Capitolo 32 - I Franchi

Capitolo 32 I FRANCHI

i concetti chiave
  • L’Europa occidentale subisce un generale arretramento: calo demografico, forte riduzione della produzione agricola e dei commerci; prevale l’economia di autoconsumo e ritorna il baratto
  • Si diffonde il sistema curtense con il saltus e le curtes, proprietà nobiliari autosufficienti e isolate, divise in pars dominica e pars massaricia
  • I contadini sono legati alla terra attraverso la servitù della gleba e le corvées
  • Clodoveo unisce le tribù dei Franchi in un regno, anche con il sostegno del clero, a seguito della sua conversione al cristianesimo
  • Si consolida il potere dei maestri di palazzo: Carlo Martello sconfigge gli Arabi a Poitiers
  • Pipino il Breve si allea con il papato contro i Longobardi, depone i Merovingi e rafforza l’autorità regia
  • Si afferma il sistema vassallatico

L’AMBIENTE E LE RISORSE

Un’economia poco dinamica: il sistema curtense

Lo studio dell’alto Medioevo presenta una difficoltà non facile da superare, la scarsa disponibilità di documentazione: negli anni turbolenti seguiti al crollo delle istituzioni imperiali, infatti, i documenti scritti diminuirono, la gestione della vita quotidiana iniziò a prevalere sull’interesse a conservarne memoria, il regresso sociale comportò quello culturale. In mancanza di tale documentazione, crescono le difficoltà di apprendere e ricostruire le condizioni di vita e gli eventi dell’epoca: la conoscenza e la comprensione dei processi sono dunque il frutto di ricerche e di comparazioni ancora più complesse per giungere a un quadro storico e geografico coerente e il più possibile completo.

La contrazione demografica: una dinamica di causa-effetto

L’andamento demografico negativo dell’età tardoantica continuò a caratterizzare la società altomedievale almeno fino all’anno Mille: si stima che nel II secolo, nell’epoca della massima espansione dell’impero romano, la popolazione europea avesse raggiunto i 67 milioni di abitanti; nell’VIII secolo essa si era ridotta a 27 milioni.
Il calo demografico era il risultato di diversi fenomeni regressivi, legati tra loro da dinamiche di causa-effetto: le carestie, provocate dalla scarsità dei raccolti, compromettevano la salute della popolazione e favorivano la diffusione delle epidemie; la manodopera disponibile di conseguenza diminuiva, aggravando ulteriormente l’insufficienza della produzione agricola; ciò a sua volta stimolava la tendenza all’abbandono dei campi e quindi l’aumento di terreni incolti. La mancanza di contadini influiva sulla produttività non solo in relazione alle attività dirette come l’aratura, la semina e la mietitura, ma anche perché rendeva impossibile eseguire lavori di supporto come la manutenzione dei canali e delle vie di accesso ai campi o la recinzione dei terreni. La resa delle terre era inoltre limitata dall’arretratezza delle tecniche agricole: la contrazione dei commerci aveva infatti determinato grandi difficoltà nell’approvvigionamento del ferro; di conseguenza, gli aratri utilizzati erano in genere privi di parti metalliche e consentivano solo un dissodamento superficiale dei terreni. A questo limite si aggiungevano l’insufficiente concimazione, dovuta alla diminuzione dell’allevamento dei bovini, e la diffusione della pratica del maggese. Tale pratica permetteva alla terra eccessivamente sfruttata di recuperare fertilità, ma allo stesso tempo implicava che circa metà dei terreni rimanesse improduttiva. A completare un quadro di sostanziale regresso economico, infine, vi furono guerre e razzie, che perdurarono per gran parte del periodo e provocarono frequenti e gravissime devastazioni delle campagne.

