Roma tra crisi e riforme: l’età dei Gracchi

4.3 L’ESPANSIONE NEL MEDITERRANEO

Roma tra crisi e riforme: l’età dei Gracchi

A trarre vantaggio dal grande afflusso di ricchezza proveniente a Roma dalle province furono solo i ceti sociali più ricchi, inseriti nel sistema politico o nella gestione economica degli affari dello Stato. La gran parte della popolazione, al contrario, subì gli effetti di una grave crisi economica dovuta alle guerre che si erano succedute per circa un secolo e che colpì soprattutto i piccoli proprietari terrieri dell’Italia centromeridionale.

Contadini e proletari

I piccoli agricoltori erano già stati danneggiati dall’occupazione cartaginese della penisola, durante la seconda guerra punica. Le lunghe campagne militari successive, inoltre, avevano trattenuto per anni lontano dall’Italia una parte consistente del ceto contadino italico che, al ritorno, si era ritrovato privo di mezzi per lavorare i propri appezzamenti di terra.
Per sfuggire alla miseria delle campagne, molti contadini si trasferirono quindi a Roma, dove si unirono alle masse del proletariato urbano ( LABORATORIO DELLE FONTI). Poveri e costretti a vivere di espedienti, i proletari erano inevitabilmente indotti a diventare clienti di uomini ricchi e senza scrupoli che, attraverso la corruzione, miravano alle più alte cariche politiche. Essendo cittadini romani, infatti, i proletari potevano partecipare ai comizi e all’elezione delle magistrature, che i cittadini più abbienti controllavano ottenendo il loro appoggio in cambio di donazioni di denaro o di false promesse elettorali. Il sistema garantiva la sopravvivenza di una parte del proletariato urbano, ma contribuiva a diffondere la corruzione nella vita politica romana.

I rischi politici e sociali della crisi

La crisi dei piccoli proprietari terrieri non era solo un problema di disuguaglianza sociale; rischiava infatti di causare gravi conseguenze anche nella società romana e nella tenuta delle istituzioni statali e dell’esercito. Le miseria del proletariato urbano era in primo luogo una minaccia all’ordine pubblico. Per evitare che il malcontento della popolazione degenerasse in pericolose rivolte sociali, lo Stato organizzava frequenti elargizioni pubbliche di grano o di denaro per la plebe di Roma. Erano previsti anche spettacoli gratuiti, che contribuivano a distrarre la popolazione dai problemi quotidiani e a diffondere tra l’opinione pubblica una fittizia sensazione di benessere.
La crisi dei piccoli contadini aveva avuto pesanti ripercussioni anche sull’organizzazione dell’esercito, riducendo sensibilmente il numero dei soldati arruolati. Solo i cittadini che possedevano un certo reddito, infatti, erano ammessi nelle centurie dell’esercito, mentre coloro che cadevano in miseria e diventavano proletari erano esentati dal servizio militare. Tuttavia senza nuove conquiste e senza un rigido controllo delle province l’afflusso di ricchezze a Roma avrebbe potuto interrompersi, con conseguenze nefaste per le finanze statali e la coesione sociale della città.

I vantaggi per i senatori

La crisi economica dei contadini aveva favorito i grandi proprietari terrieri, che, oltre ai territori confiscati ai nemici dopo le guerre in Italia, avevano acquistato i poderi venduti dagli agricoltori caduti in miseria.
I grandi proprietari, inoltre, erano membri dell’aristocrazia senatoria, e in quanto tali nominavano i proconsoli e i propretori che governavano le province, scegliendoli tra i magistrati che avevano terminato il loro mandato annuale. A differenza delle magistrature tradizionali, questi incarichi erano di lunga durata, e di conseguenza molto ambiti per il prestigio e le possibilità di guadagni che garantivano. Nella speranza di essere scelti come governatori, consoli e pretori erano portati ad allinearsi alla linea politica del senato durante il periodo del loro incarico.
Ai senatori era riservata anche la scelta dei giudici dei tribunali speciali che esaminavano i reati commessi nelle province. Per questo motivo, era difficile che condannassero un membro dell’élite senatoria, mentre erano inflessibili con i pubblicani e i membri dell’ordine equestre, le cui ricchezze insidiavano il primato politico del senato.

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Laboratorio DELLE FONTI I TESTI

Le drammatiche condizioni dei contadini romani

In questo brano dello storico greco Appiano, vissuto nel II secolo d.C., si descrive la difficile situazione dei contadini romani dopo la fine delle guerre puniche.

