La cultura e la vita ad Atene nell’epoca classica

3.4 LA GRECIA CLASSICA

La cultura e la vita ad Atene nell’epoca classica

L'età di Pericle (460-429 a.C.) fu il periodo in cui Atene raggiunse il massimo splendore. Il grande uomo politico ateniese favorì lo sviluppo della cultura e dell’arte e promosse la costruzione di splendidi monumenti pubblici e religiosi che avevano lo scopo di esaltare la ricchezza e il prestigio della pólis. Atene, oltre che per le prime forme di democrazia, divenne dunque importante anche per le sue meravigliose opere d'arte, che costituiscono una delle più rilevanti eredità culturali del mondo greco.

Il periodo d’oro di Atene

Nel 454 a.C. Pericle spostò il tesoro della lega delio-attica da Delo ad Atene, con il pretesto di difenderlo da eventuali incursioni nemiche che non avrebbero trovato resistenza sulla piccola isola al centro del mar Egeo. In realtà, in questo modo Atene si appropriò del patrimonio delle città alleate, grazie al quale fu possibile abbellire la città e creare opportunità di lavoro attraverso la costruzione di imponenti opere pubbliche.
Ad Atene accorsero intellettuali da tutto il mondo greco e la città divenne il più importante centro della cultura e dell’arte greche. Artisti celebrati, come Fidia (490-432 a.C. circa), ornarono con le loro opere le strade e i templi ateniesi. La scultura greca, caratterizzata dall'armonia delle forme e dal rispetto delle proporzioni tra le parti del corpo umano ( DOSSIER, p. 212), divenne un modello per gli artisti delle epoche successive ( FOCUS). L'architettura raggiunse risultati straordinari grazie alla precisione dei calcoli tecnici, che consentivano di conferire leggerezza ed eleganza anche alle strutture più imponenti.
I cittadini ateniesi avevano un rapporto con le opere d’arte molto diverso da quello esistente nelle civiltà orientali. In Grecia l'arte non serviva soltanto a esaltare le autorità politiche o religiose (re o sacerdoti), ma era considerata un patrimonio comune che celebrava la storia e i valori dell'intera comunità cittadina. L'acropoli di Atene, per esempio, fu ricostruita appositamente sui resti degli edifici distrutti dai Persiani nel 480 a.C. affinché tutti ricordassero il coraggio dimostrato dagli Ateniesi nel momento del pericolo. I resti del tempio precedente formarono la cosiddetta “colmata persiana”, il terrapieno su cui fu edificato il nuovo tempio dedicato alla dea Atena ( LABORATORIO DELLE FONTI, pp. 214-215).

La nascita del teatro

Tra le espressioni artistiche più importanti dell'Atene classica vi fu il teatro. Le prime forme di teatro (da theáomai, “osservare con attenzione”, “contemplare”) derivarono probabilmente dai canti intonati dai sacerdoti di Dioniso, il dio del vino e della forza vitale della natura.
Rappresentazioni pubbliche erano già state organizzate a fini propagandistici dal tiranno Pisistrato per esaltare l'operato del proprio governo attraverso la narrazione delle leggende di antichi eroi attici. Da queste esperienze nacquero le prime compagnie di attori che, grazie all'affermazione della democrazia, furono libere di mettere in scena anche opere legate all'attualità politica.
Il luogo delle rappresentazioni era costruito sul fianco di una collina; le gradinate formavano un semicerchio, che rendeva perfette la visuale e l'acustica: anche gli spettatori delle ultime file potevano vedere e ascoltare distintamente ciò che avveniva sulla scena. Ad Atene le rappresentazioni teatrali si svolgevano durante le feste primaverili, chiamate Dionisie. Si trattava di vere e proprie competizioni artistiche (gli agòni) che prevedevano premiazioni simboliche per i vincitori. Il pubblico affluiva nel teatro, che era situato ai piedi dell'acropoli e poteva contenere circa 20 000 spettatori, alle prime ore del mattino e vi restava fino a sera. Gli attori erano tutti maschi, poiché alle donne non era consentito partecipare ad attività pubbliche, a parte le processioni sacre delle feste religiose. Durante lo spettacolo gli attori indossavano costumi e maschere che contenevano un piccolo imbuto per amplificare e deformare il suono della voce. La recitazione era accompagnata dalle musiche e dalle danze del coro, che si esibiva nello spazio antistante la scena occupata dagli attori. 

