Capitolo 30 - La civiltà araba

Capitolo 30 LA CIVILTÀ ARABA

i concetti chiave
  • 570 ca.: Maometto nasce nella città sacra della Mecca (Kaaba) e si forma in un clima culturale aperto
  • Dal 610 Maometto inizia la predicazione del culto di Allah
  • Monoteismo ed egualitarismo della nuova religione causano ostilità verso Maometto, che fugge a Medina; la nuova fede si diffonde fra i ceti più bassi della popolazione
  • Maometto si considera profeta di Dio
  • I cinque pilastri fondamentali dell’islam sono professione di fede, preghiera, elemosina, digiuno durante il ramadàn, pellegrinaggio alla Mecca
  • Il califfato e la questione della successione a Maometto: scontro e separazione tra sciiti e sunniti
  • Tra il VII e l’VIII secolo l’espansione territoriale degli Arabi si spinge fino all’Indo, arrivando a contatto con le civiltà indiana e cinese
  • Gli Arabi mostrano tolleranza verso religioni e costumi dei popoli sottomessi
  • Nel 750 prevalgono gli Abbasidi, sciiti, che spostano la capitale a Baghdad; i califfati sulle coste del Mediterraneo diventano indipendenti
  • Durante il rinascimento arabo si assiste a un progresso culturale e sociale che porta a un rapido sviluppo delle città, dell’agricoltura, della medicina, della filosofia, della tecnologia
  • Processo di frammentazione: sviluppo del regno omayyade in Spagna (IX secolo); regni indipendenti in Persia, in Egitto e sulle coste nordafricane; nel corso del X secolo l’impero bizantino riconquista la Siria e ha inizio l’ascesa dei Turchi

L’AMBIENTE E LE RISORSE

L’ambiente del deserto

La penisola arabica, oggi occupata in prevalenza da deserti, anticamente era caratterizzata da un clima più temperato, che permetteva una maggiore estensione delle oasi e delle steppe. Anche allora, tuttavia, gran parte dell’Arabia centrale era soggetta a lunghi periodi di siccità, che determinavano un’elevata aridità dei terreni. In questa situazione, le intense precipitazioni che si verificavano nelle stagioni delle piogge, soprattutto nelle aree in cui il suolo era più roccioso, arrecavano più danni che vantaggi: oltre a essere insufficienti a fertilizzare il suolo, causavano anche la formazione di corsi fluviali a carattere torrentizio che potevano danneggiare le rare coltivazioni di orzo presenti nella zona.
Inoltre, come accadeva da millenni nelle aree geografiche a ridosso della mezzaluna fertile, i deserti costituivano una difesa per le popolazioni nomadi che li abitavano: gli eserciti stranieri non avevano infatti alcun interesse ad avventurarsi nei territori inospitali e privi di risorse dell’Arabia. Allo stesso tempo però, a causa delle difficili condizioni ambientali, le popolazioni arabe rimasero a lungo isolate e, di conseguenza, più arretrate dal punto di vista economico, sociale e culturale.

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Le oasi: microcosmo socioeconomico e culturale

Il deserto, all’apparenza solo arido, inospitale e uniforme, è in realtà un ambiente complesso nel quale la vita è abbondante. Esso ospita infatti una fauna che si è adeguata alla vita notturna e una vegetazione che sopravvive con bassissimi tassi di umidità e fortissime escursioni termiche. Anche molte popolazioni si sono adattate alla vita nel deserto, popolando le oasi che, nel corso dei millenni, hanno costituito un ecosistema in cui occorre un’esemplare capacità di gestione delle scarsissime risorse. Le oasi infatti non sono solo aree del deserto dove affiora dal sottosuolo acqua sorgiva indispensabile per la crescita di una ricca vegetazione, ma, nei secoli, sono state trasformate dall’uomo in nicchie ambientali che si autosostengono e in cui si è creato un equilibrio tra risorse e consumi. Le comunità umane hanno imparato a sfruttare i palmeti naturali e a specializzarsi in coltivazioni che potessero sopravvivere con una modesta quantità d’acqua, come datteri, fichi, olive, pesche e albicocche; inoltre hanno saputo selezionare animali adatti all’allevamento in tale clima, come cammelli, dromedari, pecore e capre. Grazie alle oasi che punteggiano i percorsi delle piste carovaniere, i deserti hanno potuto essere attraversati. Esse sono state e sono tuttora luogo di scambio economico e commerciale.