Difatti i ricchi, occupata la maggior parte della terra indivisa e resi più sicuri col passar del tempo che nessuno più l’avrebbe loro tolta, quante altre piccole proprietà di poveri erano loro vicine, o le compravano con la persuasione o le prendevano con la forza, sì da coltivare estesi latifondi al posto di semplici poderi. Essi vi impiegavano, nei lavori dei campi e nel pascolo, degli schiavi, dato che i liberi sarebbero stati distolti per il servizio militare dalle fatiche della terra. D’altro canto il capitale rappresentato da questa mano d’opera arrecava loro molto guadagno per la prolificità degli schiavi, che si moltiplicavano senza pericoli, stante la loro esclusione dalla milizia. In tal modo i ricchi continuavano a diventarlo sempre di più e gli schiavi aumentavano per le campagne, mentre la scarsità e la mancanza di popolazione affliggevano gli Italici, rovinati dalla povertà, dalle imposte e dal servizio militare. Se per caso avevano un po’ di respiro dalla milizia, si trovavano disoccupati, poiché la terra era posseduta dai ricchi, che impiegavano a coltivarla lavoratori schiavi anziché liberi.” 


Appiano, Guerre civili, I, 7, trad. di E. Gabba, La Nuova Italia, Firenze 1958.


  • Come è nato il latifondo e perché? 
  • Da dove provenivano gli schiavi utilizzati nei latifondi? 
  • Perché non veniva impiegata manodopera libera?

Ottimati e popolari 

La nobiltà romana, tuttavia, era divisa al suo interno in due fazioni:

  • i senatori più intransigenti nella salvaguardia dei propri privilegi, arroccati nella difesa dei loro patrimoni e nel mantenimento del potere, erano definiti ottimati (da optimi, “i migliori”, termine con la stessa valenza di áristoi nella Grecia arcaica);
  • popolari, invece, sostenevano la necessità di introdurre riforme sociali a favore della plebe, consapevoli che, se le classi più povere non si fossero risollevate dalla loro drammatica situazione economica, anche l’esercito si sarebbe indebolito e Roma non avrebbe più beneficiato dell’afflusso di ricchezze necessarie per mantenere la sua complessa organizzazione statale.

Il sostegno dei popolari alle istanze delle fasce più povere era mosso quindi dalla consapevolezza dei rischi che lo Stato romano – e dunque la stessa nobiltà – avrebbe corso se non fossero state attuate le riforme necessarie.
Il partito dei popolari era sostenuto anche dai membri dell’ordine equestre, che, avversati dagli ottimati, cercavano nei popolari una sponda politica alle loro istanze e ai loro interessi economici e finanziari.

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La posizione dei Gracchi

Verso la fine del II secolo a.C. due tribuni della plebe, Tiberio e Caio Gracco, cercarono di porre rimedio alla gravità della situazione, proponendo alcune riforme agrarie ( FOCUS) che prevedevano la limitazione dei latifondi e la tutela dei piccoli proprietari terrieri. Sebbene appartenenti a una famiglia nobile, la gens Sempronia, imparentata con gli Scipioni (erano nipoti di Scipione l’Africano per parte di madre, Cornelia), i due fratelli erano esponenti di spicco dei popolari. Essi compresero che, per risanare l’economia romana e rafforzare l’esercito, era necessario eliminare le cause che provocavano l’abbandono delle campagne e la disoccupazione dei contadini. A queste considerazioni si aggiungeva la preoccupazione che, con la crisi della plebe, tutte le risorse dello Stato sarebbero confluite nelle mani di pochi cittadini ricchi e potenti, minando gli equilibri istituzionali con il rischio di una probabile involuzione monarchica.

