Dall’economia di raccolta alla rivoluzione agricola

1.1 DAL PALEOLITICO AL NEOLITICO

Dall’economia di raccolta alla rivoluzione agricola

Anche se le condizioni ambientali costrinsero i primi esseri umani a cambiare spesso i luoghi di insediamento, le loro abitudini di vita si mantennero pressoché immutate per centinaia di migliaia di anni. I primi gruppi di Homo sapiens continuarono a procurarsi il cibo come i loro antichissimi predecessori. Le principali fonti di sostentamento erano la caccia degli animali selvatici, la raccolta di vegetali (frutti, erbe e radici) e la pesca nei fiumi e nei laghi. L’unica sostanziale differenza consisteva nell’evoluzione degli strumenti utilizzati per la caccia e la raccolta, sempre più efficaci e funzionali. Questa forma di sussistenza viene definita economia di raccolta, poiché prevede il reperimento del cibo attraverso lo sfruttamento delle risorse già presenti nell’ambiente, senza alcun intervento umano volto a modificarne i cicli naturali di riproduzione.

La domesticazione delle piante 

Un mutamento fondamentale, che pose i presupposti per il superamento dell’economia di raccolta, si verificò intorno al 12 000 a.C., in corrispondenza della fine dell’ultima glaciazione. Da allora in poi non avvennero più simili fenomeni di drastico abbassamento delle temperature e il clima subì un notevole riscaldamento, diventando più umido. Intorno al 10 000 a.C., nella zona del Vicino Oriente definita mezzaluna fertile (► FOCUS): questo cambiamento climatico creò le condizioni idea­li per la diffusione di alcune specie di piante e di animali adatte alla domesticazione, cioè all’intervento diretto degli esseri umani sui loro cicli di riproduzione e di crescita. Con buona probabilità la domesticazione delle piante fu suggerita dall’osservazione del loro ciclo naturale. Gli esseri umani stanziati nella mezzaluna fertile, infatti, oltre che di selvaggina si nutrivano dei chicchi dei cereali selvatici, come il grano e l’orzo. Sebbene fornissero un apporto energetico inferiore a quello della carne, a differenza di questa i cereali potevano essere conservati a lungo, permettendo così alle comunità umane di disporre di cibo anche nei periodi in cui scarseggiavano gli animali selvatici o era difficile organizzare battute di caccia a causa delle condizioni atmosferiche avverse. Dalle piante di cereali cresciute in modo spontaneo venivano generalmente raccolte le spighe più leggere, situate sopra le altre perché avevano meno chicchi; le spighe più cariche, invece, rimanevano ripiegate verso il basso a causa del loro peso e spesso non venivano raccolte. Furono forse le donne, che svolgevano prevalentemente l’attività di raccolta, ad accorgersi per prime che i semi caduti a terra dopo poco tempo germogliavano e formavano nuove piante. Poiché i chicchi più pesanti erano ricchi di sostanze nutritive, le piante germogliate dai semi caduti erano molto più nutrienti di quelle che le avevano generate. L’attività di raccolta svolta dagli esseri umani influì dunque sul processo di selezione naturale dei cereali, favorendo la diffusione di piante sempre più rigogliose.

FOCUS • LE PAROLE NEL TEMPO
LA MEZZALUNA FERTILE

Questa espressione fu introdotta nel 1919 dallo storico e archeologo statunitense James Breasted per indicare l’area che si estende dal delta del fiume Nilo fino alle valli dei fiumi Tigri ed Eufrate (nell’attuale Iraq). Fu in queste terre fertili che ebbe inizio la rivoluzione agricola. La scelta del nome fu suggerita, oltre che dalla evidente forma ad arco di questa regione, dal simbolo della luna nascente, caratteristico della civiltà islamica che qui si sviluppò nel Medioevo. Questi territori sono oggi compresi negli Stati di Egitto, Israele, Turchia, Libano, Giordania, Siria, Kuwait, Iraq e Iran.

Il territorio della mezzaluna fertile.

La nascita dell’agricoltura 

L’osservazione e la comprensione dei fenomeni naturali pose dunque le premesse per un passaggio successivo. Dopo la raccolta, i chicchi venivano selezionati: i più grossi, dai quali era possibile ottenere cereali più nutrienti, erano conservati per essere poi seminati. Per la prima volta, intorno al 9000 a.C., gli esseri umani riuscirono dunque a riprodurre artificialmente il ciclo naturale delle piante: nacque così l’agricoltura. Questo fu il primo caso di passaggio dal prelievo diretto di cibo disponibile in natura alla produzione di risorse alimentari per mezzo dell’intervento umano sull’ambiente: per la sua straordinaria portata innovativa e per le conseguenze che ebbe nella storia dell’umanità, questa trasformazione è stata definita rivoluzione agricola.
Il successo delle attività di coltivazione dei cereali spinse la popolazione che abitava la mezzaluna fertile a estendere gradualmente lo stesso procedimento anche ai semi di altre piante: si diffusero così le coltivazioni di legumi (come i ceci e le lenticchie, che per il loro contenuto proteico sono più nutrienti dei cereali) e di altre piante da cui era possibile ottenere fibre per produrre tessuti (come per esempio il lino e il cotone).

