La civiltà micenea

3.2 LE ORIGINI DELLA CIVILTÀ GRECA

La civiltà micenea

I Micenei, popolazione di origine indoeuropea che si stabilì in Grecia tra il III e il II millennio a.C., devono il loro nome alla città di Micene, uno dei più importanti centri urbani tra quelli che essi fondarono nel Nord del Peloponneso. Nelle fonti scritte risalenti ai secoli successivi, i Micenei sono noti anche come Achei, termine che in seguito diventerà sinonimo di Greci.

Le roccaforti micenee

I Micenei erano organizzati in piccoli Stati indipendenti, sviluppatisi dall’espansione dei primi villaggi dell’età neolitica. Intorno al 1500 a.C. questi insediamenti erano stati dotati di poderosi sistemi di difesa, le “mura ciclopiche” (così dette perché attribuite dalla leggenda all’opera dei Ciclopi). A differenza dei Cretesi, protetti dal Mediterraneo, gli Achei dovevano difendersi dalle scorrerie delle popolazioni nomadi che attraversavano l’entroterra greco. La civiltà micenea, inoltre, non fu esente da scontri interni, durante i quali i centri urbani entrarono in conflitto tra loro per il controllo delle risorse alimentari. Per questi motivi, gli insediamenti avevano assunto la struttura di cittadelle fortificate situate su alture da cui era possibile controllare il territorio circostante. Oltre a Micene, le roccaforti più importanti furono Argo, Pilo e Tirinto, anch’esse sorte nel Peloponneso.

I palazzi dei re achei

Il cuore della vita politica e sociale delle cittadelle fortificate micenee era costituito dal palazzo reale, in cui risiedeva il sovrano. Al centro del complesso palaziale si trovava una vasta sala, il cosiddetto Mégaron, che era la parte più protetta del palazzo: qui il re svolgeva le sue funzioni, accoglieva ambasciatori e sovrani stranieri e riuniva i suoi consiglieri, scelti tra la nobiltà dei guerrieri.
Attorno al mégaron si estendevano gli spazi occupati dai magazzini e dalle botteghe, nelle quali gli artigiani lavoravano al servizio del re; all’esterno delle mura fortificate della cittadella si trovavano le capanne dei contadini e degli schiavi, che coltivavano sia le terre di proprietà del sovrano e della nobiltà guerriera, sia quelle di proprietà collettiva. In caso di minacce esterne, tutti i membri della comunità si rifugiavano tra le mura della cittadella fortificata.
I sovrani micenei, chiamati wanax, concentravano nelle proprie mani il potere politico, religioso e militare; inoltre, esercitavano un forte controllo su tutte le attività economiche, organizzando la raccolta, l’immagazzinamento e la distribuzione dei prodotti dei campi, assegnando le proprietà terriere alla nobiltà militare guerriera che formava la loro corte, gestendo i commerci e curando l’approvvigionamento delle materie prime.

Agricoltura, guerre, commerci

L’economia micenea rimase sempre sostanzialmente agricola. Anche quando l’espansione territoriale fece aumentare l’incidenza economica delle attività mercantili, le attività primarie rimasero fondamentali, e la ricchezza e lo status sociale degli individui continuarono a essere strettamente legati alla quantità di terre possedute. Nonostante questo, l’allevamento e l’agricoltura non raggiunsero mai un livello di sviluppo particolarmente elevato, limite che forse contribuì alla stessa scomparsa della civiltà micenea. L’arretratezza dell'agricoltura micenea fu una conseguenza del ricorso a continue guerre di conquista, finalizzate a mantenere una popolazione in costante aumento. Le guerre favorirono la formazione di una classe di guerrieri nobili e la sua ascesa al potere (gli stessi re erano infatti scelti tra i membri della nobiltà guerriera, in base al coraggio che avevano dimostrato in battaglia). 
Il carattere guerriero della società micenea e l'accentramento del potere politico ed economico non facilitarono la nascita di una classe autonoma di mercanti, come avvenne nelle città fenicie, tuttavia non impedirono un significativo sviluppo dei commerci, che nel periodo della loro massima espansione nel Mediterraneo assicurarono un notevole benessere ai palazzi micenei. Grazie ai contatti commerciali con i Cretesi, dei quali subirono per secoli la supremazia economica e culturale, gli Achei appresero l’uso della scrittura e importanti conoscenze tecniche nel settore della navigazione e della metallurgia del bronzo. Nel momento della massima fioritura dei commerci marittimi, i Micenei esportavano verso molte mete mediterranee olio, vino e manufatti in ceramica e in bronzo, in cambio, soprattutto, di cereali.  