FOCUS • IERIOGGI
LE RIFORME AGRARIE

Nel corso della moderna storia italiana – dal Settecento in avanti – si sono succedute numerose riforme agrarie volte alla ridistribuzione di vaste estensioni di terre coltivabili, possedute da pochi grandi proprietari, a favore di una collettività o di un certo numero di coltivatori diretti privi di proprietà agrarie personali. Le riforme, spesso accompagnate da rivolte o violente rivendicazioni sociali, sono state di volta in volta attuate attraverso l’espropriazione forzata o tramite indennizzo ai grandi proprietari, mentre la cessione ai nuovi possessori è avvenuta a titolo gratuito oppure a prezzo agevolato.
Oltre a garantire l’equità sociale, le riforme agrarie sono state in genere finalizzate a migliorare i metodi di coltivazione e la qualità della produzione agricola.
Dopo i tentativi di riforma attuati nel Mezzogiorno in seguito all’Unità d’Italia (1861), un vasto moto contadino che chiedeva una ridistribuzione della terra emerse nuovamente all’indomani della Prima guerra mondiale (1919-1920). L’avvento del fascismo bloccò però ogni tentativo di porre rimedio a una distribuzione della proprietà agricola fortemente ineguale e inefficiente.
Il problema riemerse dopo la fine della Seconda guerra mondiale. L’ultima riforma agraria promossa in Italia risale aI 1950, con la distribuzione di vaste porzioni di terra dell’Italia centrale e meridionale ai braccianti agricoli, che divennero così piccoli imprenditori liberi. In seguito allo sviluppo industriale e alla fine dei grandi latifondi, non si sono più rese necessarie nuove riforme.

Il tentativo di Tiberio 

Tiberio Sempronio Gracco, eletto tribuno della plebe nel 133 a.C., ripropose un’antica norma, prevista dalle leggi Licinie-Sestie del 367 a.C., che era stata costantemente aggirata dai senatori grazie alla loro influenza politica. Essa, in teoria, avrebbe dovuto impedire che i grandi proprietari concentrassero nelle proprie mani patrimoni eccessivi (superiori a 500 iugeri, 125 ettari) attraverso la spartizione dell’ager publicus; in realtà, i latifondisti erano riusciti a occupare illegalmente le terre appartenenti al patrimonio dello Stato e ne avevano mantenuto il possesso grazie agli appoggi politici dei senatori e delle alte magistrature.
Con la riproposizione di questa norma, Tiberio intendeva ridistribuire ai piccoli agricoltori una parte delle terre che appartenevano di diritto allo Stato. Ai contadini nullatenenti sarebbero stati assegnati lotti di 30 iugeri (7 ettari e mezzo) in cambio di un affitto annuale molto basso. I terreni assegnati dovevano essere incedibili, per evitare che i latifondisti tentassero di riacquistarli offrendo ai contadini denaro o esercitando pressioni attraverso mezzi illeciti.
La riforma, invero, era assai moderata. Le proprietà personali dei latifondisti non venivano considerate e la parte di ager publicus a loro destinata sarebbe rimasta comunque assai ampia (appunto i tradizionali 500 iugeri, che aumentavano in caso di figli).
Gli ottimati, tuttavia, si opposero alla legge, considerandola una limitazione dei loro privilegi, e, grazie all’influenza che potevano esercitare sui clienti plebei, spinsero Ottavio, il tribuno collega di Tiberio, a opporsi con il suo veto all’approvazione della riforma. Tiberio fece allora in modo che il concilium plebis destituisse dall’incarico Ottavio e chiese di essere rieletto per un secondo mandato. Propose inoltre che il denaro giunto a Roma in quello stesso anno come eredità del re di Pergamo Attalo III fosse impiegato per dotare di mezzi e strumenti agricoli gli assegnatari dei lotti di terreno.
Entrambi questi atti erano in contrasto con le leggi romane: una norma del 180 a.C., infatti, vietava ai magistrati di mantenere la stessa carica per più di un anno, mentre qualsiasi scelta di politica estera doveva essere approvata dal senato. I senatori sfruttarono questi pretesti per accusare Tiberio di aver violato le leggi e di aspirare alla monarchia e, approfittando dei disordini scoppiati durante i comizi per la sua rielezione, lo fecero uccidere insieme a trecento dei suoi sostenitori. Le sue riforme agrarie furono di conseguenza abrogate.