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FOCUS • IERIOGGI
ARTE CLASSICA E IDEALI LIBERTARI 

L'arte classica è stata la fonte di ispirazione di molte opere d'arte moderne e contemporanee che hanno celebrato i valori di uguaglianza e libertà, affermatisi per la prima volta nel mondo greco. Un noto esempio è costituito dalla Venere di Milo, una statua realizzata nel II secolo a.C. sul modello della scultura dell'età classica. Essa fu ritrovata nel 1820 nell'omonima isola del mar Egeo e venne acquistata da un ufficiale della marina francese. Una volta portata in Francia, venne restaurata e collocata nel museo parigino del Louvre. A questo straordinario ritrovamento si ispirò il pittore francese Eugène Delacroix quando dipinse La Libertà che guida il popolo, un quadro di celebrazione dei moti rivoluzionari che nel 1830 portarono alla caduta della monarchia borbonica. La figura femminile della Marianne, simbolo della Francia che guida la rivoluzione contro l'oppressione monarchica, ricalca da vicino le fattezze della Venere greca.

La celebre Venere di Milo.

La Libertà che guida il popolo di Eugène Delacroix.


Il teatro specchio della società

A seconda dei temi trattati e degli aspetti formali che le caratterizzavano, le rappresentazioni teatrali si differenziavano in tragedie e commedie. Autori tragici furono Eschilo, Sofocle ed Euripide, mentre tra i commediografi è da ricordare Aristofane. Sia le tragedie sia le commedie costituivano uno specchio della società del tempo: ogni spettatore poteva riconoscersi nelle vicende dei protagonisti, che toccavano i temi fondamentali della vita (come la fragilità dell'esperienza umana rispetto agli improvvisi cambiamenti del destino) o della vita politica ateniese. Poiché stimolava la riflessione dei cittadini sui problemi della società ateniese, il teatro era considerato un momento educativo per la collettività. Per questo motivo le autorità si preoccuparono di garantire anche ai nullatenenti il diritto di assistere agli spettacoli: il costo per l'ingresso al teatro era assai ridotto, e sotto Pericle ne venne addirittura previsto il rimborso da parte dello Stato per i cittadini più poveri. L'importanza del teatro non rimase confinata ad Atene: diffondendosi anche nelle altre póleis e nelle colonie elleniche della Magna Grecia, il teatro divenne una delle espressioni più importanti dell'intera civiltà greca e del patrimonio culturale dell'umanità. Molte di queste rappresentazioni sono infatti ancora oggi recitate nei teatri contemporanei, a testimonianza dell'importanza dei valori culturali che il mondo moderno ha ereditato dall'antica Grecia.

Imposte e donazioni pubbliche

Le spese per gli allestimenti delle rappresentazioni teatrali non erano sostenute dallo Stato, ma dai cittadini più ricchi, così come anche altre attività destinate a una fruizione pubblica erano finanziate dai contributi offerti volontariamente dagli Ateniesi più abbienti. Il termine greco che indicava questa pratica era liturgìa (da léitos, “popolo”, ed érgon, “azione”, cioè “attività a favore della popolazione”, “servizio pubblico”). Contribuire economicamente alla vita della città era considerato un onore da parte dei cittadini ateniesi, legati da un profondo senso di appartenenza alla propria pólis, ma questa tradizione non era slegata da interessi personali: con le liturgie i cittadini più eminenti di Atene potevano infatti aumentare il proprio prestigio tra la popolazione, traendone benefici nella loro carriera politica.