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L’economia chiusa dell’Europa altomedievale

La contrazione dei commerci di lunga distanza continuò a influire sullo stato dell’economia dell’Europa altomedievale e fu anzi aggravata dallo spopolamento delle città; queste erano state da sempre i principali centri degli scambi, grazie ai consumi della popolazione urbana. In un contesto di contatti commerciali che si riducevano, divenne problematico anche l’approvvigionamento di materie prime come il sale, fondamentale per la conservazione dei cibi, e il ferro, con le conseguenze che abbiamo visto.
L’Europa altomedievale fu insomma prevalentemente caratterizzata da un’economia chiusa, o quantomeno poco dinamica, in cui la maggior parte degli scambi avveniva a livello locale. Il commercio marittimo o di lunga distanza non scomparve, ma subì una notevole contrazione. La scarsità dei commerci si accompagnò a una drastica riduzione della circolazione monetaria, con il ritorno a forme di scambio diretto tra merci (il baratto) e al pagamento in natura dei canoni di affitto dei campi, attraverso la cessione di parte del raccolto. Alla diminuzione della quantità di moneta circolante si accompagnò inoltre la riduzione del valore stesso delle monete, a causa delle difficoltà di approvvigionamento dei metalli preziosi e della perdita di prestigio delle autorità statali che avrebbero dovuto coniarle. Anche quando si affermarono autorità statali più stabili e potenti, come l’impero di Carlo Magno ( Capitolo 33), i tentativi di riforma monetaria si scontrarono con gli orizzonti ristretti dell’economia europea: come vedremo, il denaro d’argento da lui introdotto aveva infatti un contenuto modesto di metallo prezioso, lontano dalle monete “forti” in uso nell’area orientale del Mediterraneo, dove, al contrario, sia nell’impero bizantino sia in quello arabo, le monete continuarono a essere coniate in oro, a sostegno di un valore degli scambi enormemente superiore a quello dell’Europa occidentale. Non è un caso che in Occidente le uniche eccezioni al quadro di generale stagnazione degli scambi furono rappresentate dalle città portuali che avevano contatti con l’Oriente, come Marsiglia o Venezia. Quest’ultima, divenuta autonoma dal dominio bizantino a partire dal IX secolo, andò crescendo di importanza, traendo grandi profitti dagli scambi commerciali con Costantinopoli e Alessandria d’Egitto, rifornendole di prodotti che scarseggiavano negli imperi orientali (come il legname) e importando beni preziosi (come le spezie, la seta e i profumi). Questi commerci avrebbero alimentato un fiorente mercato in Occidente, ponendo le premesse del futuro sviluppo economico della città lagunare.

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Il paesaggio agricolo: saltus e curtis

La crisi economica e demografica aveva favorito, come abbiamo visto ( Capitolo 27), una nuova espansione delle foreste, che erano tornate a ricoprire superfici più vaste di quelle occupate in epoca romana: i grandi cambiamenti economici e politici avevano determinato anche la trasformazione dell’ambiente e delle campagne. Il paesaggio europeo più diffuso divenne il saltus, cioè il terreno incolto, coperto da pascoli e da boschi in cui gli abitanti dei villaggi potevano cacciare gli animali selvatici o inselvatichiti (soprattutto maiali, cinghiali, selvaggina, volatili) e raccogliere erbe e vegetali spontanei.
L’attività agricola venne invece sempre più organizzata all’interno di unità produttive autosufficienti e tendenzialmente chiuse, analoghe alle villae rusticae diffuse nelle ultime fasi della civiltà romana: le curtes (curtis al singolare). Da questa denominazione la nuova organizzazione dell’economia rurale prende il nome di sistema curtense, un sistema già comparso nell’Italia dominata dai Longobardi e che raggiunse il massimo sviluppo durante gli ultimi secoli dell’alto Medioevo.