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La domesticazione degli animali 

Nella mezzaluna fertile, intorno al 9000 a.C., fu introdotto e si diffuse anche l’allevamento. Sia la fine dell’ultima glaciazione, con il conseguente riscaldamento del clima, sia l’attività di caccia dell’uomo, che aveva ridotto notevolmente il numero di animali di grandi dimensioni, consentirono la sopravvivenza soltanto delle specie più piccole e docili, come le pecore e le capre selvatiche. Questi animali erano facili da catturare e, se non venivano uccisi subito per il consumo della loro carne, potevano essere rinchiusi in recinti e allevati per produrre lana e latte. Attraverso l’allevamento dei cuccioli si potevano poi ottenere esemplari già abituati alla convivenza con l’uomo. È possibile che la domesticazione di ovini e caprini selvatici sia stata suggerita dall’osservazione del comportamento del cane, già a quel tempo fedele “amico” dell’uomo. I primi resti fossili che testimoniano la presenza di cani domestici presso gruppi umani risalgono infatti al 10 000 a.C. e sono stati ritrovati nel Vicino Oriente, in Cina e in America settentrionale.
A differenza della domesticazione delle altre specie, quella del cane non era però finalizzata al consumo della sua carne: il cane era un aiuto durante la caccia e un animale da difesa, che poteva avvisare gli uomini dell’approssimarsi di individui sconosciuti o di animali pericolosi.

La diffusione dell’agricoltura 

Le tecniche di coltivazione e di allevamento si diffusero gradualmente dalla mezzaluna fertile alle regioni circostanti, favorendo la domesticazione di nuove specie di piante, in particolare ulivo, vite e riso, e di animali, come asini, maiali, bovini, galline, dromedari, cammelli e cavalli ( CARTA).
Per alcuni millenni, però, nel Vicino Oriente gli esseri umani continuarono a sostentarsi anche con la raccolta e la caccia: ottenere grandi quantità di cibo dall’agricoltura e dall’allevamento richiedeva tempi molto lunghi, mentre prelevando direttamente le risorse presenti in natura si potevano ottenere subito vegetali e carne.
Le battute di caccia, tuttavia, costringevano gli uomini a lunghi spostamenti e li esponevano ai rischi di incontrare predatori pericolosi. Inoltre, non avevano sempre esito favorevole, anche perché, come abbiamo visto, i cambiamenti climatici e l’espansione delle attività di caccia avevano già ridotto la presenza di animali selvatici di grande taglia.
Per questi motivi, l’agricoltura e l’allevamento diventarono a poco a poco le attività produttive dominanti e si svilupparono ulteriormente grazie alla loro integrazione; intorno al VI millennio a.C., infatti, nell’area della mezzaluna fertile si diffuse la pratica di utilizzare lo sterco degli animali allevati come concime per i campi, che divennero così più fertili. Ulteriori vantaggi derivarono dalla diffusione dell’allevamento dei bovini: oltre a fornire carni, latte e pelli, a partire dal V millennio a.C. i buoi furono utilizzati come animali da tiro per trainare un nuovo strumento agricolo, l’aratro ( DOSSIER). Insieme alla concimazione, questa innovazione tecnologica contribuì ad aumentare la resa dei campi, favorendo l’incremento della produzione agricola. 

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DOSSIER TECNOLOGIA  I primi strumenti agricoli

Strumenti per la lavorazione dei cereali.

Lo sviluppo dell’agricoltura fu favorito dall’introduzione di strumenti e tecniche di coltivazione che resero più efficaci e meno pesanti i lavori nei campi.
I primi agricoltori usavano zappe di legno con la punta di pietra per rompere la superficie compatta dei terreni. Questa operazione permetteva di far risalire le sostanze minerali presenti nel sottosuolo, fondamentali per la crescita delle piante, e di far penetrare i semi nel terreno, rendendo ottimale la resa della semina; se fossero rimasti in superficie, infatti, i semi non avrebbero trovato le condizioni idea­li per germogliare, senza considerare che uccelli o altri animali li avrebbero potuti mangiare.
L’azione di depositare i semi in profondità, praticata dapprima con la zappatura, divenne più efficace con l’introduzione dell’aratro. Questo strumento, inizialmente molto rudimentale, era composto da un bastone al cui vertice era fissata una punta di pietra che svolgeva le funzioni della zappa con maggiore efficacia e minore fatica per l’agricoltore. L’uso dell’aratro, infatti, non richiedeva di sollevare e abbassare il bastone, come avveniva per la zappa, ma solo di trascinarlo, in senso orizzontale, sul terreno.
In principio l’aratro veniva spinto a mano dagli uomini; in seguito fu introdotto il traino degli animali da tiro, che rese più facile e veloce il dissodamento dei terreni. L’importanza di questo strumento per la produttività dei campi è testimoniata dal fatto che, nelle zone in cui non si diffuse, l’agricoltura restò molto più arretrata rispetto a quella del Vicino Oriente. 

GUIDA ALLO STUDIO

  • Quando avvenne la domesticazione delle prime piante? In quale area geografica?
  • Quale fenomeno suggerì agli esseri umani l’idea di seminare i chicchi dei cereali? 
  • Quali vantaggi comportò l’integrazione di agricoltura e allevamento? 

Il nuovo Storia&Geo - volume 1
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