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L’espansione micenea

Verso la metà del II millennio a.C. i Micenei intrapresero una politica di conquista territoriale lungo le coste del Mediterraneo orientale e non solo ( ATLANTE, pp. 10-11). Fino a quel momento l’espansione commerciale e militare micenea era stata ostacolata dalla supremazia marittima di Creta, ma quando la civiltà cretese entrò in crisi, i Micenei invasero l’isola e si sostituirono ai Cretesi nel controllo delle rotte marittime del Mediterraneo ( CARTA).
L’espansione raggiunse anche l’Italia meridionale e numerose città dell’Asia minore (la zona costiera della penisola Anatolica), la più nota delle quali è Troia, che cadde sotto l’assedio dei Micenei intorno al 1250 a.C. ( DOSSIER, p. 166). Dai bottini di guerra e dallo sfruttamento dei popoli sottomessi, costretti a pagare ingenti tributi e a lavorare come schiavi, derivò gran parte delle risorse economiche dei sovrani achei di questo periodo.

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DOSSIER LETTERATURA  Mito e storia della guerra di Troia

Una scena della guerra di Troia: Achille che cura l’amico Patroclo.


Alcune notizie storiche sull'epoca micenea sono reperibili nei due grandi poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea. Il primo narra il lungo assedio della città di Troia; il secondo il viaggio di ritorno verso la patria dell'eroe Ulisse, dopo la caduta della città. I poemi furono attribuiti fin dall'antichità a un leggendario cantore, Omero, ma in realtà costituiscono una raccolta di racconti e di miti tramandati oralmente per secoli e trascritti solo a partire dal VI secolo a.C. Nella loro forma orale, i poemi omerici si diffusero a partire almeno dall’VIII secolo a.C., anche se narrano vicende di molto precedenti, risalenti all’epoca della massima espansione degli Achei, il 1250 a.C. circa. La ricostruzione della società micenea presente nei racconti risente tuttavia del tempo in cui sono stati creati, risultando più vicina a quella della Grecia arcaica che a quella della civiltà achea. Se le armi utilizzate dagli eroi omerici sono in bronzo, come quelle effettivamente diffuse in epoca micenea (mentre nell’VIII secolo erano ormai già in uso armi in ferro), le strutture sociali descritte sono invece assai diverse da quelle degli Achei, presso i quali il potere dei re non era ancora limitato dai nobili; inoltre, si parla già dell'usanza di incenerire i defunti, mentre presso i Micenei era diffusa la sepoltura dei cadaveri.
Il primo dei due poemi, l’Iliade, fa comunque riferimento a un fatto storico accaduto in epoca micenea. Descrive infatti la spedizione achea guidata dal re di Micene, Menelao, contro una città dell'Asia minore, Ilio, poi chiamata Troia dai Romani. Secondo il poema, il conflitto era stato scatenato dal rapimento della moglie di Menelao, Elena, da parte del troiano Paride. Per vendicare l'affronto, gli Achei avevano posto sotto assedio la città nemica per dieci anni, riuscendo infine a espugnarla grazie all'astuzia di Ulisse.
Per molti secoli le vicende narrate furono interpretate unicamente come eredità di leggende e racconti mitologici e come il frutto della fantasia poetica. Nel XIX secolo, però, l'archeologo tedesco Heinrich Schliemann scoprì sulla costa anatolica le rovine di un centro urbano, più volte distrutto e ricostruito, che corrispondeva alla città descritta nel racconto omerico. Intorno al 1250 a.C., infatti, questa città contendeva ai Micenei il controllo dei traffici marittimi nell'Egeo, probabilmente la vera ragione della guerra.

La caduta dei regni micenei

La potenza micenea subì un crollo improvviso intorno al 1200 a.C., per ragioni che gli storici non sono ancora riusciti a chiarire del tutto. Come era avvenuto per la fine della civiltà cretese, un disastro naturale potrebbe avere sconvolto le attività commerciali, interrompendo gli scambi mercantili di lunga distanza e determinando una grave carestia, che le esigue risorse agricole dell'entroterra non potevano evitare. La contrazione dei commerci fu senza dubbio aggravata dalle incursioni dei popoli del mare, che nello stesso periodo avevano provocato lo sconvolgimento degli equilibri politici e militari nel Vicino Oriente. Questa situazione di instabilità compromise il potere economico e politico dei sovrani micenei, favorendo lo scoppio di rivolte sociali: gli incendi che causarono la distruzione dei palazzi avvennero probabilmente durante i disordini con cui gli strati più poveri, da tempo oppressi dalla nobiltà guerriera, si ribellarono a condizioni di vita inumane.
I centri urbani furono abbandonati e, come vedremo, il vuoto lasciato dal crollo della civiltà micenea fu colmato dall'arrivo di una nuova popolazione nomade indoeuropea, proveniente dai Balcani: i Dori.