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La condizione delle donne

La preclusione alla recitazione nelle rappresentazioni teatrali e alla partecipazione agli spettacoli era solo un aspetto della condizione di inferiorità sociale in cui vivevano le donne. Anche nell'Atene democratica, come del resto in tutte le altre città greche, gli uomini avevano un ruolo dominante: potevano dedicarsi alla propria professione, svolgere attività pubbliche, partecipare alla vita politica, mentre le donne erano per lo più relegate nel ginecèo (da guné, “donna”), la parte più interna della casa, dalla quale uscivano raramente e per breve tempo (per esempio in occasione delle feste religiose). Persino affacciarsi alle finestre esterne della casa era considerato un segno di scarsa moralità ( LABORATORIO DELLE FONTI).
Alle donne era vietato partecipare alle gare sportive e alle rappresentazioni teatrali, non solo come atlete o attrici, ma anche come spettatrici. Le semplici attività quotidiane, come recarsi al mercato, erano di norma affidate alle schiave o agli uomini. In queste condizioni, nemmeno le donne delle famiglie più agiate avevano la possibilità di migliorare la propria posizione: non potevano istruirsi ed erano costrette a dedicarsi esclusivamente alla cura della casa, coordinando il lavoro delle schiave, e all'allevamento dei figli. Inoltre esse non possedevano un proprio patrimonio: i beni portati in dote venivano amministrati dopo il matrimonio dal marito, che era scelto dal padre sulla base dello status economico e sociale dei pretendenti. Se restavano vedove, le donne tornavano sotto la tutela del padre o dell'uomo più anziano della famiglia, che si preoccupava di cercare loro un altro marito. Non era infatti permesso alle donne di vivere da sole, né di avere un'attività professionale per mantenersi in modo autonomo e non dipendente dal marito.
La condizione femminile nelle classi più basse era in parte diversa. Le donne ateniesi più povere erano costrette a uscire di casa per guadagnarsi il necessario per vivere, per esempio lavorando come venditrici nei mercati. Maggiore libertà era riconosciuta alle etère (da etáira, “compagna”): si trattava di donne straniere, generalmente istruite e capaci di recitare brani di poesia e di suonare strumenti musicali, che allietavano con la loro bellezza e le loro abilità artistiche i banchetti riservati agli uomini.

DOSSIER ARTE  Il cànone di Policleto
Nel V secolo a.C. l'arte greca raggiunse il massimo livello di perfezione: lo scultore Policleto fu autore di un cànone (dal termine greco kanón, “regola”), un insieme di norme per la realizzazione delle opere d'arte, in base al quale era possibile riprodurre fedelmente le proporzioni del corpo umano.
L'unità di misura di questo canone era l'altezza della testa: le dimensioni di ogni altra parte del corpo avevano un rapporto numerico preciso con la sua lunghezza. Grazie a questo metodo, le statue riproducevano in modo straordinario l'armonia della figura umana. La maggior parte di esse raffiguravano atleti ed eroi: attraverso la loro perfezione estetica Policleto intendeva esaltarne anche i valori morali, affinché costituissero un modello per tutti i Greci.

Una copia di epoca romana del Doriforo di Policleto.

Applicazione del modulo matematico della testa all'intero corpo del Doriforo.


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Laboratorio DELLE FONTI I TESTI

Le condizioni di vita delle donne ateniesi

La segregazione nei ginecei delle donne ateniesi è testimoniata anche dalle parole pronunciate da Medea nell'omonima tragedia del drammaturgo Euripide (V secolo a.C.).