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La strategia di Caio 

Nel 123 a.C. Caio Sempronio Gracco fu eletto tribuno della plebe e riprese la politica del fratello. Egli riteneva che il fallimento delle riforme agrarie promosse da Tiberio fosse dipeso dalla scarsa influenza degli interessi dei piccoli contadini nella vita politica romana; era dunque necessario trovare il sostegno di altri ceti sociali per superare l’opposizione dei senatori.
Caio si impegnò a ottenere l’appoggio dei cavalieri, che, essendo esclusi dall’assegnazione dell’ager publicus, non avevano motivo di opporsi alle riforme agrarie. Egli concesse loro nuovi appalti per la riscossione delle tasse nella ricca provincia dell’Asia minore. Inoltre, con una legge giudiziaria, istituì tribunali composti esclusivamente da membri dell’ordine equestre per valutare le scorrettezze commesse dai proconsoli e dai propretori. Per la prima volta, membri del senato potevano essere giudicati da magistrati che non facevano parte del loro ceto. Queste misure consentivano ai cavalieri di influire direttamente sui governi delle province, dove mantenevano i loro principali interessi, e procurarono a Caio Gracco il sostegno dell’ordine equestre, determinante – dato il suo censo elevato – nelle votazioni dei comizi centuriati.
Con le entrate ottenute dalla concessione degli appalti ai cavalieri fu inoltre possibile finanziare alcuni interventi sociali in favore della plebe cittadina: la legge frumentaria stabilì la vendita mensile di grano a un prezzo fisso e assai ridotto per i cittadini romani più poveri; la legge militare introdusse invece l’equipaggiamento dei soldati a spese dello Stato, permettendo anche ai cittadini meno abbienti di essere arruolati nell’esercito.
In questo modo, Caio rafforzava le legioni e si garantiva l’appoggio di una vasta parte della popolazione di Roma, che con la forza del numero poteva influire nelle votazioni dei comizi tributi.

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La legge agraria e la cittadinanza 

Ottenuto l’appoggio dei cavalieri e della plebe urbana, Caio Gracco promosse una legge agraria che prevedeva la distribuzione ai piccoli proprietari di nuove terre, ottenute dalla fondazione di nuove colonie nei territori di Cartagine ( CARTA).
Il vasto seguito che egli era riuscito a catalizzare intorno alla propria figura gli garantì la rielezione al tribunato della plebe, in deroga alle leggi consuete e contrariamente a quanto era accaduto a Tiberio.
Per il successo della riforma agraria, però, Caio doveva ancora superare l’ostilità dei grandi possidenti italici, che insieme ai proprietari romani avevano beneficiato delle spartizioni dell’ager publicus e ora vedevano minacciati i propri patrimoni. Nel 122 a.C. propose quindi di estendere la cittadinanza romana agli Italici. Il provvedimento avrebbe tra l’altro significato ingrossare le file dell’ordine equestre, nel quale sarebbero confluiti gli Italici arricchitisi con le attività commerciali, e dunque ottenere ulteriore consenso da parte dei cavalieri. Grazie alla concessione della cittadinanza, infine, gli Italici avrebbero potuto partecipare alla vita politica romana e garantire i propri interessi economici attraverso i comizi e l’elezione delle magistrature, senza contare che avrebbero avuto diritto anche alle distribuzioni gratuite di grano organizzate dallo Stato e a partecipare all’assegnazione delle terre dell’ager publicus.

La reazione degli ottimati

L’estensione della cittadinanza, che nelle intenzioni di Caio Gracco mirava a ottenere l’appoggio politico dei cavalieri e degli Italici, costituiva anche un riconoscimento delle rivendicazioni di popolazioni da secoli assimilate al mondo romano. I socii (gli alleati) e i municipi sine suffragio erano infatti tenuti a partecipare alle guerre, senza godere però dei vantaggi riservati ai cittadini romani.
Tra gli ottimati emerse grande preoccupazione per questa proposta, che avrebbe irrimediabilmente alterato gli equilibri politici nei comizi a favore dei popolari. Attraverso una propaganda demagogica, instillarono nella plebe di Roma l’idea che avrebbe perso i propri privilegi e la convinsero a opporsi alla concessione della cittadinanza agli Italici. Nei disordini sociali scoppiati nel 121 a.C. furono uccisi tremila sostenitori di Caio Gracco. Egli stesso, per non cadere nelle mani degli avversari, si fece uccidere da uno schiavo.
Gli ottimati ripresero dunque la guida delle istituzioni romane e abrogarono gradualmente tutte le riforme che erano state promosse dai Gracchi.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Da che cosa fu causata la crisi agraria che colpì i piccoli contadini?
  • Quali ceti componevano la società romana del II secolo a.C.?
  • Quali diversi orientamenti si confrontavano nella politica romana?
  • Che cosa prevedevano le riforme dei Gracchi? Quale esito ebbero? 

Il nuovo Storia&Geo - volume 1
Il nuovo Storia&Geo - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana