una conseguenza della nuova organizzazione delle aree rurali e dei rapporti sociali vigenti nelle campagne. Quando si insediarono nelle nuove terre, i Germani rimasero prevalentemente dediti alle attività militari, mentre i lavori agricoli continuarono a essere eseguiti dal ceto contadino di origine romana, spesso ridotto in condizioni servili.
All’interno delle nuove formazioni statali la divisione delle terre si fondò sul principio dell’hospitalitas, in base al quale un terzo dei possedimenti fondiari era assegnato ai nuovi dominatori, mentre il resto era lasciato ai loro antichi possessori. Questo tipo di organizzazione della proprietà fondiaria aggravò la diminuzione della resa produttiva dei campi, soprattutto perché, a differenza dei latifondisti di epoca romana, che avevano tratto grandi profitti dallo sviluppo delle colture più redditizie e dall’esportazione dei loro prodotti, i nuovi padroni non erano interessati all’espansione commerciale derivante dalla vendita dei beni agricoli.
Il regresso dell’agricoltura europea, a partire dal V secolo, fu un elemento del più ampio declino economico che accompagnò la fine dell’impero romano in Occidente. In questo contesto, i fattori di crisi tesero ad amplificarsi reciprocamente. Il crollo dei commerci, per esempio, determinò difficoltà nell’approvvigionamento dei metalli che aggravarono la contrazione delle attività artigianali, già colpite dallo spopolamento delle città. La mancanza di artigiani in grado di produrre strumenti complessi comportò il ritorno all’uso di attrezzi agricoli in legno che, essendo meno efficienti, determinavano rese inferiori. La diminuzione dei raccolti influiva a sua volta sulla disponibilità di cibo, alimentando una spirale regressiva che avrebbe caratterizzato a lungo l’economia e la vita sociale dell’Europa.
Analogamente, la riduzione degli scambi commerciali disincentivò gli investimenti nelle produzioni destinate all’esportazione, come l’olio e il vino. Il posto dei vigneti e degli uliveti fu preso, almeno dove le condizioni climatiche e le caratteristiche dei terreni lo permisero, dalle coltivazioni di cereali, che avrebbero costituito per secoli la base dell’alimentazione europea, ma che, essendo poco redditizie, non generavano profitti da reinvestire nel miglioramento delle tecniche agricole o nei commerci e nell’artigianato.
Il ritorno a un’economia di sussistenza si tradusse anche in una sostanziale scomparsa della circolazione monetaria e nella ripresa di attività che nell’economia romana erano divenute marginali. Per integrare le scarse risorse alimentari ottenute dalle attività agricole, la popolazione europea tornò a dedicarsi alla pastorizia, alla caccia e alla raccolta di vegetali spontanei.

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L’espansione di Costantinopoli

Non in tutti i territori un tempo dominati da Roma, tuttavia, la vita economica era regredita a condizioni quasi primitive. L’impero romano d’Oriente aveva anzi continuato a prosperare grazie ai traffici commerciali che collegavano le coste del Mediterraneo e l’Asia orientale con le sue grandi città: Alessandria d’Egitto, Antiochia e Damasco (in Siria), Efeso e Costantinopoli.
Quest’ultima, dominando lo stretto del Bosforo (che collega l’Egeo e il mar Nero), si trovava in una posizione geografica molto favorevole. La sua flotta controllava infatti tutte le rotte marittime mediterranee ( CARTA), attraverso le quali passavano i maggiori traffici, dal momento che i trasporti via terra erano costantemente minacciati dalle incursioni dei popoli germanici.
Le autorità imperiali orientali garantirono il buon funzionamento dello Stato, sostenendo le attività artigianali e la produzione agricola. Di conseguenza, i commerci registrarono un’ulteriore espansione, in particolare attraverso gli scambi con il lontano Oriente; da qui, nel VI secolo d.C., i mercanti di Costantinopoli diffusero in patria la lavorazione della seta. Nacque così un fiorente artigianato di questo prezioso e ricercato tessuto.

L’affermazione di Ravenna

Anche parte dell’Italia beneficiò dei legami politici ed economici con l’Oriente. La città di Ravenna costituì infatti un’eccezione – pressoché l’unica – nella generale decadenza urbana dell’Occidente.
Mentre i commerci regredivano e i centri urbani si spopolavano, la città adriatica conobbe un intenso sviluppo economico e culturale. La fortuna di Ravenna dipese in buona parte dalla sua importanza politica: scelta come capitale dall’imperatore d’Occidente Onorio nel 402, essa sarebbe diventata la capitale del regno ostrogoto alla fine del V secolo d.C. Ma la sua affermazione è anche strettamente legata alla sua posizione strategica. Circondata da paludi e da lagune, era quasi impossibile attaccarla da terra. Il collegamento con l’entroterra era mantenuto attraverso un’unica strada rialzata, facilmente controllabile, e il mare garantiva l’approvvigionamento dei rifornimenti anche in caso di assedio. Il fattore decisivo dell’ascesa di Ravenna fu appunto rappresentato dal mare e dal suo porto commerciale, che la collegava con le città più importanti del Mediterraneo. A Ravenna attraccavano le navi che trasportavano le spezie e le stoffe preziose provenienti dall’Oriente, molto ricercate dai sovrani dei regni indipendenti dell’entroterra europeo e dalle loro corti reali.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Quali trasformazioni ambientali si verificarono in seguito alla caduta dell’impero romano d’Occidente?
  • Che cosa significa che nei territori occidentali dell’impero si regredì a un’economia di sussistenza?
  • In quali condizioni economiche si trovava l’impero romano d’Oriente?

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille