La guerra sociale della lega italica
Dopo le minacce dei Cimbri e dei Teutoni, sventate da Mario, Roma dovette affrontare una nuova sanguinosa guerra, combattuta questa volta interamente sul suolo italico: la
ribellione degli alleati italici. Essi da tempo sostenevano gran parte del peso delle campagne militari ma, privi della cittadinanza romana, erano esclusi dalle decisioni politiche, non avevano accesso alle cariche pubbliche, non beneficiavano delle distribuzioni alimentari a prezzo politico e dell’assegnazione delle terre e avevano una posizione di subordinazione nello sfruttamento delle province. Erano discriminati persino nei ranghi dell’esercito, non avendo accesso alle posizioni di comando, essendo sottoposti a una disciplina più dura e ricevendo parti minori nella spartizione del bottino. Dal tempo dei Gracchi, questa situazione diveniva sempre più intollerabile.
Nel 91 a.C. il tribuno della plebe Marco Livio Druso, recuperando parte del programma politico di Caio Gracco, promulgò alcuni provvedimenti che avevano l’obiettivo di accontentare i diversi ceti sociali: tentò di introdurre una nuova riforma agraria; ripristinò l’esclusiva senatoria nell’accesso ai tribunali che giudicavano le malversazioni nelle province ma, allo stesso tempo, andò incontro al ceto equestre proponendo l’apertura
del senato ai cavalieri; introdusse infine un nuovo calmiere ai prezzi del grano destinato alla plebe e ai proletari.
Gli ottimati, contrari a questi provvedimenti, non erano tuttavia in grado di opporvisi senza l’appoggio di altre forze sociali. Così, non appena Druso avanzò un’ulteriore proposta riguardante l’estensione della cittadinanza a tutti gli Italici, i senatori ne approfittarono per sobillare la popolazione di Roma contro il tribuno, sfruttando – com’era già accaduto ai tempi di Caio Gracco – i timori popolari di dover condividere con altri i propri privilegi di cittadini romani.
Nei disordini organizzati dagli ottimati per bloccare la proposta di legge, Livio Druso fu assassinato. Gli alleati italici, vedendo ancora una volta deluse le loro speranze, scatenarono a quel punto una rivolta violenta e di vaste proporzioni, nota come guerra
sociale (ossia la guerra dei socii, gli “alleati”). Numerose città dell’Italia centrale e meridionale si riunirono in una confederazione, la lega italica, creando addirittura uno Stato indipendente con capitale Corfinio (oggi in Abruzzo), ribattezzata Italica, e proprie istituzioni.
Tra il 91 e l’89 a.C. le legioni romane furono duramente impegnate per combattere la ribellione, difficile da reprimere poiché condotta da popolazioni armate e addestrate allo stesso modo dei Romani. Solo in seguito a gravi perdite umane ed economiche Roma riuscì a prevalere, grazie in particolare al valore dei comandanti Lucio Cornelio Silla e Gneo Pompeo Strabone. Nonostante la vittoria di Roma, comunque, le richieste dei socii furono sostanzialmente accolte: già mentre si combatteva fu delineata una soluzione politica al conflitto, prevedendo di estendere la cittadinanza ai rivoltosi che si fossero arresi subito, oltre che agli alleati rimasti fedeli. Il provvedimento aiutò a giungere alla fine del conflitto, che si chiuse definitivamente solo nell’88 a.C. con la caduta dell’ultima roccaforte ribelle, Nola, in Campania. La pace sottoscritta nello stesso anno ristabilì il controllo di Roma sulla penisola e sancì la concessione della cittadinanza romana a
tutti gli Italici.
Per evitare che le proposte politiche dei popolari fossero sostenute dai nuovi cittadini italici (che, fin dai tempi dei Gracchi, avevano trovato in questa fazione una sponda alle loro rivendicazioni), gli ottimati imposero che essi venissero iscritti soltanto in 8 delle 35 tribù in cui erano suddivisi i comizi tributi. In questo modo, nonostante fossero dieci volte più numerosi dei cittadini romani prima dell’estensione della cittadinanza, gli Italici non avrebbero potuto essere determinanti nelle votazioni, che venivano espresse per tribù e non per testa. Per partecipare alle assemblee ed esprimere il voto, peraltro, era necessario recarsi a Roma, fatto che ostacolava una piena partecipazione degli Italici alla vita politica della capitale.
Tuttavia, nonostante questi evidenti limiti, le conseguenze della guerra sociale avevano una portata epocale. Era ormai aperta la strada alla completa unificazione politica della penisola, di cui Roma era sempre più il centro di attrazione.