EUROPA – REGIONE DANUBIANA

GEOOGGI

Muri ai confini d’Europa

L’aspirazione dell’Unione Europea è stata a lungo quella di estendere l’area “senza confini” creata in seguito agli Accordi di Schengen (pagina 14) a tutti i Paesi europei, e in particolare a quelli dei Balcani, molti dei quali sono membri recenti dell’UE o stanno trattando la loro adesione.
Negli ultimi anni però gli Accordi di Schengen e i principi che li hanno ispirati sono minacciati dalla crescente sfiducia delle popolazioni di molti Paesi nei confronti delle istituzioni europee, e soprattutto dall’aumento repentino, iniziato nel 2015, del numero degli immigrati e dei rifugiati che giungono alle frontiere dell’UE e chiedono asilo ai Paesi europei. Una pressione che sta mettendo a dura prova i rapporti tra i vari Stati membri dell’Unione e la capacità delle stesse istituzioni europee di gestire l’emergenza in maniera unitaria.

L’emergenza rifugiati e la “via dei Balcani”

I sommovimenti politici e le guerre civili combattute in Africa e in Asia, in particolare in Siria e in Iraq, hanno provocato milioni di sfollati e di profughi costretti a lasciare le proprie case per salvarsi la vita e sfuggire alle persecuzioni di regimi autoritari e spietate organizzazioni fondamentaliste. Molti cercano la salvezza, e una vita migliore, in Europa, e la loro tragica marcia verso i confini dell’Unione Europea in cerca di asilo politico è uno degli argomenti più trattati dalla stampa e dagli altri mezzi d’informazione di tutta Europa.
Nel 2016 nell’Unione Europea vivevano oltre 5 milioni di rifugiati, un numero più che raddoppiato rispetto a pochi anni prima. Solo nel 2015 più di un milione di migranti è giunto nei Paesi europei e ha presentato domanda di asilo politico, più del doppio dell’anno precedente.
Una parte dei potenziali rifugiati, soprattutto quelli provenienti dai Paesi africani come la Somalia, l’Etiopia, l’Eritrea e la Nigeria, cerca di arrivare nei Paesi dell’Europa Meridionale – Spagna, Italia, Malta e Grecia – partendo dalle coste africane a bordo di barconi e mezzi di ripiego. Purtroppo i naufragi dei barconi di immigrati nelle acque del Mediterraneo sono all’ordine del giorno, e provocano ogni anno migliaia di morti.
Altri immigrati invece, soprattutto quelli provenienti dal Medio Oriente e dagli altri Stati dell’Asia, tentano la “via dei Balcani”: dopo essere passati dalla Turchia alla Grecia via mare, a bordo di piccole imbarcazioni o gommoni improvvisati, risalgono a piedi e con mezzi di fortuna tutti i Paesi dei Balcani fino a raggiungere la Croazia, la Slovenia, l’Ungheria e la Bulgaria. Qui tentano di attraversare le frontiere per raggiungere poi le loro destinazioni nell’Europa Centrale e Settentrionale, ma vengono in gran parte bloccati e respinti. Nei principali centri di confine si formano così accampamenti improvvisati o veri e propri campi profughi.

Il diritto d’asilo e il problema delle quote

La maggior parte dei richiedenti asilo che arrivano in Europa vorrebbe raggiungere alcuni Paesi specifici. Tra questi, i più ambiti sono la Germania, i Paesi Bassi e i Paesi della Scandinavia.
Ma secondo la Convenzione di Dublino, in vigore in tutti i Paesi dell’UE, una persona può chiedere e ottenere asilo politico esclusivamente nel primo Paese in cui è entrato. La conseguenza di questa normativa è che i Paesi europei “di frontiera”, quelli dove arriva il maggior numero di migranti dall’Africa e dall’Asia, si sono trovati ad accogliere un numero di immigrati (e a dover gestire le loro domande di asilo) sproporzionato rispetto a quello di altri Paesi europei. È il caso della Grecia e dell’Italia, dove gli immigrati arrivano via mare, ma anche dell’Ungheria, dove i richiedenti asilo giunti attraverso la via dei Balcani nel 2015 sono stati oltre 170.000, un numero più che triplicato rispetto all’anno precedente.
Le proteste di questi Stati di confine hanno indotto la Commissione Europea a proporre nel 2016 un sistema di quote, in base al quale i richiedenti asilo che giungono nell’Unione, non importa in quale nazione, dovrebbero essere ridistribuiti in tutti i Paesi membri in proporzione alle rispettive popolazioni. Ma diversi Paesi si sono detti contrari a questa proposta e hanno già dichiarato che non intendono accogliere alcun rifugiato: tra questi ci sono la Polonia, la Repubblica Ceca e la stessa Ungheria.

Il ritorno delle frontiere e i muri di confine

La pressione di centinaia di migliaia di migranti alle frontiere dell’UE ha inoltre indotto molti Governi a prendere misure drastiche per controllare l’arrivo dei rifugiati sul territorio dei rispettivi Stati. Danimarca, Austria e Repubblica Ceca hanno più volte sospeso temporaneamente gli Accordi di Schengen ai propri confini e ripristinato i controlli alle frontiere, arrivando anche a chiudere le strade e le linee ferroviarie provenienti dai Paesi dove transita il maggior numero di migranti.
Repubblica Ceca, Croazia e Bulgaria hanno addirittura mobilitato l’esercito e inviato truppe a sorvegliare i confini, ma una delle reazioni più dure è stata quella del Governo ungherese, che nel 2015 ha dato inizio alla creazione di una barriera di filo spinato lungo i 175 km del confine tra Ungheria e Serbia, con lo scopo di impedire l’ulteriore arrivo di migranti sul suolo ungherese. E nel 2016 ha annunciato di voler costruire una barriera simile anche al confine con la Romania, cosa ancor più grave dato che i due Paesi sono entrambi membri dell’Unione Europea.
Muri analoghi sono in costruzione, lungo le principali direttrici di passaggio dei migranti, alle frontiere di altri Paesi europei, tra cui Slovenia, Croazia, Bulgaria e Grecia: il sogno di un’Europa senza più frontiere sembra, se non definitivamente tramontato, almeno rimandato per qualche tempo.

Geoblog - volume 2
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L’Europa