DOC. 2 Micene
Si ripercorre la storia di Micene utilizzando la voce dedicata dell’enciclopedia Treccani, dalle origini legate alla civiltà cretese, al periodo eroico del governo di Agamennone, alla partecipazione alle guerre persiane:
http://www.treccani.it/enciclopedia/micene/
Nel sito archeologico della città antica, si possono esplorare le mura ciclopiche, la porta dei leoni, le tombe degli Atridi, i cui tesori sono stati trovati grazie alla fiducia dell’archeologo tedesco Heinrich Schliemann nella veridicità dei poemi di Omero, la stessa convinzione che lo ha condotto anche alla scoperta di Troia.
C.W. Ceram, in Civiltà sepolte (Einaudi, Torino 1952), racconta come è avvenuta la scoperta di Heinrich Schliemann.
«Nel 1876, all’età di cinquantasei anni, Schliemann aveva affondato per la prima volta il piccone nel suolo di Micene, nel 1878-79, assistito da Virchow, scavò per la seconda volta a Troia; nel 1880 scoprí a Orcomeno, la terza città che Omero disegna con l’attributo di aurea, la ricca volta del tesoro di Minia; nel 1882, con Dörpfeld, scavò per la terza volta nella Troade, e due anni dopo a Tirinto.
Le mura dell’acropoli di Tirinto furono messe a nudo; un violento incendio aveva calcinato le pietre e cotto l’argilla che le connetteva insieme, trasformandole in veri e propri mattoni; gli archeologi credevano che queste mura fossero avanzi medievali e le guide greche dichiaravano che a Tirinto non c’era niente di importante da visitare.
Sulla fede degli antichi scrittori, Schliemann cominciò a scavare e lo fece con tanto impegno che distrusse una piantagione di cumino di un contadino di Cofinio e dovette pagare 275 franchi di ammenda. A Tirinto sarebbe nato Eracle. Le mura erano ritenute dagli antichi una costruzione prodigiosa. Pausania le paragonò alle piramidi d’Egitto. Si dice che Proitos, leggendario re di Tirinto, avesse convocato presso di sé sette ciclopi per erigerle; e che ne furono poi costruite anche altrove, anzitutto a Micene, cosí che tutta l’Argolide poté essere chiamata da Euripide «la terra ciclopica». Schliemann scavò e trovò le fondamenta di un palazzo che superava tutti quelli fino allora scoperti e che dava una poderosa impressione del popolo preistorico che l’aveva costruito e dei re che vi avevano dimorato. Il palazzo sorgeva, simile a un forte, su un massiccio di pietra calcarea. Le mura erano formate di blocchi della lunghezza di 2-3 metri e dello spessore e dell’altezza di un metro. La costruzione raggiungeva nella parte inferiore, che comprendeva solo stanze di servizio e scuderie, dai sette fino agli otto metri, e nella parte superiore, dove abitava il signore, fino a 11 metri, con un’altezza complessiva di 16 metri!
E bisogna cercare di immaginarsela popolata di guerrieri dalle armi sonanti. Finora non si conosceva nulla della pianta di questi palazzi omerici; nessuna traccia era rimasta del palazzo di Menelao, di quello di Ulisse e degli altri principi. A Troia i resti della rocca di Priamo non davano nessuna idea della pianta. Qui, per opera dello scavo, venne invece chiaramente alla luce un palazzo omerico. C’erano atri con colonne e sale, il cortile degli uomini con l’altare, il megaron sontuoso con atrio e propileo; si poteva ancora riconoscere il bagno (col pavimento formato da un solo blocco di pietra calcarea di 20 000 kg), dove gli eroi di Omero si erano immersi e cosparsi di unguento. Qui, sotto la vanga di Schliemann, balzava viva la scena del ritorno dell’astuto Ulisse, del banchetto dei Proci, del bagno di sangue nella grande sala, come sono descritti nell’Odissea.
E c’era qualcosa di ancora piú interessante, la ceramica e le pitture murali. Schliemann notò subito l’affinità di tutti i vasi e recipienti di argilla con quelli che aveva tratto alla luce a Micene, e rilevò anche la somiglianza col materiale che altri archeologi avevano trovato ad Asine, Nauplia, Eleusi e in varie isole, soprattutto a Creta. Non aveva egli forse trovato fra le rovine di Micene un uovo di struzzo (che al primo momento aveva creduto un vaso di alabastro) di provenienza egizia? E non scoperse qui quei vasi dal motivo cosiddetto «geometrico » che già nel 1500 a.C. i Fenici avevano portato alla corte di Thutmosis III? In una particolareggiata spiegazione, Schliemann cercò di dimostrare che era sulle tracce di una corrente di civiltà di origine asiatica o africana; una civiltà che aveva toccato tutta la costa orientale della Grecia, comprendendo la maggior parte delle isole, e aveva avuto verosimilmente il suo centro in Creta.
Oggi noi chiamiamo questa civiltà cretese-micenea. Schliemann ne aveva trovato le prime testimonianze. Ma la sua scoperta doveva essere riservata a un altro».