Di quanti esseri al mondo hanno anima e mente, noi donne siamo le creature più infelici. Dobbiamo anzitutto, con dispendio di denaro, comperarci il marito e dare un padrone alla nostra persona; e questo è dei due mali il peggiore. E poi c’è il gravissimo rischio: sarà buono colui o non sarà? Separarsi dal marito è scandalo per la donna, ripudiarlo non può. E ancora: una donna che venga a ritrovarsi tra nuove leggi e usi e costumi, ha da esser indovina se non riesce a capire da sé quale sia il migliore modo di comportarsi col suo compagno. Se ci riesce e le cose vanno bene e lo sposo di vivere insieme con la sua sposa è contento, allora è una vita invidiabile; se non, è meglio morire. Quando poi l'uomo di stare coi suoi di casa sente noia, allora va fuori e le noie se le fa passare; ma noi donne a quella sola persona dobbiamo guardare. Dicono anche che noi donne vivendo in casa viviamo senza pericoli e l’uomo ha i pericoli della guerra. Vorrei tre volte trovarmi nella battaglia anziché partorire una sola.” 

Euripide, Medea, 230-251, trad. di M. Valgimigli, Rizzoli, Milano 1982. 


  • Quali sono i due mali a cui fa riferimento Medea?
  • Quali sono i pericoli che gli uomini devono affrontare?    
  • Quali, invece, le sofferenze delle donne? 

L’educazione dei giovani

L'educazione dei giovani prevedeva sia l'esercizio fisico, sia lo studio teorico: l'ideale del perfetto Ateniese era infatti costituito dall'unione di forza fisica e sapienza. Soltanto i figli delle famiglie agiate, tuttavia, potevano permettersi di pagare maestri privati, che li istruivano in quattro materie principali: lettere, ginnastica, musica e disegno. Quando raggiungevano i diciotto anni d'età, i giovani Ateniesi entravano nel periodo dell'efebìa. La condizione di efebo durava due anni, durante i quali i giovani ricevevano una preparazione militare completa. Per gran parte di questo periodo gli efebi vivevano separati dalla famiglia e dal resto della comunità, della quale entravano a far parte a pieno titolo solo dopo aver superato questa fase di “passaggio”. Sotto questo aspetto, l'efebìa era una sorta di rito di iniziazione (in qualche modo analogo a quello che era praticato a Sparta, come abbiamo visto, con la kryptéia).

La filosofia e la storia

Nell'Atene del V secolo si affermò una nuova figura di intellettuale, quella del sofista. Insegnanti di arte retorica, i sofisti erano molto ricercati in una città in cui, con l'affermazione della democrazia, il saper parlare bene e la capacità di argomentare le proprie tesi erano divenuti fondamentali nell'agone politico. La sapienza dei sofisti non si limitava però all'eloquenza, ma indagava i problemi del linguaggio, della conoscenza, del ruolo dell'uomo nel mondo. Nello stesso periodo visse anche Socrate (470/469-399 a.C.), il cui insegnamento ci è noto attraverso le opere del suo illustre discepolo Platone. Socrate mise da parte l'indagine sulla natura, che aveva interessato i primi filosofi, per concentrarsi sull'etica e sulla ricerca del "vero" bene. Al V secolo risale anche la nascita della storiografia (da istoría, “ricerca”, e graphía, “scrittura”), attribuita a Erodoto (490-424 a.C. circa). Originario di Alicarnasso, in Asia minore, Erodoto compì lunghi viaggi, descrivendo nelle sue opere i luoghi, i costumi, le leggende e le credenze locali. Il carattere descrittivo dei testi di Erodoto avvicina il suo modo di fare storia alla geografia; infatti, non a caso, egli è considerato il padre anche di questa disciplina. 
Più incentrata sulle vicende politico-militari e più attenta alla verifica delle fonti fu invece l'opera storiografica di Tucidide (460-395 a.C. circa). Nella visione di Tucidide, la storia doveva avere un fine pratico, più che descrittivo: trarre dal passato insegnamenti utili per il futuro. 

GUIDA ALLO STUDIO

  • Quali funzione aveva l'arte per i cittadini di Atene? 
  • Quando nacque il teatro e quali erano le sue principali caratteristiche? 
  • Qual era la condizione delle donne nell'età classica? 
  • Che cosa insegnavano i sofisti e perché erano molto ricercati?  

Il nuovo Storia&Geo - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana