Capitolo 29 - I Longobardi nella penisola e l’affermazione della Chiesa

Capitolo 29 I LONGOBARDI NELLA PENISOLA E L’AFFERMAZIONE DELLA CHIESA

i concetti chiave
  • I Longobardi entrano in Friuli e si espandono in tutta la penisola
  • Divisione e frammentazione del territorio tra Longobardi e Bizantini
  • Struttura sociale gerarchica dei Longobardi con arimanni, aldi e servi
  • Economia basata su agricoltura e modeste attività artigiane; limitata vita urbana
  • L’editto di Rotari (643) si sovrappone al diritto romano
  • La Chiesa svolge una funzione mediatrice e induce i Longobardi a convertirsi al cristianesimo
  • I rapporti conflittuali tra la Chiesa e l’impero d’Oriente a causa dell’iconoclastia favoriscono il re longobardo Liutprando che occupa i territori bizantini in Italia
  • Il conflitto con i Franchi, sostenuti dal Papa, porta alla fine del regno longobardo
  • Consolidamento del primato del papa di Roma nella Chiesa e del suo potere temporale ed economico
  • Nuove forme di spiritualità: il monachesimo si diffonde in Europa
  • La Regola di san Benedetto: ora et labora; l’importanza dei monasteri nell’economia agricola e nella conservazione della cultura

1. L’arrivo dei Longobardi e la rapida conquista della penisola

Quando i Longobardi, pressati dall’espansionismo degli Àvari, si affacciarono sulle Alpi, la situazione in Italia era molto critica. L’impero d’Oriente, messo a dura prova dalle spese sostenute per la guerra di riconquista dell’Occidente, dalla diffusione dell’epidemia di peste, dalla restrizione degli scambi commerciali e dalle difficoltà di reperimento delle risorse, versava in una condizione di debolezza tale da impedirgli ogni intervento militare in Italia che potesse arginare l’avanzata dei Longobardi: in pochi anni buona parte della penisola passò sotto il loro dominio, mentre l’impero d’Oriente mantenne la Sicilia, la Sardegna, parte dell’Italia meridionale, l’esarcato di Ravenna e pochi altri territori, soprattutto in prossimità delle coste.
Di lontana origine scandinava, i Longobardi si erano stanziati nei pressi dell’attuale città di Amburgo attorno al V secolo. Qui si era formata la loro identità di popolo germanico, anche in conseguenza dell’adozione del culto magico-guerriero di Wotan, il dio “dalla lunga barba”, da cui deriva il nome Longobardi (i “lungabarba”), secondo quanto sostiene il monaco Paolo Diacono, che nell’VIII secolo scrisse la Storia dei Longobardi: «Furono chiamati così [...] in un secondo tempo per la lunghezza della barba mai toccata dal rasoio. Infatti nella loro lingua lang significa “lunga” e bart “barba”». In seguito si erano stabiliti in Pannonia e da lì si erano spinti in Italia.

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Un popolo organizzato in famiglie, le fare

I Longobardi erano tradizionalmente organizzati in fare, gruppi di famiglie nomadi indipendenti e guidate dalla nobiltà guerriera dei duchi (dal termine latino dux, “comandante”). Esse erano contemporaneamente strutture militari primarie e strutture sociali che, in assenza di un diritto scritto, regolavano i loro rapporti giuridici.
A differenza degli Ostrogoti, i Longobardi non avevano avuto contatti con la civiltà romana nei secoli precedenti, ma tra il V e il VI secolo avevano stretto un’alleanza con l’impero d’Oriente, garantendosi il controllo dei territori danubiani in cui si erano insediati. Nella seconda metà del VI secolo, tuttavia, l’avanzata degli Avari li costrinse a spostarsi verso ovest. È probabile che la loro migrazione fosse stata sollecitata dai Bizantini stessi, che avevano interesse a spingere i Longobardi verso l’Europa centrale nella speranza di frenare l’espansione territoriale dei Franchi.
Nella loro avanzata, i Longobardi varcarono le Alpi orientali e, nel 568, penetrarono in Italia sotto la guida del re Alboino. Occupata la pianura padana e conquistata, dopo un lungo assedio, la città di Pavia (572), essi estesero i propri domini anche in buona parte dell’Italia centrale e meridionale. Tutti questi territori furono suddivisi in ducati autonomi, una soluzione che però portò in breve tempo alla frammentazione politica del dominio longobardo. Dopo la morte del successore di Alboino, Clefi, iniziò addirittura un periodo di anarchia (574-584), durante il quale i vari duchi, che guidavano le fare (circa trenta), acquisirono una totale indipendenza.

La frammentazione territoriale della penisola

Il periodo dell’anarchia terminò nel 584, con la nomina del re Autari (584-590). Tuttavia, sebbene i duchi riconoscessero il sovrano come loro guida, il potere del re era assai limitato, poiché rimaneva sottoposto al controllo della nobiltà guerriera e alle decisioni della sua assemblea.
Così, alla fine del VI secolo, la situazione politica della penisola continuava a essere caratterizzata dalla frammentazione territoriale: le città costiere, anche per lo scarsissimo interesse dei Longobardi nei riguardi della navigazione e dei commerci terrestri e marittimi, rimasero in mano ai Bizantini, mentre le zone dell’entroterra divennero in larga parte possedimenti longobardi. I domini degli uni erano interrotti da quelli degli altri: i contatti diretti tra la capitale Pavia e i ducati dell’Italia centromeridionale erano impediti dai territori bizantini che dall’esarcato di Ravenna e dalla Pentapoli (cioè l’area situata tra le attuali regioni della Romagna e delle Marche e comprendente le città di Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona) si estendevano fino al Lazio; allo stesso modo i ducati longobardi di Spoleto e di Benevento si frapponevano tra l’esarcato e le regioni meridionali ancora controllate dall’impero romano d’Oriente ( carta).
La mancanza di continuità territoriale e la debolezza del governo centrale esponevano i Longobardi sia alla minaccia dei Bizantini (che grazie al controllo delle coste potevano garantirsi gli approvvigionamenti via mare), sia a quella dei Franchi, che dalla Gallia meridionale miravano a espandersi in Italia. La necessità di fronteggiare diversi nemici spinse dunque i duchi a dare vita a un organismo statale più solido, guidato da una monarchia stabile che pose la propria sede a Pavia.
Con il re Agilulfo (590-616) iniziò una nuova fase di espansione territoriale, che proseguì anche con i suoi successori. Sotto la guida del sovrano Rotari (636-652), in particolare, i Longobardi strapparono ai Bizantini i territori oggi corrispondenti all’Emilia, alla Liguria e al Veneto. All’impero d’Oriente restò in pratica, nell’Italia settentrionale, solo Ravenna e il controllo dell’area della laguna adriatica in cui sarebbe sorta in seguito la città di Venezia.
Nello stesso periodo i duchi longobardi dell’Italia meridionale conquistarono il territorio dell’attuale Salerno, mentre nel 670 sottomisero anche Taranto e Brindisi. Se si eccettuano le aree dell’Italia centrale e la Calabria, alla fine del VII secolo il Sud della penisola era ormai quasi completamente sottomesso al dominio dei Longobardi.

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Un dominio duro e predatorio

La presenza longobarda in Italia ebbe caratteristiche simili a quella dei Vandali in Africa, dove non si era realizzata alcuna forma di collaborazione tra invasori e popolazione locale. Al contrario degli Ostrogoti, che almeno nei primi anni avevano dato vita a un regno caratterizzato da una relativa coesione sociale, i Longobardi, la cui economia si basava tradizionalmente sulla pastorizia, su una scarsa agricoltura e sui frutti delle razzie nei confronti dei popoli vicini, instaurarono nella penisola italica un dominio predatorio, teso allo sfruttamento eccessivo e immediato delle risorse ambientali e umane, senza preoccuparsi di quel che sarebbe potuto accadere nel medio-lungo periodo.

Terre, mari, idee - volume 2
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Da Roma imperiale all’anno Mille