Il legnatico, il diritto e dovere di salvaguardare il bosco

Il termine deriva dal latino lignum (“legno”) e indicava il diritto (ius lignandi) a raccogliere la legna in un bosco di proprietà, ma non di tagliare un intero albero.
Nell’evoluzione fiscale del IV secolo, i boschi passarono da proprietà dello Stato a proprietà dell’imperatore; dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente divennero della nobiltà e dei sovrani. Tuttavia, si preservarono alcuni diritti di cui le comunità godevano sull’utilizzo di alcune porzioni di terreni comuni, dove era possibile esercitare determinate attività. Il legnatico fu uno dei diritti difesi con maggiore determinazione dagli strati sociali più bassi poiché, in un’economia povera, la legna era indispensabile per cucinare o per riscaldare l’ambiente, per produrre il carbone (che era usato come combustibile) e per la costruzione delle abitazioni o degli strumenti di lavoro ecc.
Le comunità, proprio per tutelare questo diritto prezioso, si assumevano l’impegno di salvaguardare e curare il bosco.
In epoca medievale era un diritto garantito a collettività o a gruppi. Verso la fine del Medioevo tale diritto venne riconosciuto dietro versamento di un tributo che doveva essere corrisposto dalla comunità.
La rilevanza di questo istituto giuridico è dimostrata dal fatto che ancora oggi, in Italia, esso ha carattere di “uso civico” (cioè di godimento della collettività) e viene ribadito, spesso annualmente, dai Comuni che sono subentrati nel possesso di boschi o terre comuni.

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La struttura della curtis

Le curtes erano ampie tenute rurali di proprietà nobiliare o ecclesiastica, si estendevano su territori molto vasti ed erano talvolta intervallate da terre e possedimenti che non dipendevano da esse. Avevano come obiettivo primario l’autosufficienza economica, dal momento che la loro produzione bastava a mantenere la popolazione residente al loro interno, composta, oltre che dalla famiglia del proprietario terriero, anche dai suoi servi, dai contadini e dagli artigiani liberi, impiegati alle sue dipendenze.
Ogni curtis era divisa in due zone:

  • la parte che veniva gestita dal proprietario, il dominus (“signore”), attraverso i suoi sottoposti era definita pars dominica; qui erano presenti le stalle e i magazzini con gli attrezzi agricoli di proprietà signorile, oltre che gli impianti per la lavorazione dei vari prodotti agricoli (mulini, macine, forni, frantoi);
  • la parte restante della tenuta, la pars massaricia, era costituita dai mansi (dal latino manere, “risiedere”), ossia terreni affidati ai contadini, che potevano essere massari o coloni. Essi vi risiedevano e vi potevano costruire le loro abitazioni; in cambio pagavano un “affitto” (o canone) in denaro o in natura, con la cessione di una parte dei loro prodotti (grano, vino, tessuti o altri beni).

Le aree incolte, il saltus, erano invece libere da diritti di sfruttamento: i contadini potevano portare i propri animali a brucare l’erba dei pascoli o raccogliere la legna nei boschi. Previa autorizzazione del signore era inoltre possibile cacciarvi la selvaggina, che costituiva un’importante, anche se rara, integrazione della dieta contadina.

Servitú della gleba e corvées

I massari erano formalmente liberi ma vivevano spesso in condizioni pressoché servili, poiché erano di fatto sottomessi in tutto e per tutto ai loro signori e non avevano alcuna prospettiva di mobilità sociale. In molte aree d’Europa il possesso della terra da parte dei signori prevedeva che disponessero liberamente dei contadini che vi abitavano: in caso di passaggio di proprietà, essi venivano ceduti insieme ai campi che lavoravano. Per questo motivo erano chiamati anche servi della gleba, cioè della “terra”.
I contadini vivevano in case modeste e avevano a disposizione attrezzi rudimentali, cosa che rendeva più faticoso e meno produttivo il lavoro nei campi. La loro alimentazione era povera: i cereali ne costituivano l’elemento principale, affiancati dal latte, dai formaggi o dalla selvaggina. Il consumo di carne era comunque limitato, anche perché tra gli obblighi dei contadini vi era quello di dare parte degli animali domestici e della cacciagione al signore.
Inoltre, in determinati giorni della settimana, i massari erano tenuti a fornire prestazioni di lavoro gratuite a favore del padrone: erano le cosiddette “corvées”, che includevano i lavori strettamente agricoli ma anche la realizzazione di canali, la riparazione di attrezzi o la costruzione di edifici.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille