4. Le città, da residenza a centro di servizi
Fin dall’antichità (con la sola eccezione dei primi secoli del Medioevo europeo) le città sono state i centri da cui si irradiavano il potere politico e quello religioso.
Ancora oggi la maggior parte dei luoghi in cui si esercitano questi poteri – come i palazzi che ospitano le assemblee legislative (i parlamenti), le residenze di sovrani o di importanti cariche politiche, le chiese e i templi, le sedi di organi e istituzioni internazionali – si trova nelle grandi città. Molti di questi edifici sono divenuti col tempo opere di interesse storico, architettonico e artistico, e a volte monumenti simbolo del Paese in cui si trovano (basti pensare alla Casa Bianca a Washington o al palazzo del Quirinale a Roma).
In molte città, soprattutto i capoluoghi regionali e le capitali statali, ci sono poi edifici che ospitano i numerosi uffici e le istituzioni della “macchina amministrativa” di un territorio: i tribunali, gli uffici delle tasse, gli enti che gestiscono i servizi sociali.
Nei centri urbani si trovano infine tutti i servizi al cittadino tipici delle società evolute:
scuole, istituti di istruzione superiore (come le università), ospedali, oltre ai servizi “di base”, come gli impianti per la raccolta dei rifiuti e l’erogazione dell’acqua potabile e dell’energia elettrica (servizi che non sono affatto scontati nelle aree rurali). Le statistiche indicano che, nonostante i problemi delle città, la popolazione urbana, proprio grazie a questo accesso privilegiato ai servizi, ha in media un maggiore livello di istruzione, un reddito più elevato, una maggiore aspettativa di vita e, in generale, un miglior stato di salute rispetto alla popolazione che abita nelle aree rurali.
Negli ultimi decenni, fenomeni come l’aumento della percentuale di diffusione delle automobili, il miglioramento dei
trasporti pubblici che collegano le città ai centri vicini (come le ferrovie suburbane) e lo sviluppo di una fitta rete di telecomunicazioni nei Paesi sviluppati hanno fatto sì che una persona possa avere facile accesso ai servizi della città risiedendo a una distanza maggiore dal centro cittadino rispetto a quanto avveniva in precedenza. In altri termini, la nascita o la maggiore diffusione di comportamenti come il pendolarismo (cioè lo spostarsi ogni giorno su distanze medie e lunghe per raggiungere il posto di lavoro), il lavoro svolto a distanza e l’uso di Internet per acquistare beni e servizi o per interagire con le istituzioni hanno permesso anche a chi non risiede nel cuore di una città di adottare uno stile di vita “cittadino”. Queste nuove risorse hanno reso ormai sorpassata la tradizionale
struttura cittadina a cerchi concentrici, con zone e quartieri sempre più esclusivi e ricchi a mano a mano che ci si avvicina al centro.
Oggi infatti, almeno in molte città dei Paesi avanzati come gli Stati Uniti e gli Stati europei, questo modello non vale più perché, a partire degli ultimi decenni del XX secolo, si è assistito al fenomeno della “deurbanizzazione”, cioè la “fuga” dalla città, e in particolare dal centro. I motivi di questa fuga sono in genere quelli legati ai problemi tipici della vita cittadina, come l’inquinamento, la criminalità e soprattutto i prezzi elevati delle abitazioni, che inducono molte persone a spostarsi nelle aree circostanti.
Le città si sono quindi aperte verso l’esterno: in Paesi come gli Stati Uniti tutto questo ha significato soprattutto la nascita di grandi sobborghi residenziali nelle periferie, abitati soprattutto dalle classi medie e alte, mentre nei Paesi dalla storia urbana più antica, come l’Italia, si è verificata una rinascita dei centri urbani medi e piccoli intorno alle grandi città, dove sono sorti anche parchi commerciali e complessi di uffici trasferitisi dai costosi centri cittadini.
Accanto a questi di modelli di espansione e “apertura” delle città, che avvengono in maniera per lo più ordinata secondo specifici progetti, esistono anche tipologie di espansione più disordinata.