• SOTTO LA LENTE • SCIENZA

Dromedari e cammelli, straordinari animali del deserto

Il dromedario e il cammello sono i mammiferi che meglio si sono adattati a vivere nel deserto. La loro conformazione biologica li rende animali resistenti, capaci di sopravvivere nelle condizioni estreme del deserto: sono in grado di sopportare sbalzi di temperatura elevatissimi (anche dai 60 °C diurni ai –20 °C notturni) e possono restare a lungo senza idratarsi. Il corpo, anche quando si trova a contatto con temperature elevate, perde solo 1,3 litri di acqua al giorno, cioè una minima quantità. Per contro, al momento di idratarsi, questi animali sono in grado di bere circa 200 litri di acqua in pochi minuti. Sono anche gli animali maggiormente in grado di contrastare le tempeste di sabbia, frequenti nei deserti, poiché hanno orecchie piccole e protette da peli lunghi e resistenti, ciglia foltissime che proteggono gli occhi e la possibilità di chiudere completamente le narici. Sono infine un validissimo aiuto per l’uomo: possono trasportare carichi di quasi 500 kg, camminare senza sosta per 24 ore con passo regolare e resistere fino a un mese senza mangiare (anche grazie al grasso accumulato nella gobba). Le differenze più vistose tra i due animali sono che il cammello ha due gobbe mentre il dromedario ne ha una. I cammelli abitano soprattutto i deserti dell’Asia centrale e orientale mentre i dromedari sono diffusi nel deserto del Sahara.
La capacità di sopravvivenza di questi animali e l’aiuto concreto che forniscono alle comunità dal punto di vista dei trasporti li rendono preziosi, tanto che presso le popolazioni del deserto esserne proprietari è segno di ricchezza e prestigio sociale.

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L’ambiente arabico e i beduini

L’ambiente arabico era adatto soprattutto alla pastorizia nomade, praticata dagli abitanti del deserto, i beduini (dal vocabolo badawi, che in lingua araba significa “uomo del deserto”). Essi vivevano in tende di pelle ovina, facili da smontare, e compivano lunghi spostamenti alla ricerca di pascoli per le greggi di pecore e capre, compiendo anche razzie nelle comunità stanziali. Per attraversare il deserto utilizzavano i dromedari o i cammelli, che potevano coprire lunghe distanze senza abbeverarsi.
La società beduina era divisa in gruppi di famiglie uniti tra loro da vincoli di parentela, con legami molto stretti e un forte senso dell’ospitalità. Ogni tribù era guidata da uno sceicco, un uomo ricco, autorevole e saggio cui si affiancava, in tempo di guerra, un capo militare chiamato rais. Nella società beduina vigevano norme sociali di comportamento molto rigide; il forte senso di appartenenza tribale, per esempio, comportava che quando un membro di una tribù veniva giudicato colpevole di un reato la sua colpa ricadesse su tutto il gruppo. Le controversie finivano così per dare spesso luogo a violente faide, che potevano protrarsi anche per lungo tempo.
Presso i beduini le donne godevano di una discreta libertà rispetto ad altri popoli nomadi: potevano allontanarsi, mangiare con gli uomini e avere uno spazio privato.

L’ambiente della costa sudoccidentale

Molto diverso era l’ambiente della costa sudoccidentale della penisola, che presentava un clima umido e terre fertili, adatte allo sviluppo dell’agricoltura. Qui le popolazioni divennero presto sedentarie e fondarono villaggi agricoli destinati a trasformarsi in importanti centri urbani, in cui fiorirono le attività artigianali e commerciali. Le città del Sud, in particolare, controllavano le comunicazioni marittime tra il mar Rosso e il mar Arabico e le piste carovaniere che conducevano verso l’interno della penisola, attraverso le quali transitavano spezie, pietre preziose, profumi, legni pregiati, seta e oggetti di porcellana in arrivo dall’Oriente. In cambio di questi prodotti, i mercanti arabi esportavano datteri e tessuti. Essi avevano stabilito intensi contatti commerciali anche con le coste del Mediterraneo e dell’Europa settentrionale, da cui provenivano olio, vino, metalli, legname, pelli, sale e ambra. Dall’Africa, infine, venivano importati schiavi, oro, avorio e corallo.