La scrittura dai Cretesi ai Greci

Gli incendi che colpirono i palazzi reali micenei sono risultati fondamentali per la conservazione di preziosi documenti scritti riguardanti la vita quotidiana delle città e dei loro centri economici e politici. Le informazioni legate alla gestione dei palazzi, come per esempio le entrate e le uscite delle merci dai magazzini, erano infatti incise su tavolette di argilla fresca, che venivano conservate solo temporaneamente. A causa del calore prodotto dal fuoco durante gli incendi, invece, le tavolette si sono solidificate, conservandosi fino ai giorni nostri e consentendo agli storici di ricostruire molti aspetti della società micenea e della sua cultura che sarebbero altrimenti andati perduti.
I Micenei appresero l'uso dell'alfabeto dai Cretesi, che utilizzavano una scrittura sillabica, la lineare A, non ancora decifrata dai paleografi. I mercanti micenei la rielaborarono, semplificandola e adattandola alle caratteristiche della loro lingua: nella loro scrittura, definita lineare B, ogni segno riproduceva un suono sillabico, composto da una consonante e una vocale, e consentiva di usare un numero limitato di simboli per esprimere tutte le varianti fonetiche della lingua. Come avvenne presso i Fenici, dunque, anche per la civiltà micenea fu la necessità di adottare un sistema di comunicazione più semplice ed efficace, adeguato alle esigenze degli scambi commerciali, a favorire l'evoluzione dei metodi di scrittura. 
La decifrazione della scrittura lineare B ha permesso di stabilire che i Micenei parlavano una lingua simile a quella diffusa in seguito nel mondo greco, a testimonianza della continuità culturale tra la civiltà achea e quella ellenica. La lingua scritta era impiegata esclusivamente nelle attività amministrative dei palazzi reali e scomparve con la fine della civiltà micenea, invece la lingua parlata continuò a essere utilizzata, nelle sue varianti regionali, anche nei secoli successivi.  Quando la scrittura si diffuse nuovamente in Grecia, l'antica lingua micenea venne trascritta in un nuovo alfabeto fonetico, derivato da quello fenicio: nacquero così le varie forme dialettali della lingua greca

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Le usanze funebri e la religione

I Micenei attribuivano grande importanza alla sepoltura dei re. Le tombe reali, chiamate thóloi, avevano una struttura a forma di cono, ottenuta sovrapponendo grandi pietre che venivano poi ricoperte di terra fino a formare una piccola collina. I re venivano sepolti insieme alle armi e a oggetti fabbricati con metalli preziosi, simbolo della loro autorità.
Gli splendori ritrovati nelle tombe reali sono una testimonianza della maestria dei fabbri micenei, che avevano appreso l’arte della metallurgia dai Cretesi per poi diventare gli artisti più ricercati del tempo.
Gli oggetti personali dei re erano inoltre impreziositi da decorazioni in oro, a testimonianza delle elevate capacità artistiche raggiunte dagli artigiani e della ricchezza dei palazzi micenei. Dalle tavolette ritrovate negli archivi reali della cittadella di Pilo sappiamo che, soltanto in quella roccaforte, lavoravano circa 400 fabbri. Tra le opere più celebri degli orafi micenei vi sono le maschere d’oro che riproducevano il volto dei sovrani defunti, come prova della loro immortalità. Oltre che nella lingua, la continuità culturale tra la civiltà micenea e quella greca è riscontrabile anche in campo religioso. Gran parte delle divinità micenee fu infatti ereditata dai Greci: tale è il caso di divinità legate alla fecondità della natura, come Poseidòne, dio del mare, e Demetra, dea della terra, ma anche il dio greco della guerra, Ares, deriva dalla divinità micenea Enyàlios. Inoltre, la struttura del mégaron dei palazzi reali, dove avevano luogo anche banchetti e cerimonie sacre, fu ripresa dagli architetti greci nella costruzione delle celle interne dei templi più antichi, in cui erano custodite le statue delle divinità, circondate da un colonnato.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Come era organizzata politicamente la civiltà micenea?
  • Quali funzioni avevano i palazzi reali?
  • Quali aree coinvolse l'espansione commerciale e militare dei Micenei?
  • Quali furono le cause del crollo della civiltà micenea?
  • In che senso si parla di continuità culturale tra la civiltà micenea e la civiltà greca?

Il nuovo Storia&Geo - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana