EUROPA – REGIONE SARMATICA

GEOOGGI

L’industria polacca e le delocalizzazioni

La Polonia è un Paese ormai completamente integrato nell’Unione Europea, della quale è membro dal 2004, e fa parte del cosiddetto mercato unico europeo: è possibile cioè commerciare e spostare materiali e merci tra la Polonia e gli altri Paesi dell’UE senza controlli né tasse doganali. Possiede inoltre infrastrutture all’altezza dei più ricchi Paesi dell’Europa Occidentale, ma il costo dell’energia, come l’elettricità, qui è molto più basso, così come le tasse che si pagano allo Stato sulle attività lavorative.
In confronto ai Paesi dell’Europa Occidentale, poi, anche il costo della vita è molto più basso, e di conseguenza gli stipendi sono inferiori. Un operaio che lavora in una fabbrica polacca guadagna circa 750 euro al mese, e i giovani che iniziano a lavorare spesso non superano i 600. Ma se consideriamo lo stipendio lordo che paga il datore di lavoro – che comprende anche le tasse e i contributi per le tutele del lavoratore, come le pensioni e le indennità di infortunio e malattia – il divario è ancora più ampio. Si stima che la paga media lorda di un operaio italiano sia di circa 24 euro all’ora, mentre quella di un suo collega polacco corrisponda a soli 11 euro.
Se si pensa che, per un’azienda attiva nel settore manifatturiero, la spesa principale è rappresentata dagli stipendi dei lavoratori e dalle tasse sul loro lavoro, non sorprende che molte compagnie abbiano deciso di trasferire la propria produzione in Polonia. Questo fenomeno si chiama “delocalizzazione”: una fabbrica attiva in un Paese in cui il costo del lavoro è alto, come Germania, Regno Unito, Francia o Italia, viene chiusa e la produzione è trasferita in Polonia, in un altro Paese dell’Europa dell’Est come la Romania, la Bulgaria o la Serbia, o addirittura in altri continenti.
La Polonia offre però diversi vantaggi rispetto agli altri Paesi: è relativamente vicina e, soprattutto, ha abbondanza di operai specializzati e ingegneri, il che permette di trasferire senza problemi fabbriche che lavorano in settori complessi e ad alta tecnologia. Tra i comparti più interessati dalla delocalizzazione ci sono, per esempio, quello automobilistico e quello della produzione di elettrodomestici. Non è un caso che una delle prime grandi aziende italiane ad aprire uno stabilimento in Polonia, a Bielsko- Biała nella Slesia, sia stata la FIAT.
I vantaggi delle delocalizzazioni sono molti, tanto per le aziende, che risparmiano, quanto per la stessa Polonia, che anche grazie a esse ha un’economia in costante crescita e un tasso di disoccupazione più basso della media europea. Ma le delocalizzazioni sono anche una fonte di grande allarme sociale per i Paesi in cui gli stabilimenti vengono chiusi e trasferiti all’estero. I lavoratori delle fabbriche interessate rischiano di rimanere disoccupati, e i Governi si muovono spesso direttamente per intavolare trattative con le aziende che intendono delocalizzare, offrendo incentivi per mantenere gli stabilimenti sul territorio nazionale.


Per saperne di più: www.limesonline.com/perche-le-imprese-italiane-scelgono-lest-europeo/36424

Geoblog - volume 2
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