L’Arabia al centro degli scambi tra Oriente e Occidente

Nonostante le difficoltà in cui versavano i due imperi della regione, l’economia del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale continuava a presentare una vitalità assai maggiore di quella dell’Europa occidentale, segnata dal declino dei traffici di lunga distanza e dal ritorno a un’economia chiusa. Costantinopoli deteneva il controllo marittimo nel Mediterraneo e restava il crocevia dei commerci che collegavano il Vicino e l’Estremo Oriente. Dal Bosforo passava ancora la gran parte delle merci preziose come le spezie e la seta, provenienti dall’India e dalla Cina.
Al centro dei collegamenti fra Oriente e Occidente si trovava la penisola Arabica, che proprio per questo andava assumendo un crescente ruolo commerciale. Le piste carovaniere che congiungevano le coste mediterranee con le città di Antiochia, Palmira, Damasco e Petra, e da queste con l’Asia, costituivano da secoli le vie di comunicazione più utilizzate. L’intensità di questi traffici aveva favorito tra l’altro la nascita, in Siria, del regno di Palmira (III secolo), che si era reso indipendente dall’impero romano, approfittando dell’anarchia politica di quel periodo, prima di essere riconquistato dall’imperatore Aureliano.
Dal VI secolo, invece, quando la sicurezza dei viaggi nell’entroterra fu compromessa dalle guerre tra Bizantini e Sasanidi, assunsero maggiore importanza le vie di comunicazione marittima che attraversavano l’oceano Indiano e il golfo Persico. Le rotte prevedevano scali nel golfo di Oman, nello stretto di Hormuz e nel mar Rosso; fu così che alcuni centri della penisola Arabica, già economicamente legati alle coste orientali dell’Africa, ricche di miniere d’oro, conobbero un’ulteriore espansione commerciale. Tra queste città, la Mecca si distinse per il notevole sviluppo economico e commerciale, che determinò la sua supremazia sui territori circostanti e l’affermazione politica dell’aristocrazia mercantile che la guidava.

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I regni dell’Arabia preislamica

Diversi secoli prima di Cristo nella parte meridionale della penisola Arabica si erano formati alcuni regni che, grazie al controllo dei commerci, avevano raggiunto un elevato grado di prosperità. Il regno di Saba, spesso citato dalla Bibbia, prosperò fino al I secolo a.C.; all’incirca contemporanea fu la fioritura del regno dei Minei. Nel corso del VI secolo tutta l’area, fino all’odierno Yemen, cadde nelle mani dei Persiani, per poi essere conquistata dall’espansione islamica. Anche nella zona settentrionale della penisola si erano affermati alcuni importanti organismi statali. È il caso del regno dei Nabatei, la cui capitale era Petra, conquistato dall’impero romano nel II secolo. Alla vigilia dell’unificazione dell’Arabia da parte dei musulmani, nell’area settentrionale della penisola si erano invece affermati i regni dei Ghassanidi e dei Lakhmidi, che erano Stati-vassalli, rispettivamente, dell’impero bizantino e di quello persiano.
Nel Nord come nella parte meridionale si erano sviluppate importanti piste carovaniere che collegavano l’Egitto alla Mesopotamia e consentivano ai mercanti di organizzare intensi traffici con i regni del Mediterraneo orientale e dell’Estremo Oriente: esse avrebbero costituito di lì a poco le principali direttrici dell’espansione islamica verso est.

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Arabia Felix

Nelle lingue antiche dei popoli semitici – termine con cui si indicano anche gli attuali abitanti della penisola Arabica e di parte del Medio Oriente –, il termine arab significava “nomade” e designava le tribù di beduini che si spostavano periodicamente lungo le piste carovaniere che attraversavano il deserto. All’epoca dell’impero romano, per designare le zone meridionali della penisola Arabica si diffuse il toponimo latino Arabia Felix. Esso derivava da un equivoco linguistico originato dalla radice semitica utilizzata dalle popolazioni locali per indicare quell’area, y-m-n (tuttora presente nel nome di uno degli attuali Stati dell’area, lo Yemen), che significava sia “meridionale” sia “felice”. La diffusione del toponimo fu favorita dal fatto che nell’antichità queste zone erano molto ricche, grazie a un’agricoltura sviluppata e alla produzione e al commercio di aromi e manufatti preziosi.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille